Optimal Minimum Wages
Ahlfeldt et al, 2022
Per concludere la nostra serie sul salario minimo mi sembra giusto introdurre un paper riassuntivo. Si tratta di uno studio recente, chiamato Optimal Minimum Wages (Ahlfeldt et al, 2022)
Questo studio si concentra su un caso favorevole all’istituzione del salario minimo, ovvero un caso in cui le imprese sono eterogenee nella loro produttività , e il mercato del lavoro è monopsonistico. Come già spiegato nel primo paper trattato in questa serie, un mercato del lavoro monopsonistico si crea quando in un certo territorio esiste un solo datore di lavoro che può assumere e che quindi ha la capacità di pagare maggiormente I suoi lavoratori, ma decide di assumerne di meno per mantenere un livello del salario più basso, non avendo I lavoratori altre alternative.
Come si può già intendere questo paper non si pone solamente di misurare o simulare l’effetto che un salario minimo avrebbe sull’occupazione, ma anzi si occupa di stabilire quale sia il livello ottimale del salario da scegliere, in base a diversi obiettivi come la massimizzazione dell’occupazione o la riduzione del divario tra diverse regioni con un unico salario minimo a livello nazionale.
Questo paper ha uno standard di ricerca invidiabile, in quanto sviluppa un modello e lo testa immediatamente su dei dati sul mercato del lavoro tedesco che raccolgono la storia lavorativa di imprese e lavoratori nel periodo attorno al 2014, anno dell’introduzione di un nuovo livello di salario minimo al 54% del salario mediano nazionale.
Il modello inizia a vedere come imprese con diversa produttività reagiscono all’aumento del salario minimo. Abbiamo 3 tipi di aziende, divise in alta, media e bassa produttività . L’effetto misurato del modello è quello di una assenza di effetto sull’occupazione in aziende altamente produttive, e poi di un abbassamento dell’occupazione in aziende a bassa produttività e un accrescimento in aziende mediamente produttive. La spiegazione per questo fenomeno passa dalla decimazione delle imprese produttive. Se infatti si permette alla competizione di fare il suo corso le aziende poco produttive escono dal mercato, per essere rimpiazzate dalle aziende che restano nel mercato, ovvero le altamente e mediamente produttive. I lavoratori che escono dalle aziende a bassa produttività vengono assorbiti dalle più comuni aziende mediamente produttive che alzeranno la loro produzione per sostituire la aziende poco produttive che sono state spinte fuori dal mercato. Abbiamo quindi questo effetto di compensazione che sarà importante nello stabilire l’effetto sul benessere delle imprese e dei lavoratori.
Per stabilire un salario minimo ottimale bisogna tenere in considerazione gli effetti sulla disoccupazione, il ricambio produttivo che le imprese hanno dalla decimazione delle imprese improduttive, e il costo dei prodotti acquistati dai lavoratori in relazione al loro salario. È importante sottolineare che questi effetti sono necessariamente legati alla competizione tra imprese e al permettere alle imprese improduttive di lasciare il mercato. Qualora si cercasse di proteggere le imprese poco produttive le conclusioni potrebbero variare significativamente.
Inoltre ricordiamo che il modello è monopsonistico e quindi i lavoratori non hanno altre alternative nella loro zona geografica (ma possono spostarsi tra zone geografiche, ad un costo di commuting). Un aumento del salario minimo quindi porta più lavoratori a partecipare al mercato. Questo fattore è positivo in un regime monopsonistico visto che in questo caso le imprese preferiscono assumere una quantità inferiore di lavoratori rispetto alla quantità ottimale, pur di pagarli meno.
Gli autori simulano il loro modello sui dati tedeschi, osservando il catch up fra regioni sviluppate e sottosviluppate che in circa 30 anni dalla unificazione i tedeschi sono riusciti in parte a fare mentre l’Italia manteneva le sue lacune. Il salario minimo che massimizza l’occupazione è il 38% del salario minimo. Tenendo però in considerazione gli effetti di competizione delle aziende e i maggiori salari ottenibili dai lavoratori, si può arrivare a sostenere un salario minimo che sia attorno al 55% della mediana nazionale, visto che da quel punto in poi gli effetti negativi della disoccupazione iniziano ad accumularsi ampiamente. Dei sistemi di salario regionale avrebbero degli effetti ancora migliori, in quanto con un salario minimo del 50% della mediana regionale si avrebbe un aumento di benessere simile a quello del caso nazionale ma con un aumento di occupazione dell’ 1.1%.
Questo avviene perché un salario diverso a livello regionale porta le aziende a spostarsi nelle regioni più convenienti, ovvero quelle che partono da un salario più basso. Questo ha sia un effetto di aumento dell’occupazione totale, visto che si userà di più un lavoro che diventa relativamente più conveniente nelle zone meno sviluppate. Ma anche un effetto di catch up regionale, ovvero un aumento dell’eguaglianza tra i salari di diverse regioni, portando quindi un welfare maggiore visto che aumentare il salario di lavoratori più poveri ha un’utilità marginale maggiore a parità di aumento assoluto del salario.
Come confermato dalle immagini, l’occupazione è la prima variabile a diminuire al superare del 50% della mediana nazionale, per poi essere seguita dal welfare (benessere) dal 55% in poi. La linea blu rappresenta l’equità . Se ci si chiede come mai cresca con l’aumentare del salario minimo nonostante il benessere scenda, ebbene è perché impoverire proporzionalmente le condizioni di tutti è il modo più immediato per aumentare l’eguaglianza in un paese.