Due elefanti nella stessa stanza
Ai tempi della sua elezione, Modiji (soprannome usato colloquialmente per rivolgersi al presidente Modi) decantava promesse di sviluppo e trasformazione del paese corpo a corpo con il vicino gigante cinese, considerandolo come modello da imitare.
Poco tempo dopo, in occasione di una visita informale dello stesso Xi in India nel 2014, riecheggiavano rumors di penetrazioni cinesi sul suolo nazionale nei pressi della regione del Ladakh.
L'escalation definitiva delle tensioni mascherate è avvenuta nel 2020 sempre nella stessa area dove truppe cinesi ed indiane si sono affrontate causando diverse morti. Il più grave scontro tra le due nazioni negli ultimi 40 anni.
In reazione, il presidente Modi ha aumentato gli investimenti di difesa e migliorato le infrastrutture militari al confine. Quanto successo 4 anni fa ha definito un punto di svolta nel rapporto tra le due nazioni più popolose al mondo e ha fatto pagare la sua carente capacità risolutiva di gestire la crescente assertività della Cina di Xi.
Dal punto di vista delle sue ambizioni di affermazione regionale e globale, l'India ha iniziato a percepire il fiato sul collo della “regina d'Oriente”. Manovre quali la Belt and Road Initiative hanno generato timori riguardo la potenziale perdita di polso indiana nell'area. Per cercare di arginare queste minacce Modi ha dato il via ad un intensificazioni delle relazioni con gli Stati Uniti e altre potenze occidentali, instaurando rapporti di ordine economico e difensivo. Tutto questo senza mai mettere a repentaglio l'ambiguo rapporto con la criminale Russia di Putin.
La strategia estera attuale del presidente indiano si basa su tre punti principali. In primis costruire e rafforzare una serie di alleanze strategiche, tra cui quelle con Australia e Giappone per sostenere sicurezza e stabilità nell’Indo-Pacifico attraverso l’iniziativa del Quadrilatero di Sicurezza e con altri paesi del sud-est asiatico per bilanciare l'influenza cinese nella regione. In seguito affrontare la sorella cinese nella lotta per il dominio dei paesi in via di sviluppo. Infine intensificare la propria posizione ad ovest senza finire ingarbugliato nelle tensioni politico-commerciali tra l’Occidente e la Cina.
MODI, STIRRED NOT SHAKEN
Gli ingredienti del cocktail Modi non sono semplici da decifrare ma si evince sicuramente qualche tinta amara.
Nonostante le politiche di Modi siano state elogiate per il loro strizzare l’occhiolino ai principi economici liberali e per l’operosità nel promuovere riforme, sono anche al centro di forti critiche. Tali sono infatti “accusate” di essere a favore di un certo tipo di capitalismo “crony” (capitalismo clientelare) e di spingere alla soffocazione del dissenso e delle opposizioni. Preoccupa la demonizzazione nei confronti della popolazione di credo musulmano e questa sorta di matrice ideologica dell’amministrazione al potere, soprattutto se consideriamo tutto questo nel contesto di erosione dei valori democratici che già sopra citavo.
L’inaugurazione di fine Gennaio ‘24 del tempio Ayodhya coglie a pieno questa tendenza autocratica della nazione, sempre più spinta verso un esplicito nazionalismo induista. Questo evento non è isolato e si inserisce in un quadro ben definito di ristrutturazione identitaria.
A dimostrazione di questo, a fine Aprile, Narendra Modi si è lanciato in un alquanto controverso discorso nello stato del Rajasthan, definendo la minoranza musulmana come “infiltrata”. Questi, sempre secondo il carismatico primo ministro, sarebbero protagonisti dell’erosione della ricchezza nazionale qualora al potere dovesse salire il partito di opposizione. A chiudere in “bellezza” questo show politico Modi si rivolge alla popolazione femminile e le mette in allerta sul fatto che, sempre nel caso di vittoria del partito di Rahul Gandhi, i loro gioielli verrebbero confiscati e consegnati ai compatrioti di fede islamica.
Il “materiale” alla base di questa offensiva verbale risale ad alcune dichiarazioni effettuate dal suo predecessore Manmohan Singh, che nel 2006 difendeva l’equa distribuzione della ricchezza tra tutte le variegate comunità presenti all’interno del paese.
Su questa linea, dall’instaurazione del governo Modi, i musulmani hanno perso il diritto ad una rappresentazione almeno sufficientemente proporzionale nello sviluppo economico e sociale dell’India.
Queste parole non fanno altro che riflettere l’ideologia e i sentimenti del Bharatiya Janata Party (BJP) che, storicamente, tenta di polarizzare gli induisti contro i concittadini musulmani. Inoltre, fanno trasparire perfettamente le tensioni politico-religiose attualmente in corso in India e mettono ulteriormente in risalto quanto sia necessario lottare per cercare di mantenere laicità ed inclusività attive all'interno di un contesto così diversificato. Nonostante ciò, l’uso spudorato e diretto di queste parole ha generato preoccupazioni per il potenziale incitamento all’odio e alla violenza contro il gruppo bersagliato dalla conferenza, soprattutto considerando la già estrema natura della destra che il BJP rappresenta.
Da parte dell’opposizione si sono scagliate forti critiche. L’utilizzo di motivi religiosi nel discorso del premier ha scaturito preoccupazioni riguardanti potenziali violazioni delle regole elettorali. Alcuni sostengono anche si siano trattate di parole per distogliere l’attenzione dai reali problemi del paese quali la disoccupazione e l’inflazione. Nonostante ciò niente si è concretizzato, considerando che con regolarità il BJP fa uso di riferimenti religiosi durante i suoi comizi, e Narendra Modi resta il favorito per vincere.