Il premio chiesto dall’assicuratore sarebbe ovviamente determinato anche dalla probabilità di accadimento di un terremoto. Cittadini e imprese del centro e del meridione (e quelli della fascia che attraversa il Friuli Venezia Giulia) pagherebbero premi sensibilmente superiori a quelli di Sardegna e Trentino, aggravando in modo non simmetrico i costi di impresa.
Un altro criterio fondamentale per la formazione del premio, e in subordine per l’ammissibilità della proposta assicurativa, è la mitigazione del rischio. L’assicuratore può chiedere al proponente di mettere in atto procedure e presidi che riducano la probabilità e l’entità di evento avverso. All’impresa si può chiedere di dotarsi di una vasca per l’approvvigionamento rapido di acqua in caso incendio, di installare porte tagliafuoco per separare la produzione dal magazzino ecc.
Nel caso dei catastrofali queste procedure sarebbero al difuori del controllo delle parti. Come controllare, e obbligare, una amministrazione pubblica ad eseguire sistematicamente lavori di pulitura dei greti dei fiumi o vasche di laminazione?
Dato l’obbligo a contrarre (secondo lo schema di decreto in discussione) l’assicuratore avrebbe come unica protezione il prezzo per il rischio. Nella mia carriera nel mondo delle assicurazioni mi sono trovato molte volte a lavorare su rischi non standard e a scrivere testi di polizza. Cito ad esempio il caso di un’azienda italiana che aveva brevettato un sistema di ritenzione per manutenzione su grandi edifici e grattacieli. Data l’innovazione del brevetto, insieme ad un assicuratore inglese riuscimmo il primo anno ad assicurare il rischio ad un costo sperimentale di 14.000 sterline; ma già il secondo anno, pur in assenza di sinistri, questo costo fu portato a 90.000 sterline. Inutile sottolineare che l’impresa si rifiutò di rinnovare il contratto.
Quante imprese italiane saranno costrette a pagare premi assicurativi che erodono il conto economico?
Sulle polizze grava anche il prelievo fiscale. L’Italia è uno dei Paesi UE in cui il peso delle imposte è più elevato; solo Finlandia con il 31,44% e Francia con il 24% chiedono di più rispetto al nostro 22,5%. Vero è che con la Legge di Bilancio 2018 il legislatore ha disposto la non applicabilità dell’imposta sul premio per NAT-CAT e successivamente la detraibilità al 19% e fino al 90% a seconda dei casi, ma resta l’imposizione fiscale sul rischio incendio standard di cui quello per catastrofi naturali è accessorio.
Quale polizza, quali danni
Se la ratio della copertura assicurativa obbligatoria è quella che abbiamo spiegato, resta da capire il tipo di coperture assicurative offerte dal mercato. Tutte le polizze incendi+NAT-CAT prevedono il risarcimento dei danni diretti e materiali e non, salvo rarissime e ben circoscritte eccezioni, quello per danni indiretti. Supponiamo un evento climatico, come l’esondazione di un fiume, che danneggi un capannone industriale; ad essere risarciti sarebbero i danni al fabbricato, agli impianti, ai macchinari e alle merci perdute a seguito dell’evento; non sarebbero risarciti i costi di avviamento, il lucro cessante, i costi per la ricollocazione dei beni residui e così via, salvo diversa pattuizione. In altri termini l’impresa si vedrebbe ristorata solo per una parte del danno subito. Inoltre, anche qui salvo diversa pattuizione, il risarcimento avverrebbe al valore commerciale e non al valore di rimpiazzo a nuovo, o per i fabbricati al costo di ricostruzione e non al valore commerciale.
Comparazione internazionale
Contro i rischi catastrofali esistono 3 modelli:
- Quello obbligatorio
- Quello semi-obbligatorio
- Quello facoltativo
Il sistema obbligatorio è applicato in Turchia, Romania e Islanda.
In Turchia e Romania l’assicurazione è obbligatoria solo per i terremoti e prevede un intervento significativo della garanzia pubblica o ben come riassicuratore (Turchia attraverso il fondo pubblico TCIP), o ben compartecipando insieme alle compagnie all’assunzione del rischio (PAID Natural Disaster Insurance Pool). Nel caso della Romania le Compagnie chiedono un premio flat e il fondo pubblico copre il resto. Sia nel caso della Turchia che nel caso della Romania l’incidenza delle assicurazioni sul patrimonio immobiliare è largamente inferiore al 50% nonostante l’obbligo.
Il caso islandese è diverso data la ridotta densità di abitanti.
Il sistema semi-obbligatorio è quello maggiormente adottato. Il più studiato è quello in vigore in Francia dove ad un premio flat e proporzionale al rischio base incendio, si aggiunge la garanzia statale.
Il sistema ha lo scopo di tenere indenni le casse dello Stato per i sinistri di limitata magnitudo e far intervenire il pubblico solo per i danni a seguito di dichiarazione dello stato di calamità.
In Nuova Zelanda, altro Paese preso spesso ad esempio data la frequenza e l’intensità dei terremoti, il Natural Disaster Fund a totale controllo pubblico si fa cedere dalle compagnie i rischi e Souther Response LTD, anche questa pubblica, provvede ai risarcimenti. Le compagnie private fungono di fatto da intermediarie.
Come abbiamo visto dunque in tutti i casi di assicurazione obbligatoria o semi-obbligatoria il ruolo del settore pubblico è determinante e non c’è mai totale ritenzione del rischio da parte delle assicurazioni private.
L’unico caso di sistema con un ruolo dello Stato limitato è quello della California dove il CEA (California Earthquake Authority), fondo statale alimentato dai premi incassati dalle compagnie, fa da cassa di compensazione fra i soggetti privati.
Conclusioni
E’ davvero singolare che un Paese in cui la presenza dello Stato nell’economia vale più del 60% del PIL e la spesa pubblica vale 1.215 miliardi di euro si proponga ora come avanguardia di una cessione di competenze al settore privato su una materia tanto complessa e sensibile. In nessuna parte del mondo la copertura contro le catastrofi naturali è affidata interamente alle imprese private.
Il sistema ipotizzato da Urso e Musumeci è irrealizzabile.
Ma forse è solo la disperazione di chi si rende conto che nelle casse dello Stato ci sono poche risorse e quelle che ci sono sono già destinate a mance e bonus dal sapore fortemente elettorale; e che sa di non essere in grado di fare, o di non volere, prevenzione contro il dissesto del territorio.
A pagare, come sempre, ci pensano i cittadini.