La “Piccola Divergenza”
Durante l'antichità, l'espansione dell'Impero Romano creò un vasto sistema economico che abbracciava gran parte dell'Europa e l'intero bacino del Mediterraneo, con l'Italia come suo epicentro. Questa impostazione persistette durante il Medioevo, con il fiorire dei comuni e poi con la nascita di città-stato in grado di dominare i commerci, la finanza e la produzione di beni di lusso. Il contesto economico iniziò a cambiare nel corso dell'Età Moderna, con un lento spostamento del baricentro dell'economia europea da Sud a Nord. Questo processo storico, chiamato “Piccola Divergenza”, portò allo spostamento verso Nord del centro dell'economia europea, portando ad emergere i Paesi Bassi come il cuore economico dell’Europa.
Non sarebbe azzardato ammettere che la “Piccola Divergenza” sia sostanzialmente all'origine delle gerarchie economiche (e non solo) che oggi caratterizzano l'Europa. La presenza di un'area più economicamente sviluppata, capace di influenzare il commercio e la produzione anche oltre i propri confini, tende a creare una distinzione tra un centro e delle periferie, con inevitabili conseguenze sugli equilibri di potere e sull'influenza politica.
Un confronto sulle diverse crescite potenziali
Il Sud Europa presenta un potenziale di crescita più lento rispetto ai paesi del Nord Europa. La crescita potenziale si riferisce alla capacità di un'economia di crescere nel lungo termine senza generare pressioni inflazionistiche, escludendo gli effetti a breve termine legati agli squilibri tra domanda e offerta. In altre parole, quanto più un'economia riesce ad aumentare la sua crescita potenziale, tanto più può incrementare il suo PIL in modo sostenibile nel tempo. Il potenziale produttivo è determinato da tre fattori principali: lavoro, capitale e produttività (o produttività totale dei fattori, TFP).
Diverse organizzazioni stimano la crescita potenziale dei paesi. Sebbene possano variare in alcuni aspetti, i risultati sono inequivocabili: la crescita potenziale di Spagna, Grecia, Italia e Portogallo è tra le più basse in Europa. Questo emerge chiaramente dai dati dell'OCSE e della Commissione Europea. Secondo i dati dell'OCSE, la crescita reale potenziale è aumentata solo dell'1,09% in Portogallo, dello 0,57% in Spagna, dello 0,1% in Italia, mentre è diminuita dello 0,40% in Grecia nel periodo compreso tra il 2014 e il 2019.
Confrontando queste cifre con il resto dell'Europa, si nota un divario di circa due punti percentuali rispetto alla maggior parte dei paesi dell'Europa orientale e un deficit di un punto rispetto alle economie scandinave.
Ma ciò che conta in termini di divergenza economica è che nel 2019 il PIL del Nord dell’Eurozona (Germania, Austria e Paesi Bassi) risultava superiore di oltre il 14% rispetto al livello pre-crisi finanziaria, mentre nel Sud si registrava un recupero più lento: la Francia aveva recuperato l’11%, la Spagna l’8%, ma l’Italia non aveva ancora completato il recupero, rimanendo ancora al di sotto del 4%, e la Grecia era ancora in arretrato del 25%.
Le disuguaglianze di reddito
Le disuguaglianze economiche possono essere dovute da diversi fattori, uno di questi è il reddito. Per misurare le differenze che sussistono tra i redditi percepiti, si utilizza l’indice Gini. Senza entrare troppo nei dettagli, questo numero può avere un indice con valore compreso tra 0 e 100. Più l'indice di Gini è basso, più la distribuzione del reddito si avvicina a una situazione di perfetta uguaglianza, in cui tutte le persone hanno lo stesso reddito. Al contrario, più l'indice è alto, più i redditi sono concentrati in un piccolo gruppo di persone, indicando una maggiore disuguaglianza economica.
Secondo gli ultimi dati, tra i paesi con un indice di Gini più elevato rispetto all'Italia si trovano tutti nell'Europa orientale: Bulgaria (38,4%), Lituania (36,2%) e Lettonia (34,3%). Al contrario, i valori più bassi sono registrati in Belgio (24,9%), Repubblica Ceca (24,8%), Slovenia (23,1%) e Slovacchia (21,2%).
Disparità tra Ovest ed Est: il caso delle due Germanie
Oltre alle evidenti disparità tra il Nord e il Sud Europa, i dati del coefficiente Gini mettono in luce significative differenze tra l'Europa occidentale e orientale che non sono ancora state colmate. Un caso di studio interessante in questo contesto è quello della Germania. Nel 1990, dopo la caduta della Repubblica Democratica Tedesca, la parte orientale della Germania era significativamente meno sviluppata di quella occidentale. Nonostante il divario si sia ridotto, trent'anni dopo la riunificazione, le differenze economiche tra le due regioni rimangono notevoli e continuano a generare forti disparità anche a livello sociale.
Il divario così ampio tra le due regioni è stato principalmente dovuto a scelte errate di politica economica durante il processo di riunificazione. La decisione di porre fine alla divisione tra Est e Ovest non è stata principalmente guidata da motivi economici, ma da un sentimento patriottico e di unità tra i cittadini tedeschi, desiderosi di riunirsi. Questo ha portato a forzare alcuni processi che avrebbero richiesto anni di tempo per riequilibrarsi e che invece sono stati messi in atto in meno di un anno.
Disparità Nord e Sud: il caso dell’Italia
Il ritardo economico del Mezzogiorno rappresenta la più importante fonte di disuguaglianza per l’Italia e uno dei maggiori freni alla crescita economica complessiva del nostro paese. Nel Mezzogiorno vive un terzo della popolazione italiana ma viene prodotto poco più di un quinto del PIL, dalle regioni meridionali si origina appena un decimo delle esportazioni nazionali.
A partire dalla crisi finanziaria, il ritardo del Mezzogiorno in termini di PIL per abitante si è dunque ampliato, in parte seguendo una tendenza all’aumento dei divari territoriali che ha riguardato la maggior parte delle economie avanzate. I processi diffusivi dello sviluppo economico si sono infatti indeboliti e si è accentuata la distanza tra le regioni periferiche e le aree che vantano centri urbani in grado di sviluppare forti economie di agglomerazione.
La storia del Sud Italia presenta analogie con quella delle due Germanie: nel 1861 si unirono due Italie diverse, a causa delle differenti storie degli Stati preunitari. Esisteva una grande diversità nei livelli di istruzione, nelle strutture sociali e istituzionali tra le regioni che facevano parte del Regno delle Due Sicilie e il resto del paese. Il ritardo economico del Mezzogiorno dipende essenzialmente dal fatto che si è industrializzato in ritardo, e con minore intensità, rispetto al resto d’Italia. Questo ritardo ha avuto effetti economici, ma anche conseguenze sociali e politiche.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza rappresenta un'opportunità chiave per l'Italia, focalizzandosi su due obiettivi principali: migliorare l'efficacia dell'azione pubblica attraverso una governance più efficiente e potenziare l'iniziativa privata nel Mezzogiorno, riducendo i divari infrastrutturali e potenziando il tessuto produttivo delle aree urbane. Il vasto programma di riforme e investimenti delineato nel Piano nazionale di ripresa e resilienza offre al paese l’opportunità di rafforzare questi ambiti, affrontando con il sostegno di mezzi finanziari significativi alcuni dei problemi strutturali che ormai da un quarto di secolo ne frenano la crescita.
Politica di coesione: il ruolo dell’UE
Il rafforzamento della propria coesione economica, sociale e territoriale è uno dei principali obiettivi dell'Unione Europea. L'Unione dedica una parte significativa delle sue attività e del suo bilancio alla riduzione del divario tra le regioni, con particolare riferimento alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici.
L'UE sostiene il conseguimento di tali obiettivi mediante l'uso dei Fondi strutturali e di investimento europei (FSE, FESR, Fondo di coesione e Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca FEAMP) e il Fondo per una transizione giusta (JTF).
Il Fondo sociale europeo, denominato dal 2021 Fondo sociale europeo Plus (FSE+), è il principale strumento dell'Unione a sostegno delle misure volte a prevenire e combattere la disoccupazione, sviluppare le risorse umane e favorire l'integrazione sociale nel mercato del lavoro. Esso finanzia iniziative che promuovono un elevato livello di occupazione, le pari opportunità per uomini e donne, lo sviluppo sostenibile e la coesione economica e sociale.
Gli innegabili successi conseguiti dall'Europa nel ridurre le disuguaglianze tra i singoli Stati membri non devono nascondere i problemi che rimangono insoluti. In primo luogo, ridurre le disuguaglianze non vuol dire annullarle, i progressi divengono tanto più difficili quanto più le posizioni si sono avvicinate. In secondo luogo, è giusto ricordare come l'Europa abbia avuto maggior successo nel favorire la riduzione delle disuguaglianze tra Paesi, che entro ciascuno di essi, e l’Italia ne è la prova.