Questo perché per i cinesi quelle isole non si chiamano Senkaku, ma Diaoyu: essi ne reclamano la sovranità e intendono far sentire la propria voce quando, a loro modo di vedere, il Giappone sconfina nel loro territorio. Torniamo ora a immedesimarci nel nostro pescatore Hiroshi. Se avete avuto sfortuna durante la giornata e vi siete imbattuti in una nave cinese che vi ha costretto a lasciare l’area, al vostro ritorno al porto di Naha dovete fare reclamo alle autorità giapponesi affinché si occupino della questione. Il nostro Hiroshi è un personaggio di fantasia, ma quanto appena raccontato è la realtà per decine e decine di pescatori ogni anno.
I dati rilasciati dalla Guardia Costiera giapponese (JCG) mostrano che le navi della Guardia Costiera cinese (CCG) nel 2023, sono state avvistate nella zona contigua delle isole Senkaku/Diaoyu per 352 giorni su 365, il numero più alto mai registrato (The Diplomat).
Le incursioni delle navi della Guardia Costiera cinese farebbero parte di una strategia chiamata “salami slicing” (usata anche nel Mar Cinese meridionale contro altri stati) che mirerebbe a prendere il controllo effettivo delle isole Senkaku/Diaoyu attraverso incursioni graduali e costanti, in linea con la tradizionale capacità di attendere per il conseguimento dei propri obiettivi, tratto distintivo di molte leadership cinesi nel corso della storia. Di conseguenza, gli incontri tra pescatori e navi della guardia costiera sono diventati quasi un evento ordinario nella regione, aggravando le tensioni tra i due paesi.
La Cina dal canto suo, rivendica la sovranità sulle isole in quanto storicamente sarebbero sempre appartenute al suo territorio, come parte della provincia di Taiwan. Le Senkaku/Diaoyu sono situate entro le due Zone Economiche Esclusive (ZEE) rispettivamente di Cina e Giappone, che però si intersecano, generando non pochi problemi. Le pretese cinesi sulle isole si basano su numerosi antichi documenti cinesi risalenti a un periodo compreso tra il XV e il XVIII secolo, i quali affermerebbero che le isole siano state scoperte dai cinesi e sempre i cinesi avrebbero loro dato il nome (Diaoyu, appunto) “utilizzandole” durante le dinastie Ming (1368-1644) e Qing (1644-1912) (Japanese office of Policy Planning and Coordination on Territory and Sovereignty). I giapponesi tuttavia mettono in dubbio la legittimità del controllo cinese poiché il termine “utilizzare” in questo contesto si riferirebbe solo ad un uso delle isole come indicatori e punti di riferimento legati alla navigazione, e non ad uno sfruttamento e ad un controllo delle risorse effettivi. Infatti le rivendicazioni territoriali dell’impero cinese storicamente si sono sempre fermate alle coste (Henry Kissinger, “Cina”). Oltre a spinose contese territoriali, e sebbene le appartenenze a sistemi di alleanze contrapposti (il Giappone con gli USA, la Cina contro di loro) la descrizione di Cina e Giappone come nemici giurati poco si confà alla realtà. Infatti, malgrado le innegabili tensioni crescenti, i due paesi sono contraddistinti anche da una forte interdipendenza economica. Come afferma Raimondo Maria Neironi, ricercatore e collaboratore dell’Università di Cagliari in Storia e Istituzioni dell’Asia: ”Fin dalla propria capitolazione del‘45 il Giappone, malgrado l’inizio della Guerra Fredda, non intendeva chiudere i rapporti e i canali commerciali con la Cina, dal momento che questa era stata da sempre il suo principale partner economico. A inizio anni ‘50, durante gli anni del Regime di occupazione americano e britannico e dopo la sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale (o Guerra del Pacifico), il Paese del Sol Levante inoltre era economicamente in ginocchio.