Acque mosse nel Mar Cinese Orientale: scontri e cooperazione tra Cina e Giappone

Strategie, dispute territoriali e cooperazione tra due maggiori potenze economiche asiatiche.

Cina e Giappone sono i due attori economicamente più rilevanti dell’Asia (sono rispettivamente la seconda e la quarta economia mondiale).
I trascorsi storici della Seconda guerra mondiale (occupazione della Manciuria, massacro di Nanchino).

Ma non è solo l’ostilità a caratterizzare i rapporti tra i due paesi:
Giappone e Cina infatti hanno intensi rapporti economici, la Cina è infatti dopo gli Stati Uniti il principale partner commerciale del paese del Sol Levante.
Questo vuole essere un reportage sul tema delle relazioni internazionali sino-giapponesi che cerca di inquadrare quali sono le principali fonti di attrito tra i due paesi e quali invece le aree di cooperazione. Nella sua stesura, il dott. Raimondo Maria Neironi, ricercatore e collaboratore dell’Università di Cagliari in Storia e Istituzioni dell’Asia, si è gentilmente prestato per una breve intervista ed il suo contributo è annoverato tra le fonti.
Chiudete gli occhi. Immaginate di essere Mikami Hiroshi, un pescatore giapponese che vive nella prefettura di Okinawa, un’isola dalla natura incontaminata e rigogliosa. Ogni mattina vi svegliate poco prima dell’alba e iniziate a preparare la vostra attrezzatura: reti, lenze equipaggiamento a bordo del vostro peschereccio, controllate che sia tutto in ordine e partendo dal porto di Naha salpate verso le pescose acque delle Isole Senkaku, controllate dal Giappone come dipendenza amministrativa dell'isola di Ishigaki (distante 170 km) nella prefettura di Okinawa.

Ma la vostra giornata non è la stessa di un pescatore qualunque: infatti, dopo aver monitorato le condizioni meteo e quelle del mare, date anche un’occhiata ai rapporti sulle attività navali della Guardia Costiera cinese. Perché la vostra giornata potrebbe venire disturbata o interrotta da una nave della Guardia Costiera cinese da un momento all’altro. Insomma, dovete, oltre a pescare s’intende, anche badare a eventuali avvistamenti della Guardia Costiera cinese che potrebbe sopraggiungere da un momento all’altro e forzarvi a lasciare l’area prima che abbiate fatto il pieno di pescato, e quindi causandovi anche problemi economici.

Figura I: Jackopoid, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

Questo perché per i cinesi quelle isole non si chiamano Senkaku, ma Diaoyu: essi ne reclamano la sovranità e intendono far sentire la propria voce quando, a loro modo di vedere, il Giappone sconfina nel loro territorio. Torniamo ora a immedesimarci nel nostro pescatore Hiroshi. Se avete avuto sfortuna durante la giornata e vi siete imbattuti in una nave cinese che vi ha costretto a lasciare l’area, al vostro ritorno al porto di Naha dovete fare reclamo alle autorità giapponesi affinché si occupino della questione. Il nostro Hiroshi è un personaggio di fantasia, ma quanto appena raccontato è la realtà per decine e decine di pescatori ogni anno.

I dati rilasciati dalla Guardia Costiera giapponese (JCG) mostrano che le navi della Guardia Costiera cinese (CCG) nel 2023, sono state avvistate nella zona contigua delle isole Senkaku/Diaoyu per 352 giorni su 365, il numero più alto mai registrato (The Diplomat).

Le incursioni delle navi della Guardia Costiera cinese farebbero parte di una strategia chiamata “salami slicing” (usata anche nel Mar Cinese meridionale contro altri stati) che mirerebbe a prendere il controllo effettivo delle isole Senkaku/Diaoyu attraverso incursioni graduali e costanti, in linea con la tradizionale capacità di attendere per il conseguimento dei propri obiettivi, tratto distintivo di molte leadership cinesi nel corso della storia. Di conseguenza, gli incontri tra pescatori e navi della guardia costiera sono diventati quasi un evento ordinario nella regione, aggravando le tensioni tra i due paesi.

La Cina dal canto suo, rivendica la sovranità sulle isole in quanto storicamente sarebbero sempre appartenute al suo territorio, come parte della provincia di Taiwan. Le Senkaku/Diaoyu sono situate entro le due Zone Economiche Esclusive (ZEE) rispettivamente di Cina e Giappone, che però si intersecano, generando non pochi problemi. Le pretese cinesi sulle isole si basano su numerosi antichi documenti cinesi risalenti a un periodo compreso tra il XV e il XVIII secolo, i quali affermerebbero che le isole siano state scoperte dai cinesi e sempre i cinesi avrebbero loro dato il nome (Diaoyu, appunto) “utilizzandole” durante le dinastie Ming (1368-1644) e Qing (1644-1912) (Japanese office of Policy Planning and Coordination on Territory and Sovereignty). I giapponesi tuttavia mettono in dubbio la legittimità del controllo cinese poiché il termine “utilizzare” in questo contesto si riferirebbe solo ad un uso delle isole come indicatori e punti di riferimento legati alla navigazione, e non ad uno sfruttamento e ad un controllo delle risorse effettivi. Infatti le rivendicazioni territoriali dell’impero cinese storicamente si sono sempre fermate alle coste (Henry Kissinger, “Cina”). Oltre a spinose contese territoriali, e sebbene le appartenenze a sistemi di alleanze contrapposti (il Giappone con gli USA, la Cina contro di loro) la descrizione di Cina e Giappone come nemici giurati poco si confà alla realtà. Infatti, malgrado le innegabili tensioni crescenti, i due paesi sono contraddistinti anche da una forte interdipendenza economica. Come afferma Raimondo Maria Neironi, ricercatore e collaboratore dell’Università di Cagliari in Storia e Istituzioni dell’Asia: ”Fin dalla propria capitolazione del‘45 il Giappone, malgrado l’inizio della Guerra Fredda, non intendeva chiudere i rapporti e i canali commerciali con la Cina, dal momento che questa era stata da sempre il suo principale partner economico. A inizio anni ‘50, durante gli anni del Regime di occupazione americano e britannico e dopo la sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale (o Guerra del Pacifico), il Paese del Sol Levante inoltre era economicamente in ginocchio.

 

Douglas MacArthur, Comandante Supremo delle Forze Alleate (SCAP), e l'imperatore Hirohito (1945): Gaetano Faillace, Public domain, via Wikimedia Commons

[…] Il Giappone aveva in mente di intrattenere relazioni con la Cina, ma doveva fare i conti con l’ostacolo degli alleati, che gli impedivano di intessere nuovamente legami commerciali con Pechino, frattanto diventata comunista con l’instaurazione del regime di Mao Zedong nel ‘49. il Governo giapponese avrebbe dovuto invece interfacciarsi con Taiwan, isola nella quale dopo la guerra civile cinese si era rifugiato Chang Kai Shek, il leader del Kuomintang (Partito Nazionalista Cinese), il quale aveva fondato a Taipei la Repubblica di Cina. Giappone e Repubblica Popolare cinese quindi, formalmente, per più di vent’anni non si parlano.
 

Il Riavvicinamento e la normalizzazione dei rapporti

Chiudete di nuovo gli occhi. Siete Kakuei Tanaka, primo ministro del Sol Levante, nominato nel luglio del ‘72. È il 24 settembre 1972, domani avete un volo di stato diretto a Pechino per condurre dei negoziati che dovrebbero portare alla normalizzazione dei rapporti con la Repubblica Popolare cinese. Oggi dei membri dell’opposizione sono venuti a casa vostra per cercare di dissuadervi dal partire e per le strade di Tokyo c’è un grande fermento verso ciò che state per compiere. Confidate a vostra figlia Makiko che temete di venire avvelenato durante il vostro viaggio, dopotutto la Cina è un grande paese chiuso e si sa poco di quello che succede entro i suoi confini, e storicamente voi giapponesi (usando un eufemismo) non vi siete fatti amare molto dal popolo cinese durante la Seconda Guerra Mondiale, dunque volendo, avrebbero ogni ragione di avercela con voi.

 

Kakuei Tanaka: 首相官邸ホームページ, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons
Ji Pengfei (destra), ministro degli esteri cinese nel 1972 e firmatario del Comunicato Congiunto: Archivio federale, immagine 183-14811-0017 / Gielow / CC-BY-SA, CC BY-SA 3.0 DE, via Wikimedia Commons

È questa l’atmosfera in cui si svolsero i negoziati per la normalizzazione dei rapporti tra Cina e Giappone nel settembre del ‘72, che culminarono con la firma del Comunicato Congiunto del Governo del Giappone e del Governo della Repubblica Popolare di Cina. Quello stesso anno a febbraio anche Nixon, presidente degli Stati Uniti, aveva compiuto il passo storico di normalizzare i rapporti tra la Cina e la potenza leader del blocco occidentale, durante la celebre “Settimana che cambiò il mondo”. Il Comunicato stabiliva un riconoscimento formale della Cina continentale da parte di Tokyo, e implicava la rottura dei rapporti diplomatici con Taiwan, che veniva riconosciuta come parte inalienabile del territorio della RPC.

Tuttavia, i rapporti con Taiwan non vennero troncati completamente. Spiega Neironi: “Con la normalizzazione, Tokyo riconobbe il governo di Pechino come unico rappresentante del popolo cinese, parallelamente smise infatti di riconoscere quello di Taiwan. Però il Giappone, proprio come gli Alleati inglesi e americani, non interruppe i legami commerciali con Taiwan, con cui continuò a intrattenere relazioni tramite canali informali, attraversi i quali i rappresentanti dei Keiretsu (i grandi conglomerati industriali giapponesi) continuavano a usare per fare affari sull’isola.

“Questo modus operandi è definito politica dell’ambiguità strategica, ed è attuato ancora oggi da Giappone, USA, e altri partner commerciali dell’isola che non vogliano alienarsi le simpatie della Cina continentale (la Repubblica Popolare) pur continuando a intrattenere rapporti con Taiwan. Essa è ragione di frequenti tensioni diplomatiche come quella dell’agosto 2022 scatenata dalla visita della speaker della Camera dei Rappresentanti USA Nancy Pelosi con una delegazione di altri cinque parlamentari, che scatenò le ire della Repubblica Popolare in quanto la visita venne recepita come implicito riconoscimento de facto di Taiwan come governo indipendente e come una sfida a Pechino.

 

Visita di Nancy Pelosi a Taiwan, Taipei, agosto 2022: 總統府, CC BY 2.0, da Wikimedia Commons

Gli anni ’80: La collaborazione economica e la fascinazione di Deng Xiaoping per il Giappone

 

A partire dal ’78 inizia una nuova epoca per la Repubblica popolare cinese: a seguito della morte di Mao, Deng Xiaoping, divenuto il nuovo segretario del Partito Comunista Cinese, inaugura la fase di “riforma e apertura” , un programma di riforme economiche che hanno lo scopo di avviare un mastodontico processo di modernizzazione della Cina. Contrapponendosi alla politica isolazionista di Mao, infatti, Deng voleva aprire la Cina al mondo e attirare capitali esteri.

 

Deng Xiaoping, 1979: By Unknown author - This tag does not indicate the copyright status of the attached work. A normal copyright tag is still required.See Commons:Licensing., Public Domain, Link

“Il Giappone è stato un attore fondamentale per il successo delle riforme economiche.” spiega Neironi. “Deng Xiaoping sin dal ‘78 prima ancora di annunciare l’apertura al mercato della Cina, dialogò con la controparte giapponese, in quanto era rimasto affascinato dalla tecnologia giapponese e dal miracolo economico compiuto dal Giappone tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ’80, e riteneva che il percorso da intraprendere per la Repubblica Popolare al fine di svilupparsi economicamente avrebbe dovuto essere simile a quello giapponese.”. Continua Neironi: “Bisogna sempre pensare che il Giappone non aveva dato il proprio contributo in maniera disinteressata: al contrario si era sempre dimostrato molto entusiasta di collaborare a vari livelli dell’economia e della finanza cinesi. Per un ampio periodo, infatti, il Giappone è stato uno dei maggiori investitori esteri in Cina. […] Questo processo va avanti anche dopo gli episodi dell’89 di Piazza Tienanmen quando si innalza la tensione tra i rapporti tra Est e Ovest per quanto riguarda la Cina, il Giappone fu restio ad approvare le sanzioni nei confronti del Governo cinese, preferendo mantenere una posizione più attendista.

Protesta di Piazza Tienanmen, Pechino, 1989: Di Jiří Tondl (Blow up) - Opera propria, CC BY-SA 4.0, Collegamento

Nonostante Tienanmen, dunque, i rapporti continuarono ad andare avanti fino al 2006 quando avvenne la consacrazione della Cina come seconda potenza economica mondiale, e il suo PIL iniziò a scalzare quello giapponese, e il Giappone progressivamente iniziò a vedere la Cina non più come una grande opportunità ma come una grande minaccia.”

 

Un nuovo teatro di scontro tra Cina e Giappone nell’Indo-Pacifico

La regione Indo-pacifica: By Eric Gaba (Sting - fr:Sting) - Own workCoast lines : U.S. NGDC World Coast Line ;Reference for the limits of the Indo-Pacific biogeographic region : Spalding, Mark D., Helen E. Fox, Gerald R. Allen, Nick Davidson et al. "Marine Ecoregions of the World: A Bioregionalization of Coastal and Shelf Areas". Bioscience Vol. 57 No. 7, July/August 2007, pp. 573-583, available through the World Wildlife Fund's site, CC BY-SA 4.0, Link
“The Belt and Road 2nd Forum for International Cooperation”, Pechino, 2019: President.az, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons

Nel 2013, unitamente all’insediamento di Xi Jinping, l’attuale segretario del Partito Comunista, la Cina lancia il suo mastodontico progetto della “Belt and Road initiative, che ha trovato la sua applicazione più pratica nella costruzione di una vasta rete di infrastrutture, prima in Eurasia, poi senza limitazioni geografiche. Esso coinvolgerebbe ben 152 paesi nel mondo e si presenta come di mutuo beneficio tra i paesi aderenti, ed è parte di una strategia di sviluppo su scala globale che mira anche ad espandere il soft power della Cina nel mondo. Si propone di farlo con tanto di campagne marketing propagandistiche che utilizzano ad esempio una canzoncine per bambini e altri contenuti diffusi per un pubblico anglofono e internazionale.

Music Video: The Belt and Road is How, 2017, YouTube (Fonte)

La Belt and Road initiative si spingerebbe anche nell’area dell’Indo-Pacifico, ed è in questo contesto che si inserisce la “Free and Open Indo-Pacific strategy.

Neironi spiega “Inaugurata nel 2016 da Abe Shinzo durante il suo secondo mandato, questa strategia fa riferimento ad aspetti strategici, politici, economici e militari.

Donald Trump e Abe Shinzo, 2019: 首相官邸ホームページ, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons

Essa si oppone alla visione antitetica rappresentata dalla Cina che viene invece vista dal Giappone come una potenza che ha privato delle libertà democratiche i cittadini di Hong Kong, e che intende riprendersi Taiwan, che vuole ridefinire gli spazi del Mar Cinese meridionale e in quello orientale assoggettando le piccole isole ed atolli (Senkaku/Diaoyu, Isole Spratly, contese tra Cina e Filippine), inoltre il Giappone crede che il progetto Belt and Road possa compromettere l’indipendenza di alcuni stati con la trappola del debito (es. Sri Lanka).”

Questa strategia dunque fornisce un’alternativa alla visione cinese del futuro dell’Asia, definendo un’architettura economica e di sicurezza per preservare il libero commercio e il libero pensiero nell’area dell’Indo-Pacifico (Bloomberg), e per impedire che qualsiasi minaccia rischi oggi o in futuro di bloccare il commercio internazionale, in quanto l’80% delle merci transita negli stretti di Malacca e di Singapore, nel Mar Cinese meridionale appunto, se in caso di guerra un attore regionale provasse a bloccare quegli stretti sarebbe un problema per tutto il mondo.

 

Stretto di Malacca e stretto di Singapore: DoD, Public domain, da Wikimedia Commons
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