Come funziona la macchina repressiva russa?

Le notizie di repressione del dissenso in Russia sono all'ordine del giorno. La recente liberazione di alcuni prigionieri politici russi rappresenta un faro di speranza in mezzo al mare dell'oppressione ma non basta. In Russia nessuno sa mai quando e per cosa sarà punito, "nessuno sa come sarà il suo destino, sostanzialmente".

Onde meglio comprendere la società russa odierna, risulta necessaria una breve dissertazione sociologico-culturale in merito ad alcuni concetti chiave: 

  • Verità ripetuta: possiede una particolare risonanza nella pratica di governo russa; nella sua essenza riflette la tendenza della società a reiterare alcune narrazioni ed idee fino a trasformarle in vere e proprie verità percepite. Dal periodo zarista, transitando per l’era sovietica, giungendo infine alla Russia contemporanea, il controllo della narrazione costituisce un mezzo cruciale atto a modellare l’identità collettiva: un fenomeno che non solo ha plasmato la percezione della realtà, ma è stato in grado di influenzare la memoria storica ed il senso stesso di appartenenza alla nazione. La continua ripetizione di ben precisi miti nazionali e la glorificazione del passato rappresentano elementi peculiari nel consolidare un’identità collettiva coesa, al tempo stesso di fatto distaccata da un’autentica riflessione critica ed analitica della realtà storica.
  • Senso del destino: è un sentimento intrinsecamente legato alla percezione della storia quale flusso inevitabile di eventi, legato al concetto di predeterminazione degli stessi. In numerose narrazioni culturali e storiche russe è presente una profonda accettazione del destino all’interno della quale emergono evidenti atteggiamenti di resilienza e fatalismo dinanzi alle avversità. Il senso del destino pervade anche la letteratura russa all’interno della quale molteplici personaggi sono chiamati ad affrontare situazioni di sofferenza e sacrificio con un’accettazione quasi “stoica” del proprio ruolo all’interno del “grande schema”. Ad amplificare una simile visione dell’esistenza, le esperienze storiche di invasioni, rivoluzioni e regimi oppressivi divengono elementi essenziali atti a forgiare una mentalità collettiva che guardi alla storia come un ciclo di prove e tribolazioni inevitabili.
  • Sistema di potere verticale: descrive la struttura gerarchica e centralizzata del potere in Russia; un sistema caratterizzato dalla forte concentrazione del potere nelle mani di un leader, spesso a discapito delle autonomie locali e delle istituzioni democratiche. Risale a tradizioni autocratiche storiche, quali quelle zariste e sovietiche e trova attuazione nell’attuale controllo centralizzato, visto dal “regime” come necessario al fine di mantenere l’ordine e la stabilità del paese. Di fatto ha profonde implicazioni in termini di governance, politica e vita sociale, costituendo di fatto un elemento cardine delle dinamiche di autorità e sottomissione.
  • Blat: si riferisce ad un sistema di reciprocità informale ed al favoritismo basato su reti di contatti personali e conoscenze. Durante il periodo sovietico costituiva un pratica comune al fine di ottenere beni e servizi, altrimenti difficilmente ottenibili data la loro scarsità, avvalendosi di connessioni personali anziché rivolgendosi ai canali ufficiali. Il blat, nonostante sia informalmente riconosciuto ed in parte tollerato, è divenuto paradigma del perpetuare la cultura basata su scambi reciproci e favoritismi che ancor oggi continua ad influenzare le interazioni economiche e sociali della Russia contemporanea.
Alexei Anatoljewitsch Nawalny (foto di Evgeny Feldman, Wikimedia commons, Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International)

In Russia, le notizie di repressione del dissenso sono all'ordine del giorno. L'ultimo caso che ha fatto rumore ha riguardato Alexei Navalny, ma la macchina repressiva russa non si limita a questo. Si tratta di un sistema così profondamente radicato da permeare la vita quotidiana delle persone comuni e da prevedere l’utilizzo di qualsiasi mezzo legale o extralegale a disposizione. Emblematica in questo senso è la legge sull'agente straniero, che recentemente riguardato anche la Georgia.

Per comprendere la reale portata di questo fenomeno, è essenziale andare oltre le osservazioni superficiali dei fatti quotidiani e superare la visione idilliaca della Russia spesso veicolata dai media. Bisogna chiedersi come funzioni veramente la macchina repressiva russa e lo facciamo insieme ad Anna Alexandrova.

Anna Alexandrova, linguista russa residente in Italia e attivista del gruppo Russi contro la guerra, ci racconta come “una delle cose di base che minaccia un cittadino russo che vuole esprimere le proprie idee politiche che vanno contro la linea generale del partito è l’indeterminatezza della punizione”: la repressione in Russia è talmente radicata che, nessuno sa mai quando e per cosa sarà punito, “nessuno sa come sarà il suo destino, sostanzialmente”.

La dittatura russa è una dittatura moderna da tutti i punti di vista”: ha cioè la possibilità di servirsi di molti strumenti tecnologici e di un controllo penetrante e l’idea comune è che sia diventata invincibile “o almeno sembra che non si possa fare molto” a causa degli strumenti come “la videosorveglianza che è veramente capillare soprattutto nelle città grandi”. Di tutto ciò si è sempre sottovalutato la portata e “sottovalutare il pericolo che rappresenta questo regime è stato un errore” perché questo gli ha permesso di continuare ad avanzare in questo settore.

La conseguenza di tutto ciò è che ogni giorno “tante persone sono intimidite e hanno paura anche di scrivere, per esempio, in una chat privata quello che pensano, hanno paura anche di dirlo ad alta voce e iniziano ad evitare i parenti che parlano contro il regime proprio per paura, anche quando non sanno bene di cosa esattamente hanno paura”. Il sistema è così pervasivo che “in generale per qualunque debito con lo stato” come anche una “tassa stupidissima di 10 rubli o una multa” non è possibile lasciare i confini.

I dipendenti pubblici sono tra quelli più esposti alla repressione perché dipendono dallo stato che può licenziarli, escluderli, sospenderli, ricattarli con incentivi e nel caso di mancata obbedienza accanirsi sulla famiglia e i figli. E a questo proposito  si ricordi che in Russia un enorme porzione dell’economia dipende in modo diretto o indiretto dallo Stato(1).

Statistic: Share of employed persons in Russia in 2022, by industry | Statista
Fonte: Statista

Nell’ambito universitario, quello che più di tutti si distingue per essere “il covo dell'anti-putinismo" i docenti sono sovraccaricati di lavoro e gli studenti messi sotto un'enorme pressione: “l’università è stata resa completamente precaria” e “la cosa passa in modo anche inosservato per il grande pubblico”.  

In un ambiente del genere “queste persone diventano completamente ricattabili e rimangono in questo stato fino alla pensione”: la situazione è quella della precarietà come sistema di controllo “in cui basta una mossa sbagliata per perdere lavoro”.

Ultimamente si sente spesso parlare di "agente straniero", un’etichetta stigmatizzante introdotta in Russia con il pretesto di "fare riferimento agli Stati Uniti". L'idea è che "negli Stati Uniti c'è una legge per cui alcune persone, alcune istituzioni debbono dichiararsi «agenti stranieri» e quindi anche noi, che mica siamo peggio degli Stati Uniti, abbiamo bisogno di una legge del genere".
All'inizio sembrava "niente di pericoloso, che bastasse dichiarare di esserlo ed era sufficiente". In realtà, il modus operandi dello Stato russo è "procedere sempre per passi" sebbene l'obiettivo sia sempre stato quello di "rendere la vita del cosiddetto agente straniero impossibile": nel concreto infatti un agente straniero "non può scrivere nulla, non può dire nulla senza dichiarare che lui è un agente straniero", pena "una serie di sanzioni che hanno un effetto cumulativo".

Pagare le multe allo stato Russo” significa “finanziare la guerra, finanziare la repressione e finanziare tante cose” ma “se uno si trova in Russia non può non pagarle perché ci sono conseguenze immediate” come il pignoramento della casa o qualsiasi altro stratagemma. Questo meccanismo paradossale funge da “fattore deterrente” per chiunque manifesti dissenso e spinge molti a lasciare la Russia. Ma, “anche questo è l'obiettivo del regime: che tutte le persone attive che hanno preso posizioni devono andarsene o devono finire in prigione”.

Per quanto riguarda gli attivisti di vecchia data una delle strategie comuni per screditare una persona è stata l’uso di leggi anticorruzione. Un esempio celebre è quello di M. Khodorkovsky: imprenditore accusato di frode fiscale. Come lui tante altre persone “sono state condannate per reati che formalmente non c'entravano nulla con la politica”. Si tratta di una strategia usata ampiamente da Putin per mantenere una parvenza di legalità al suo governo e “far chiudere un occhio ai leader occidentali su quello che succedeva in Russia”. 

Il trattamento dei prigionieri politici in Russia è particolarmente severo, mirato a isolare e reprimere ogni forma di dissenso. "In Russia c'è stato un uso molto ampio [...] dei centri di detenzione preventiva per arrestare con pene amministrative gli attivisti" e anche brevi detenzioni, come 2 settimane o 1 mese, possono moltiplicarsi - come nel caso di Vladimir Kara-Murza, condannato per alto tradimento - o comunque portare a “un rapido impoverimento materiale e a una marginalizzazione sociale”.

Le pene amministrative poi aumentano progressivamente, creando un effetto cumulativo che esaurisce lentamente le file degli attivisti. "Ogni volta la persona viene condannata per un periodo più lungo, facendo capire che se continua, finirà in prigione sul serio" e questo porta all'esaurimento delle persone su cui può contare l'attivismo in generale.

Tra il 2011 e il 2013, gli anni di Boris Nemtzov (forse il più celebre tra gli oppositori di Putin prima di Navalny, e assassinato nel 2015) e delle intense proteste poi represse violentemente, le condizioni erano particolarmente dure nelle città lontane dai centri come Mosca e San Pietroburgo. Nižnij Novgorod, città da cui proviene Anna Alexandrova, è nota per "una repressione massiccia del dissenso", con un arresto su cinque in caso di manifestazione.

In sintesi, questo ci porta a comprendere come essere un dissidente politico in Russia significa affrontare non solo la privazione della libertà, ma anche un isolamento sociale e materiale che mira a distruggere l'individuo e a dissuadere chiunque dal seguire il suo esempio.

Il 10 giugno 2018 a Mosca si è tenuta una manifestazione "Per una Russia libera, senza repressione e senza dispotismo". (wikimedia commons)

Quando si parla di dissenso politico in Russia saltano fuori dei nomi, più o meno noti, di attivisti o uomini politici che rappresentano in maniera simbolica la dura lotta alla repressione russa. Uno dei volti più noti anche in Occidente è Vladimir Kara-Murza: dissidente politico russo sopravvissuto a due tentativi di avvelenamento. E’ uno dei 26 prigionieri liberati dalla Russia in Turchia nel grande e storico scambio di prigionieri avvenuto nelle ultime ore. Kara-Murza è un dissidente famoso per aver fatto "lobbying delle sanzioni contro i portafogli di Putin e contro gli esponenti del regime che fanno parte della macchina repressiva dal 2014", in seguito all'annessione illegale della Crimea. Nonostante il pericolo, Kara-Murza ha continuato a tornare in Russia. Stranamente, il regime ha scelto di "tentare di ucciderlo due volte ma non di mandarlo in carcere". Le ragioni dietro queste decisioni rimangono oscure e speculative. In linea generale sono le stesse che hanno portato a sospettare di Navalny, arrestato solo nel 2020, o di altri personaggi come Ilya Yashin, “politico molto rilevante per l'opposizione russa e per i cittadini contrari al regime anche se è poco noto fuori dalla Russia” (coinvolto anche lui nell’operazione di liberazione ad Ankara). Anche nei suoi riguardi ci si è chiesti perché fosse ancora libero dopo essere “stato condannato per una diretta su YouTube in cui ha parlato della strage di Bucha”.

Kara-Murza e Yashin sono entrambi attualmente liberi. Durante la loro prigionia però hanno continuato ad essere attivi e a fare sentire la propria voce commentando grandi eventi come ad esempio la morte di Navalny. In Russia infatti “esiste la possibilità di scrivere una lettera a qualunque detenuto” (ad esclusione di quelli che si trovano in regimi particolari di detenzione) sebbene con molte limitazioni, “per esempio è vietato scrivere in lingue straniere e c'è tutta una serie di ostacoli come pagare l'invio di questa lettera dalla Russia” ma per questo ci sono alcune ONG che aiutano a farlo, come ad esempio Memorial.

Solitamente, gli avvocati sono uno degli strumenti principali per la comunicazione dei detenuti politici perché è a loro che vengono dettati testi per poi essere trascritti e pubblicati, ma ci sono casi estremi come quello di Navalny. “A lui hanno limitato in vari modi la possibilità di interazione con gli avvocati finché letteralmente loro non sono stati incarcerati” con accuse infondate di collaborazione con un terrorista (cioè Navalny stesso). Da questo punto di vista ad altri detenuti sono concesse più libertà (si prenda con le pinze il termine “libertà”). 

Navalny oltre ad essere stato perseguitato dal regime russo e ucciso è diventato a sua volta un pretesto per essere accusati: Antonina Favorskaya è una giornalista accusata e arrestata per “aver coperto tutti i processi di Navalny”. Tra le altre cose a lei appartiene “l’ultimo video dove vediamo Navalny vivo”. 

Quando si parla di Kara-Murza o di dissenso politico in generale si parla anche di scambio di prigionieri. Maria Pevchikh della fondazione anticorruzione di Navalny ha rivelato che erano in corso trattativei per scambiare Navalny con altri prigionieri russi detenuti in Occidente, in particolare Vadim Krasikov (agente dell'FSB implicato in un omicidio Germania): al centro anche lui nel caso del grande scambio tra Russia e Occidente. Anna Alexandrova sostiene che generalmente “sia auspicabile cercare una opportunità per fare uno scambio di detenuti politici” ma lo stesso caso di Navalny che prima che si potesse fare uno scambio è stato ucciso solleva alcuni dubbi e preoccupazioni. 

Ci sono stati precedenti di scambi di prigionieri, come nel caso della cestista americana Brittney Griner, scambiata con Viktor Bout, un noto trafficante di armi. “Il governo russo cerca di catturare gli stranieri” con l’obiettivo di “creare un fondo di scambio per poter far tornare determinate persone che gli servono dall'estero ed è ovvio che poi i governi esteri occidentali avranno un interesse maggiore a liberare i propri cittadini come succede sempre.” Quindi cercano di avere sempre cittadini stranieri detenuti da usare come leva di negoziazione. 

L'episodio più recente e sorprendente si è verificato nelle ultime ore in Turchia, ad Ankara, su territorio neutrale. Prima dello scambio, l'atmosfera era estremamente tesa. L’11 luglio a Mosca, durante un udienza è stata confermata la condanna di Oleg Orlov(2).

Il 18 luglio, Yashin ha denunciato pubblicamente (durante l’udienza che lo vedeva coinvolto) le condizioni nella cella d’isolamento in cui era detenuto(3). Il 29 Luglio Orlov non era più nel centro di detenzione preventiva di Syrzan(4). Poi, il 1 Agosto è stato poi annunciato qualcosa di inaspettato: “Russia has completed a prisoner exchange with the U.S. and Germany. According to data available to The Insider, the released political prisoners include Evan Gershkovich, Vladimir Kara-Murza, Paul Whelan, Ilya Yashin, Alsu Kurmasheva, Andrei Pivovarov, Oleg Orlov, Alexandra Skochilenko, Lilia Chanysheva, Ksenia Fadeeva, Rico Krieger, Kevin Lik, Demuri Voronin, Vadim Ostanin, Patrick Schobel, and Herman Moyzhes. In return, Russia has received FSB operative Vadim Krasikov, along with multiple spies and fraudsters(5).

L’operazione, secondo quanto riportato da The Insider, è il risultato di un lavoro che va avanti da anni. Tra i  prigionieri russi liberati oltre Orlov, Kara-Murza e Yashin figura anche Sasha Skochilenko. Quelli di Sasha Skochilenko(6), Oleg Orlov e Daria Kozyreva sono casi recenti ed emblematici che ci permettono di capire ancora più nel concreto quanto agisca sottilmente e profondamente la macchina repressiva russa non solo sui grandi nomi dell’attivismo ma anche sulla società civile e quanto le condanne - il più delle volte a danni di persone anziane - siano sproporzionate.

Sasha Skochilenko è stata arrestata e condannata per oltre 7 anni per aver esposto notizie sui bombardamenti di Mariupol e su altri crimini commessi dall'esercito russo in Ucraina al posto dei prezzi in un supermercato. Il suo è un caso esemplare per l’intimidazione ricevuta e per la sua condizione: si tratta infatti di una persona estremamente fragile con gravi problemi fisici e psichiatrici. Il regime di Putin l’ha punita e torturata crudelmente e “questo è stato fatto sicuramente per far capire a ogni cittadino russo che la pietà non c'è, che non esiste la compassione e che chiunque può essere condannato per 7,10 o 20 anni e non ci sarà nessun una concessione, nessuna grazia: questo, questo succede in Russia.”

Un aspetto paradossale è che mentre Oleg Orlov (leader di Memoria) è stato condannato a 2 anni e mezzo per aver definito fascista in un suo articolo il regime russo, Alexei Gorinov (consigliere municipale, persona anziana con diverse patologie) ha avuto una pena di 7 anni “per fake news sull’esercito russo”, cioè per aver criticato ciò che la Russia fa in Ucraina. Seppur quello fatto da Orlov potrebbe sembrare oggettivamente più grave è difficile confrontare le pene perché “la maggior parte di queste nuove leggi che riguardano la repressione, [...] danno le forchette molto ampie per le condanne a volte possono variare da una multa, magari anche molto elevata, fino a condanne pesantissime. C’è tantissima libertà e poi spesso queste condanne vengono modificate” e questo riguarda lo stesso Orlov passato da una reclusione più breve a una rivalutazione del suo caso. 

Un ulteriore caso emblematico è quello di Daria Kozyreva. Daria è una studentessa diciottenne di San Pietroburgo - precedentemente già espulsa e sottoposta a un caso penale per il suo attivismo - che è stata arrestata per aver apposto una poesia sotto la statua di di Taras Ševčenko, uno dei padri della letteratura Ucraina.

Un manifestante tiene in mano un poster che chiede il rilascio di Alexei Navalny. Mosca, Tsvetnoy Boulevard (Wikimedia commons, Sergey Korneev, Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International)

La Russia non è uno stato di diritto e la situazione va sempre più peggiorando, quanto descritto da Anna Alexandrova è un “lento scivolare verso l'illegalità totale per cui è inutile, è impossibile ragionare su questo sistema in termini legali perché non è un paese in cui gli esseri umani hanno diritti. [...]  è un sistema complesso, pseudo-giuridicoin cui le norme subiscono modificazioni interne”. Quali osservatori esterni dobbiamo fondamentalmente “capire che uno non può difendersi da questo sistema con gli strumenti legali, può succedere solo per puro caso uno può avere la fortuna di salvarsi in qualche modo di scampare il pericolo però uno non può contarci.

In quello che è lecito definire “regime” si osserva che  “ad ogni livello del sistema le persone con dei principi vengono sostituite con quelle senza principi” il tutto accompagnato da  un sistema giudiziario profondamente corrotto nel corso degli anni. Anna Alexandrova ci racconta che “già negli anni 2010 si condannava la gente senza la presenza di un avvocato, quindi uno veniva portato al tribunale e dopo l'arresto, con un processo lampo alle 7 di mattina, riceveva la sua condanna”.  

Lungi da giustificare o esonerare qualcuno dalle proprie responsabilità e colpe, Anna Alexandrova ammette di auspicare che in Russia “un giorno, le persone che hanno colpe molto specifiche, che hanno commesso tanti crimini, ricevano una bella condanna con in un sistema di diritto, quello vero”.

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