Di che bestia morire
Definire il Peronismo, ancora peggio categorizzarlo, risulta alquanto arduo. Composto da un insieme di elementi richiamanti in parte il fascismo, per alcuni aspetti il socialismo, per altri ancora il nazionalismo romantico, questo movimento emerge in un contesto di militarismo nel bel mezzo degli anni ‘40.
Juan Domingo Perón, ex militare e ministro del Lavoro, acquisisce il potere attraverso un colpo di stato nel 1943. Nonostante un ingresso in scena tutt’altro che ortodosso, Perón riuscirà rapidamente ad ingraziarsi diversi movimenti di massa in forza della sua popolarità nel favorire e difendere i diritti e le condizioni di vita delle classi lavoratrici.
Il suo carisma e la sua capacità di connettersi con le masse di lavoratori furono fondamentali nel promuovere e porre le basi per un movimento che, oltre e a vincere direttamente le elezioni con l’omonimo leader al potere nel 1946, 1951 e 1973, caratterizzeranno le sorti di uno sciagurato “bordello” chiamato Argentina.
Ed è probabilmente quanto citato nell’introduzione che racchiude al meglio quello che è stato e che tuttora rappresenta per l’Argentina il Peronismo. Un’ideologia capace di adattarsi ed evolversi. Ai tempi della prima rivoluzione peronista fondata e radicata sul mito e sugli ottimismi di una ricchezza inesplorata. In seguito, con l’erosione della prosperità stessa, parte ruggente delle lotte socio-economiche. Tutto e niente.
Vi sono però svariati elementi che rendono inevitabile associare questo movimento ad una forma di populismo:
- Primo fra tutti la centralità del leader e una sorta di retorica anti-elite. La figura e la retorica dell’individuo Perón crearono un collante con i votanti, eleggendolo a salvatore del “pueblo” contro le tiranniche élite. A queste venivano spesso imputati i problemi del Paese stesso.
- Un altro elemento è la retorica dello scontro di classe, diretto proseguimento del punto precedente. La sua retorica esaltava molti argentini disillusi con l’assetto politico esistente. Seppur non definibile come movimento socialista, il Peronismo sfruttava la lotta di classe come arma, patrocinando la redistribuzione delle ricchezze, l’istituzione di forti sindacati e il diretto intervento dello stato nell’economia.
- Inoltre una forma di nazionalismo economico, autarchia e isolazionismo. L’intento di Perón era quello di rendere autosufficiente l’Argentina, minimizzando l’afflusso di investimenti esteri. Tra i vari mezzi la nazionalizzazione di industrie e servizi pubblici, la restrizione sui capitali, sulle importazioni e persino sulle esportazioni.
- Infine l’enfatizzazione dello stato sociale e l’autoritarismo politico-mediatico. Attraverso l’implementazione di programmi di welfare, Perón alimentava il proprio sostegno popolare. Allo stesso tempo l’utilizzo di misure autoritarie volte a mantenere il controllo sulla vita economica e politica non è mai mancato. Censura, repressione dell’opposizione e manipolazione degli strumenti democratici costituivano elementi di almeno parziale disfacimento dell’advocacy per il popolo.
Dopo la morte di Perón nel 1974 il Peronismo continua ad esistere e, come in seguito vedremo, ha assunto spesso la veste di governo, a volte dell’opposizione. Senza mai ledere la sua matrice populista.
La moglie Isabel Perón lo sussegue brevemente prima di essere rovesciata dal colpo di stato delle Forze Armate argentine nella notte del 24 Marzo 1976. Passando per Menem e, più avanti, per Néstor Kirchner e sua moglie Cristina Fernandez (questi ultimi seppero rivitalizzare a pieno l’elemento di giustizia sociale tanto caro alla versione originale di Juan Domingo Perón), il Peronismo rimane una bestia strana, estremamente adattabile e mutevole. Parte pulsante della politica argentina. Affascinante specchietto per le allodole dei movimenti di massa.
Metafora di una forma di governo sempre più attuale, terrena e meno “iconica”.
Faith
Eletto nel 1946, Perón fonda le radici della sua Argentina su tre pilastri: giustizia sociale, sovranità economica e indipendenza politica.
L’avvicendarsi di politiche economiche messe in piedi dal leader originario di Lobos era di matrice decisamente interventista. La radice autarchica sorgeva invece principalmente dal suo desiderio di isolare le dipendenze argentine dall’estero. In particolare da Europa e Stati Uniti. La sovranità economica era il suo mantra. Attraverso la nazionalizzazione di segmenti strategici e il perpetuo investimento nella costruzione di infrastrutture passava l’arteria del suo credo personalistico.
Le politiche che implementa una volta al potere mirano inoltre, e soprattutto dal punto di vista ideologico, a rinvigorire il rapporto con la classe lavoratrice e a consolidare le fondamenta del suo sostegno elettorale attraverso istituzioni sociali quali i sindacati. Questi ultimi diventeranno spalla primaria della sceneggiatura politica ed economica Peronista
Tra il 1946 e il 1948 il governo dà il via a significativi aumenti salariali tramite il sussidio di crediti. Questa manovra comporta l’aumento dei salari reali senza una corrispondente crescita dei prezzi. La reazione a questo tipo di politiche a sostegno dei consumi è un’espansione netta della domanda che, in primis, gonfia rapidamente lo sviluppo del settore secondario e che, a seguito dell’aumento della spesa e della massa monetaria, crea forti rialzi inflazionistici e di deficit fiscale.
Tra le misure vennero inoltre introdotti una serie di programmi e di riforme sociali volte a migliorare le condizioni di lavoro, pensioni e assicurazioni sociali. Perón portò sotto il mantello statale industrie cardine quali le ferrovie (di proprietà britannica fino a quel momento) e il controllo di beni e risorse strategiche come il petrolio attraverso l’ente YPF (Yacimientos Petrolíferos Fiscales).
Inizialmente efficace, grazie ad un boom di domanda domestica e all’allargamento dei settori industriali chiave, questo modello di sviluppo mostrò ben presto tutte le sue fragilità strutturali. L’intenzione era quella di rendere l’Argentina autonoma e autosufficiente, svincolata da qualsiasi pressione straniera; il deficit fiscale e la repentina creazione di moneta causarono ben presto risultati differenti.
Nel 1949 un drastico calo di export agricoli e riserve valutarie segna l’inizio di una crisi. Il governo sostituisce il ministro dell’economia con un nuovo assetto più conservatore. Dalla serie di politiche adottate e la continua immissione di flussi di sussidi ai lavoratori, emerge la netta sensazione che non vi sia alcuna strategia di lungo termine per lo sviluppo sostenibile del Paese.
La bassa capacità di risparmio interno e la fragilità del settore privato, l’eccessiva dipendenza dalla spesa pubblica e dal deficit fiscale. Questi elementi crearono un ciclo di instabilità che da un lato, il governo di Perón faticò a controllare, ma che, grazie al perpetuo ricorso a politiche sociali, non sembrò ledere il sostegno popolare.
Negli anni a seguire, il governo peronista provò a stabilizzare l’economia attraverso meccanismi di austerity e l’incentivazione all’investimento estero. Nonostante ciò persistette la matrice strutturale del declino argentino e le manovre adottate da Perón non fecero altro che rallentare la crescita economica e aumentare la disoccupazione. Il solco tra il settore privato e lo stato limitò la potenziale efficacia di qualsiasi tipo di politica di sviluppo economico.
Nonostante i tentativi di stabilizzazione, l'economia argentina continuava a soffrire di problemi strutturali, tra cui una bassa produttività agricola e industriale e una crescente dipendenza dalle importazioni.
Durante questo periodo di tensioni il rapporto tra l’Argentina di Perón e le istituzioni economiche internazionali (prima fra tutte il Fondo Monetario Internazionale, IMF) si incagliò sempre di più. Questo stato di allerta divenne intrinseco ad una più ampia polarizzazione interna tra le forze conservatrici e progressiste del Paese e culminò in una serie di tumulti sociali e politici, nonché di scioperi e di repressioni.
Machismo
Sin dagli inizi il Peronismo si basò su pilastri autoritari. Alcuni più velati, altri meno.
Primo fra tutti fu la centralizzazione completa del potere nelle mani del vertice rappresentato da Juan Domingo Perón. L’autonomia delle altre istituzioni statali, tra cui il Parlamento, venne drasticamente lesa.
I media furono totalmente ribaltati a favore della propaganda politica, nonché personalistica, del presidente. Oltre all’acquisizione dei vari mezzi di comunicazione, il governo censurò l’opposizione mediatica e limitò la stampa talvolta attraverso persecuzioni e intimidazioni. I dissidenti dei media non furono gli unici ad essere messi al bando. Gli antagonisti politici vennero duramente repressi. Tra questi anche sindacati non allineati alle linee peroniste, furono sottoposti ad arresti, violenze e persecuzioni.