La crisi dei Servizi per la salute mentale e la carenza di psichiatri

Affrontare il tema della crisi della assistenza psichiatrica in Italia (e dei possibili rimedi) comporta la necessità di un'attenta analisi dei dati, delle organizzazioni, delle procedure e una discussione sui valori e sui principi organizzativi di un sistema pubblico per la salute mentale.

La cosa riguarda direttamente non solo le 766.000 persone che in Italia sono state in carico ai servizi[1], nel 2022, e neppure solo le loro famiglie ma anche tutti coloro che  necessitano di  assistenza sociale e sanitaria (in pratica ogni persona di questo Paese).

Fra gli elementi che contribuiscono a determinare le difficoltà dell’attuale sistema, c’è la mancanza di specialisti psichiatri: tale carenza, che è andata consolidandosi negli ultimi anni, merita una riflessione specifica anche in considerazione del fatto che questo non è un esclusivo problema quantitativo ma ha importanti ricadute sia come indicatore di cambiamento del tessuto sociale e culturale del paese sia relativamente alla questione dell’evoluzione del sistema per la salute mentale, sistema nato oltre 45 anni fa  e che non ha trovato né le risorse materiali né quelle di cultura organizzativa necessarie alla sua evoluzione e a una sua riforma.

Volendo schematizzare gli elementi che stanno alla base di questo fenomeno proverei a suddividerli in questo modo:

1. Generale carenza di medici e di medici specialisti
È molto verosimile che vi siano stati degli errori di calcolo nella programmazione degli ingressi a medicina e nel calcolo degli specialisti che andavano formati. Uno dei fattori probabilmente non considerati è stato quello del ricambio generazionale: in una valutazione Eurostat, l'Italia ha i medici più vecchi d'Europa con il 54% del totale che ha una età superiore a 55 anni; secondo una stima dell’ANAO, fra il 2018 e il 2025, dei circa 105.000 medici specialisti, attualmente impiegati nella sanità pubblica ne potrebbero andare in pensione circa la metà ovvero 52.500 con l’esito di creare  difficoltà a garantire il turnover in molte specialità fra le quali la psichiatria.

2. Ammissione alla specializzazione
Nonostante Il recente aumento delle disponibilità, i posti per la specializzazione sono attribuiti secondo un sistema di graduatoria nazionale che fa scegliere ai neolaureati sedi e specialità rimaste a disposizione. In altre parole, la motivazione di una buona parte dei neolaureati che scelgono psichiatria è la disponibilità di un posto indipendentemente dal considerare altri aspetti quali la specificità del lavoro in salute mentale, i valori di etica sociale e quelli organizzativi specifici del lavoro territoriale; in molti casi avrebbero voluto fare altro ma scelgono ciò che c’è.  

3. La formazione specialistica
La cultura terapeutica che uno specializzando acquisisce dipende sia dalle sue motivazioni che dagli stimoli che riceve ed è molto collegata alla evoluzione culturale e scientifica della psichiatria stessa su cui pesa un destino pieno di interrogativi importanti e talvolta inquietanti [2].
Che cosa è la malattia mentale? Quale è il compito della psichiatria? Quale la sua collocazione nell’ambito delle discipline mediche e il suo coinvolgimento con le dimensioni sociali? La formazione che lo specializzando riceve sta in larga parte nelle risposte che a queste domande sarà in grado di dare. È lo stesso problema che si poneva agli psichiatri alla chiusura dei manicomi: quanto erano pronti a lavorare fuori dei reparti degli ospedali psichiatrici nel contesto del territorio con visite ambulatoriali, domiciliari, gestendo emergenze e interventi di inclusione sociale?

Oggi la questione si manifesta attraverso un pesante paradosso: la posizione scientifica e culturale dello specializzando è sostanzialmente diversa dalla rappresentazione sociale della psichiatria. I Servizi per la salute mentale ricevono quotidianamente richieste eterogenee e  sono costretti a intervenire  in situazioni nelle quali priorità e modalità sono decise da altri (magistratura, comuni, altri sanitari) e devono confrontarsi costantemente con una complessità che non è gestibile solo  con gli strumenti e la cultura  della specializzazione medica .

I servizi per la salute mentale sono fortemente condizionati nel loro lavoro dalle aspettative sociali e dalla domanda di controllo sociale. Il mandato della custodia, ossia la posizione di garanzia dello psichiatra nei confronti dei comportamenti della persona che ha in carico, non è venuto meno con la chiusura dei manicomi e il modello di psichiatria di comunità non si è evoluto a sufficienza per garantire risposte nelle situazioni complesse e con prolungati bisogni.

Questo  porta  a un intensificarsi degli interventi della magistratura nell’ambito della salute mentale: dai provvedimenti amministrativi (amministratori di sostegno) a quelli più propriamente legati a obblighi di cura in conseguenza o meno di un reato. Tutto ciò ha alimentato atteggiamenti difensivi nell’ambito della pratica psichiatrica che sono finalizzati a proteggersi da colpe e responsabilità e finiscono con il dare priorità alla preoccupazione per una denuncia invece che  alla ricerca del miglior percorso terapeutico e riabilitativo possibile.

4. Persistenti e irriducibili pregiudizi sulla malattia mentale e sulla sua cura
Sulla malattia mentale, su chi ne è affetto, sulle famiglie e su chi se ne occupa, sono tutt'oggi presenti pregiudizi e convinzioni stigmatizzanti. Nell'ambito della medicina il lavoro di psichiatra viene considerato di minor prestigio, così come le persone con disturbo mentale sono viste come diverse e problematiche e hanno  meno accesso alle cure sanitarie. Questi pregiudizi sono un disincentivo alla scelta della professione di psichiatra.

5. Le condizioni di lavoro nei servizi per la salute mentale
Una delle difficoltà della programmazione in salute mentale di questi decenni è stata quella di non avere mai calcolato e definito con precisione dei parametri relativi al  personale e alle strutture necessarie. Anche quando questo è stato fatto, come nel caso del recente Dm 77/22, è difficile capire quali siano stati i criteri e le logiche di calcolo del fabbisogno. Qui è sufficiente dire che anche secondo quei calcoli mancano 13.198 operatori di cui 1.465 medici. Credo che questi numeri andrebbero aggiornati, anche se sono di due anni fa, ma fanno comunque intendere che ciò che accade in un Servizio è che mentre utenti e famiglie ritengono di avere risposte insufficienti gli operatori hanno  un carico di lavoro sempre più insostenibile.

Questo è il clima che un neo specialista trova, specie nei servizi in maggiore difficoltà di risorse, ed è facile pensare come questo non favorisca né  motivazione individuale né quella di gruppo.

Se aggiungiamo le minori opportunità di progressione nei ruoli, spesso legata alle riorganizzazioni aziendali su grandi aree, e i livelli retributivi dei medici del SSN, in particolar modo di coloro che lavorano nel territorio, si comprende come le motivazioni alla scelta di lavorare nel pubblico ricevano un ulteriore indebolimento 

6. Aumento della domanda e servizi in ambito privato
A fronte della previsione che il 15% della popolazione generale potrebbe avere necessità di intervento di salute mentale solo 1,5%[3] è in carico ai servizi pubblici.

Il 13,5 % che non usufruisce dei servizi pubblici o non accede alle cure oppure si rivolge al mercato privato.  Il numero di persone che si rivolge ai Dipartimenti di salute mentale è sostanzialmente costante in questi anni;  un incremento della domanda si traduce in un aumento di richieste a professionisti privati. Il mercato privato necessita, a sua volta, di specialisti e costituisce una alternativa appetibile in termine di carico di lavoro, esposizione sociale e retribuzione al servizio pubblico. 

Se poi si considera che circa 1000 medici all’anno (130.000 nell’ultimo ventennio), formatisi in Italia si trasferiscono all’estero e che fra questi ci sono anche specialisti psichiatri, aggiungiamo un altro tassello che ci aiuta a comprendere il fenomeno che stiamo analizzando.

7. I territori meno urbanizzati sono quelli più carenti
Il fenomeno della carenza di specialisti non colpisce in modo omogeneo tutti i servizi del territorio nazionale. Senza entrare nel merito delle diverse necessità regionali [4] è un fatto che i Servizi dislocati in contesti più periferici rispetto ai centri urbani, specie quelli dotati di una Università, sono in maggiore difficoltà; tale fatto può essere interpretato in diversi modi ma le conseguenze sono che i servizi collocati in aree meno urbanizzate, già da anni, soffrono della carenza di specialisti nel servizio pubblico e il loro stato di sofferenza in termini di risorse li rende ancor meno attrattivi con la conseguenza di aggravare il problema. I pochi specialisti che arrivano, appena possono, se ne vanno in servizi meno in difficoltà o comunque più vicini a realtà urbane.

Se consideriamo tutti questi aspetti si comprende come il problema non sia di facile soluzione. Nonostante  molti operatori  quotidianamente lavorino con impegno, in modo critico e per un futuro migliore, è necessario prendere iniziative per ognuno  dei punti qui elencati per favorire la quantità e la qualità degli specialisti.

Una riorganizzazione del sistema, un aggiornamento nel percorso formativo e altre condizioni generali probabilmente non basterebbero se non si pensa anche a incentivare la presenza di specialisti nelle aree più disagiate. Le discussioni sulla salute mentale oggi [5] sono interessanti e ricche di proposte ma non arrivano (ancora?) o hanno esito nei tavoli istituzionali di Regioni e Ministeri.

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