di M. Salvemini

Redazione Storia

Il paper di oggi è un'occasione per approfondire la ricerca in storia economica intorno alla 'prima globalizzazione' e ai diversi impatti che ha avuto sull'economia globale. Il libro invece offre uno spaccato sulla ricerca d'archivio condotta per riscostruire le fasi di sviluppo e di continuità dello Stato italiano nelle sue componenti amministrative. 

PAPER

Globalization, welfare, and inequality: Evidence from transoceanic market integration, 1815–1913
di David Chilosi e Giovanni Federico

Pubblicato da Cambridge University Press:  29 Aprile 2024

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Da quando nel 2000 Kenneth Pomeranz pubblicò il celebre saggio “La grande divergenza” [1], uno dei temi che ha dominato la ricerca nel campo storico è stato quello degli impatti ineguali della globalizzazione o forse dovremmo dire delle globalizzazioni. Infatti, ormai viene tradizionalmente accettato che la globalizzazione moderna possa essere distinta in tre ondate fondamentali:

  1. Tra il 1870 e il 1914, la prima ondata di globalizzazione fu determinata da una combinazione di riduzione dei costi di trasporto - come il passaggio dalla vela ai piroscafi - e di riduzione delle barriere tariffarie, avviato dal trattato Cobden-Chevalier [2][3]
  2. La seconda ondata si manifestò in seguito alle tragedie portate dai nazionalismi e dalle due guerre mondiali. I governi, dal secondo dopoguerra in avanti, collaborarono per abbassare le barriere commerciali che avevano stabilito in precedenza, ispirandosi alle stesse idee che avevano dato vita alle Nazioni Unite. 
  3. Gli anni '80 hanno visto l'inizio della nuova ondata di globalizzazione. In primo luogo, un consistente contingente di Paesi emergenti è entrato nei mercati internazionali. In secondo luogo, i redditi e i tassi di povertà di altri Paesi emergenti sono diminuiti, in quanto sono diventati più isolati dall'economia globale [4].

La prima globalizzazione segnò il primo vero momento di massiccia liberalizzazione dei movimenti di beni, persone, capitali e idee attraverso e tra i continenti. Questo livello di integrazione dell’economia mondiale è stata misurata osservando la quantità crescente di questi flussi globali e confrontarli con indicatori più ampi dell'attività economica, come il rapporto tra PIL e commercio di materie prime o il tasso di migrazione della popolazione. Le disparità di prezzo a livello internazionale furono, ad esempio, il risultato del costo di trasporto delle merci o dei fattori produttivi attraverso i confini internazionali [5].

L'articolo presenta un metodo unico che colma il divario tra la letteratura sulla convergenza dei prezzi e la disuguaglianza nella storia economica durante la “prima globalizzazione.” Evidenzia quanto sia cruciale esaminare la convergenza dei prezzi per valutare l'esposizione delle economie locali alla globalizzazione. Gli autori utilizzano la convergenza dei prezzi per illustrare l'idea di “globalizzazione dura”, che indica la crescente integrazione delle economie regionali con il commercio internazionale.

La ricerca illumina le implicazioni distributive della globalizzazione calcolando l'impatto dell'integrazione dei mercati sulla disuguaglianza dei redditi nei principali esportatori agricoli, tra cui l'India britannica, l'Indonesia coloniale e gli Stati Uniti. Lo studio dimostra che, sebbene i vantaggi siano stati distribuiti in modo diseguale tra le aree di produzione, l'integrazione del mercato ha aumentato notevolmente il benessere aggregato. La disparità regionale è diminuita, poiché le regioni più povere erano anche quelle che beneficiavano maggiormente dei vantaggi del welfare.

Inoltre, lo studio esplora il modo in cui l'integrazione del mercato influisce sulla disparità di reddito regionale, concentrandosi sui proprietari di piantagioni a Giava e negli Stati Uniti meridionali. Secondo i dati, l'integrazione del mercato ha favorito soprattutto i proprietari di piantagioni, il che ha portato a un aumento significativo della disparità di reddito interpersonale in queste aree.

Nel complesso, lo studio offre informazioni utili sulle intricate relazioni tra benessere, disuguaglianza e globalizzazione nel corso del “lungo diciannovesimo secolo”. La ricerca fa progredire le conoscenze sugli effetti della globalizzazione sullo sviluppo economico e sulla distribuzione del reddito in questa fase cruciale della storia mondiale, analizzando gli effetti storici dell'integrazione dei mercati su diverse aree e gruppi di reddito.

LIBRO

Storia dell'amministrazione italiana
di Guido Melis

Il Mulino, 2020

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Siamo tutti scontenti dello Stato italiano. Governi e opinioni pubbliche delle altre nazioni europee, stupiti dalla mancanza di solidità e compattezza delle istituzioni e dalla difficoltà di governare gli italiani. I governanti nazionali, le cui politiche rimangono parzialmente inattuate. I governati, che lamentano costi e inefficienze dei poteri pubblici. I burocrati, frustrati e impotenti, e per di più accusati del malfunzionamento della macchina. L'alta dirigenza, identificata come una casta. [6]

Così recitano le prime righe dell'introduzione del volume di Sabino Cassese. Porsi il problema della storia dello Stato italiano e delle sue componenti è una delle chiavi per comprendere quali siano le determinanti dello sfacelo delle istituzioni e degli apparati che osserviamo continuamente, nelle piccole tanto quanto nelle grandi circostanze. La storia può cercare di ricostruire “la continuità dello Stato” italiano [7], i cui uomini e istituzioni hanno definito i caratteri fondamentali. 

Guido Melis contribuisce alla ricerca offrendo nel suo libro una accurata ricostruzione di quelli che furono i momenti salienti nella storia dell'apparato burocratico dello Stato italiano. A partire dal periodo risorgimentale e dal “modello Cavour”, si passa attraverso la “riforma dello Stato” progettata da Crispi, il “decollo amministrativo” attuato durante l'età giolittiana, la ridefinizione dei rapporti centro-periferia del periodo fascista, la farraginosa epurazione del secondo dopoguerra degli elementi fascisti, fino ad arrivare all'implosione del sistema amministrativo negli anni ‘80 e all'immobilismo degli ultimi venti anni. 

Uno dei valori aggiunti apportati da questo volume è rappresentato dalla ricchezza di documentazione di cui Melis si è avvalso. La natura e la provenienza di queste fonti è molteplice: l'Archivio Centrale dello Stato, atti parlamentari, leggi, circolari, atti ufficiali, memorie di capi di gabinetto e dirigenti, e scambi epistolari. Ognuna di queste permette di vedere il “dietro le quinte” del funzionamento e delle regole che hanno definito lo Stato italiano nel corso dei decenni. 

Tre sono le linee guida per orientarsi nel denso volume di oltre 600 pagine:

  1. La crescita della macchina amministrativa non avvenne in concomitanza con la costituzione dell'unità nazionale, ma con un ritardo di almeno quattro decenni.. Il vero traino del “decollo amministrativo” fu, infatti, il caotico e improvviso “decollo industriale” che non svolse, come in altri paesi, un ruolo di guida, quanto più di riflesso delle contraddizioni e dell'accelerazione incontrollata di quella fase.
  2. A partire dalla struttura ministeriale mutuata dal Regno di Sardegna e dalla riforma Cavour del 1853, si verificò un continuo accumulo di modelli amministrativi. In questo moltiplicarsi di sistemi, invece di portare ad un’evoluzione volta allo snellimento delle strutture e delle procedure interne alla burocrazia, si impose un principio di conservazione dei soggetti preesistenti ammantati di ulteriori sovrastrutture che, invece di riflettere una gerarchia e una catena di responsabilità chiare, lasciava spazio al caos e all'incertezza.
  3. La ricostruzione di quelle che Melis chiama le “culture” dell'amministrazione, a partire dalle culture dei cosiddetti “tecnici”: statistici, ingegneri, ufficiali del catasto, archivisti e restauratori, solo per citarne alcuni. Un sapere tecnico diversificato che, a partire dall'età giolittiana, smise di essere messo al centro della formazione del personale burocratico in favore di una preparazione fondata sulla giurisprudenza. Cultori dei regolamenti al posto di tecnici preparati.

Concludiamo questa presentazione citando le righe conclusive del libro di Melis, che offrono una nota di speranza sul futuro dell'amministrazione italiana:

Del resto nessuna maledizione biblica condanna i cittadini italiani alla pena eterna di dover subire un'amministrazione inadeguata ai loro bisogni. Essi, in questo come in altri campi, hanno le proprie sorti nelle loro mani. Basterebbe soltanto che se ne convincessero. [8]

Riferimenti

[1] K. POMERANZ, La grande divergenza. La Cina, l'Europa e la nascita dell'economia mondiale moderna, 2012
[2] Kevin H. O'Rourke and Jeffrey G. Williamson, ‘When Did Globalisation Begin?', European Review of Economic History 6, no. 1 (2002): 23–50
[3] Stéphane Becuwe, Bertrand Blancheton, and Christopher M. Meissner, ‘The French (Trade) Revolution of 1860: Intra-Industry Trade and Smooth Adjustment', The Journal of Economic History 81, no. 3 (September 2021): 688–722, doi.org/10.1017/S0022050721000371
[4]  "Globalization, Growth, and Poverty : Building an Inclusive World Economy", Text/HTML, World Bank, accessed 4 May 2024
[5] Matthias Morys, ‘Globalization, 1870-1914', 30 June 2008
[6] S. CASSESE, Governare gli italiani. Storia dello Stato, 2019, 1
[7] Claudio Pavone, Alle origini della Repubblica: scritti su fascismo, antifascismo e continuità dello Stato (Bollati Boringhieri, 1995), 70–185
[8] G. MELIS, Storia dell'amministrazione italiana, 2020, 607

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