Terminate le Olimpiadi, la politica italiana torna a parlare di cittadinanza.
Sembra quasi un déjà-vu se non fosse che, successivamente alle Olimpiadi di Tokyo del 2020, a riportare in auge l’argomento fu il presidente del Coni Malagò, il quale chiese a gran voce lo Ius soli sportivo.
Se ne parlò per un periodo, ma come spesso accade in politica, non trovando un punto in comune da cui partire, si finisce per accantonare la tematica e riporla nel cassetto.
Questa volta, però, sembra esserci uno spiraglio di luce, perché il ministro degli Esteri nonché leader di Forza Italia, Antonio Tajani, così come riportato sul sito degli esteri, attraverso un’intervista rilasciata a “Il Messaggero” ha aperto alla possibilità di riconoscere la cittadinanza ai minori stranieri che, residenti in Italia, abbiano completato uno o più cicli scolastici.
Sarebbe sicuramente una svolta storica, ma considerando come ogni schieramento politico conservi la propria idea e la propria posizione, c’è bisogno di estrema cautela ed occorra procedere un passo alla volta.
Difatti, ad oggi, se Fratelli d’Italia pur rappresentando il partito di maggioranza sia rimasto in silenzio, l’altro partito della coalizione ha già eretto un muro ed il suo leader, Matteo Salvini, attraverso un video pubblicato sui propri profili social ha sottolineato che “non c’è nessun bisogno, nessuna urgenza di cambiare la legge sulla cittadinanza che già oggi dice che l’Italia è il Paese europeo che concede più cittadinanze”.
Il dato fornito dal Ministro dei trasporti e infrastrutture è corretto: considerando un rapporto della Fondazione ISMU ETS si evidenzia che, in base agli ultimi dati Eurostat, nel 2022 abbia acquisito la cittadinanza italiana il 4,3% dei residenti con cittadinanza italiana a fronte della media del 2,6% per l’intera UE.
Ciò, però, non è sufficiente per rimanere arroccati sulle proprie posizioni, perché un dato resta un dato ed occorre contestualizzarlo al fine di poterlo interpretare correttamente.
Ed il contesto mostra come che si sia di fronte ad una legge vecchia di più di 30 anni all’interno di un Paese che da allora abbia subito continui cambiamenti, anche a livello demografico.
Contestualizzando, dunque, appare doveroso affrontare questa tematica delicata con la massima lucidità possibile, spogliandosi (anche se parzialmente) del ruolo di politico che difende le proprie posizioni ad ogni costo.
Dal lato opposto, sinistra e centrosinistra hanno sempre sostenuto la necessità di cambiare l’attuale legge sulle modalità di ottenimento della cittadinanza italiana, l’ultima delle quali avvenuta nel 2015, quando lo Ius Soli che recava la firma di Laura Boldrini, aveva ottenuto il sì dell’Aula della Camera (poi fermatosi al Senato) ottenendo 310 sì, 66 no e 83 astenuti; i contrari, ovviamente, erano rappresentati dai deputati di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, mentre gli astenuti erano costituiti dai deputati del Movimento 5 Stelle, oggi invece favorevoli.
Ius Sanguinis e le altre previsioni della Legge 5 febbraio 1992, n.91
Attualmente, così come previsto dalla L. 91/1992, ci sono delle modalità abbastanza stringenti per poter ottenere la cittadinanza italiana.
La prima, rappresentata dallo Ius Sanguinis, riguarda l’acquisizione automatica della cittadinanza italiana che si ottiene per nascita da un genitore italiano (art. 1, L. 5 febbraio 1992, n.91).
Sempre per nascita e sempre ai sensi dell’art. 1 della medesima legge, è cittadino italiano chi è nato nel territorio italiano se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi, ovvero se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato al quale gli stessi genitori appartengono.
Una ulteriore modalità “diretta” di acquisizione della cittadinanza italiana è inoltre rappresentata dall’adozione di un minore da parte di un cittadino italiano (art. 3).
Accanto allo Ius Sanguinis, poi, l’ottenimento della cittadinanza italiana può avvenire:
- per matrimonio (art. 5): è il caso in cui uno straniero sposi un cittadino italiano; in questo caso può richiedere la cittadinanza italiana dopo due anni di residenza legale in Italia, o dopo tre anni se risiedono all'estero (i tempi si dimezzano se la coppia ha figli);
- per naturalizzazione (art. 9): è il caso in cui uno straniero che risiede legalmente in Italia può richiedere la cittadinanza dopo un periodo specifico di residenza che può variare dai 3 anni ai 10 anni a seconda che si tratti di discendenti di cittadini italiani fino al secondo grado, apolidi e rifugiati, cittadini di un altro Stato membro dell’Unione Europea o cittadini extracomunitari.
Ius Soli
Diversamente da quanto accade per lo Ius Sanguinis, lo Ius Soli (puro o illimitato) prevede che il diritto di cittadinanza venga concesso aqualsiasi individuo nato sul territorio italiano, indipendentemente dai propri genitori e da qualsiasi altro fattore, così come avviene in Francia e negli Stati Uniti d’America.
In Italia, però, non è mai stato preso in considerazione lo Ius Soli in senso stretto ma, piuttosto, sarebbe più corretto parlare di Ius Soli temperato.
Lo Ius Soli temperato si fonda sul principio secondo cui è possibile ottenere la cittadinanza italiana se almeno uno dei due genitori risiede stabilmente e legalmente in Italia da almeno 5 anni.
Ius Scholae
Lo Ius Scholae rappresenta (o può rappresentare) un giusto compromesso tra i due estremi dello Ius Sanguinis e dello Ius Soli e, dunque, potrebbe essere il giusto terreno di confronto tra maggioranza ed opposizione.
Entrando nel dettaglio, lo Ius Scholae, il cui disegno di legge a firma della senatrice del PD Simona Malpezzi, prevede che la cittadinanza italiana possa essere ottenuta dai giovani extracomunitari nati in Italia od arrivati prima del compimento del dodicesimo anno di età che risiedano legalmente in Italia e che abbiano frequentato regolarmente almeno 5 anni di studio in Italia, ovvero a seguito di un percorso di istruzione e formazione professionale.
Considerazioni socio-educative
Sulla base della situazione attuale è più che lecito pensare che la questione immigrati presenti alcune criticità.
Il primo fattore da prendere in considerazione è sicuramente quello correlato all’istruzione.
Da un lato, troviamo il rendimento degli studenti non italiani di gran lunga inferiore rispetto a quello degli studenti italiani: infatti il 26,9% si trova in una situazione di ritardo scolastico contro il 7,5% degli studenti italiani.
Dall’altro, invece, il dato della dispersione scolastica tra gli studenti con cittadinanza non italiana, che è del 30,1% contro il 9,8% degli studenti italiani.