"Minimum wages, labor market institutions, and youth employment: a cross-national analysis"
Autori: David Neumark, William Wascher (2003)
In questo articolo (Neumark, Wascher 2003), gli autori osservano come le normative del mercato del lavoro condizionano gli effetti dei salari minimi sull’occupazione.
In particolare, vengono stimati gli effetti dei salari minimi sui tassi di occupazione giovanile utilizzando i dati di 17 paesi OCSE per il periodo 1975-2000. Questo ampio periodo permette agli autori di isolare gli effetti dei cambi di legislazione sul salario minimo slegate da eventi che hanno interessato ogni paese del campione. Per esempio una recessione globale avrebbe interessato ogni paese allo stesso tempo, ma il periodo di 25 anni permette di considerare l’effetto di uno shock per ogni paese e distinguerlo da cosa invece sia causato da un cambio del salario minimo.
L'evidenza ha suggerito che gli effetti sull'occupazione dei salari minimi richiedano almeno un anno per essere riflessi nei dati, presumibilmente a causa del tempo necessario ai datori di lavoro per considerare il costo del lavoro rispetto ai costi di altri input e il prezzo a cui i beni finali vengono acquistati (Neumark e Wascher 1992).
Si ipotizza che questo processo di aggiustamento sia ancora più lento nei paesi europei, dove le restrizioni legali sui licenziamenti sono generalmente più rigide che negli Stati Uniti.
Gli autori utilizzano quindi una misura “lagged” del salario minimo, ovvero considerano l’effetto del salario minimo dell’anno precedente sull’occupazione dell’anno attuale, per tenere in considerazione questo effetto dilazionato nel tempo. Questa misura, insieme con l'inclusione di effetti fissi, ha anche il vantaggio di ridurre la potenziale endogeneità del salario minimo derivante dalle correlazioni del salario medio con condizioni generali del mercato del lavoro o della produttività.
Gli effetti fissi e i “controls” aiutano a identificare quei cambiamenti di occupazione che vengono spiegati attraverso altre variabili che non siano il salario minimo. Osservando il cambiamento della produttività diverso in ogni paese, si ha per esempio che una parte dell’effetto negativo sull’occupazione misurato può essere attribuito ad una minore crescita della produttività invece che ad un aumento del salario minimo.
I risultati confermano la correlazione negativa tra salari minimi e tassi di occupazione giovanile.
L'elasticità stimata per i lavoratori tra i 15 e 24 anni è di -0,15, che come abbiamo visto nello scorso video significa che ad un aumento del 10% del salario minimo vediamo un aumento della disoccupazione del 1.5%. Inoltre, il tasso di disoccupazione degli adulti ha una forte relazione negativa con i tassi di occupazione giovanile, confermando quindi che i cambiamenti nelle condizioni generali del mercato del lavoro sono amplificati nel mercato del lavoro per i giovani lavoratori (si pensi a quanto sia difficile per i giovani laureati trovare un lavoro durante una recessione).
Quando si considerano gli effetti tra i lavoratori tra i 15 e 19 anni la situazione cambia in peggio. Includendo gli effetti fissi, l'elasticità per gli adolescenti sale a circa -0,25, circa 1/3 in più rispetto alla popolazione di 15-24 anni.
La conclusione da trarre da questo paper è che le categorie svantaggiate che si vorrebbe aiutare con un salario minimo vedono un effetto negativo sull’occupazione maggiore rispetto all’effetto medio sull’intera popolazione misurato in altri studi.
Questo è fondamentale poiché un salario minimo ha senso se aiuta proprio le categorie più svantaggiate per cui la legislazione è proposta. L’effetto è irrilevante su categorie che non hanno bisogno del salario minimo e che quindi non ne sentono l’effetto perché ricevono già un salario elevato.
Un’analisi onesta quindi non andrebbe a proporre un salario minimo per aiutare le categorie marginali che ricevono un salario attorno al livello minimo per poi misurare l’effetto globale. È necessario concentrarsi sull’effetto del salario minimo sulle categorie che si vuole aiutare, in modo da avere chiaro il trade-off tra un maggior salario e l’aumento della disoccupazione per queste categorie.
I motivi per l’effetto negativo maggiore sui giovani (e come vedremo in futuro anche su altre categorie marginali) derivano proprio dalle ragioni per cui si vuole introdurre il salario minimo. Ovvero che essendo lavoratori più precari possono essere licenziati più facilmente, ed essendo meno produttivi hanno meno margine per cui abbia senso assumerli ad un salario più elevato. Quindi le due problematiche legate al salario minimo, precarietà e bassi salari, sono legate a doppio filo con gli stessi motivi per cui il salario minimo ha un effetto di disoccupazione così elevato.
Inoltre l’interazione con un mercato del lavoro più rigido (protezione per lavoratori più alta) peggiora ancora di più questo effetto, che passa allo -0.30 per I giovani 15-24 e -0.39 per I teenager.
Il motivo viene proprio dal fatto che quando una proporzione maggiore dei lavoratori viene protetta rimangono meno dipendenti da licenziare nel caso di un aumento dei costi del lavoro.
Per questo motivo un mercato con più protezioni crea un effetto ancora peggiore per le categorie marginali che appunto non hanno avuto il tempo per diventare categoria protetta.
La soluzione non può essere allargare la protezione a qualunque lavoratore per ovvi motivi, in quanto bisogna avere del tempo per valutare un lavoratore agli inizi, rendendo quindi le categorie al margine non eliminabili e quindi suscettibili di maggiore danno nel caso di un aumento dei salari minimi.
Dallo studio si evince inoltre che le politiche attive del lavoro riducono l’effetto negativo del salario minimo. La motivazione, in linea con il resto dello studio, è che se un lavoratore licenziato può aumentare il suo valore nel mercato del lavoro aumentando le sue skills e trovando un’azienda più adatta, ci saranno un numero maggiore di lavoratori che riusciranno a trovare un nuovo posto in quanto il valore di questi lavoratori sarà più alto del nuovo salario minimo più alto.
Due punti saranno approfonditi in altri due futuri video. Il primo è l’effetto di lungo periodo dei salari minimi che qui e in altri studi non viene ancora trattato. Il secondo è l’effetto delle categorie a rischio in senso ampio.