di M. Salvemini

Redazione Storia

PAPER

Conquest, Capitulation, and Indian Treaties
di Charles Gibson

The American Historical Review; 
Pubblicato da: Oxford University Press

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Nel suo paper “Conquest, Capitulation, and Indian Treaties”, pubblicato nel 1978 sull’American Historical Review, Charles Gibson affronta il problema storico dei trattati siglati dai colonizzatori europei con gli indios americani. Il caso centrale indagato da Gibson è se gli spagnoli abbiano mai stipulato trattati con gli indiani. Questa indagine sulla natura dei trattati tra europei e indigeni nelle Americhe costituisce la base dell'esplorazione di Gibson nell'articolo [1].

Charles Gibson studiò presso l'Università di Yale, ove fu allievo dello storico dell'arte George Kubler, uno dei più importanti studiosi dell'arte dell'America precolombiana e di quella iberoamericana [2]. La sua dissertazione di Phd, poi pubblicata nel 1952 col titolo di “Tlaxcala in the Sixteenth Century” fu incentrata sul ruolo dello Tlaxcala (stato Nahua) nella conquista spagnola del Messico. Da qui cominciò la sua carriera, che lo rese uno dei principali studiosi di storia messicana e della colonizzazione spagnola del Sud America [3].

Come il titolo del paper mostra chiaramente, viene esplorato il rapporto tra conquista, capitolazione e trattati indiani esaminando il significato storico, e il ruolo delle capitolazioni, nei negoziati tra conquistatori e popolazioni indigene. L'autore analizza come le capitolazioni, pur non essendo dei veri e propri trattati nel senso tradizionale del termine, fossero il risultato di negoziati simili a quelli di pace e svolsero un ruolo significativo nell'esprimere gli accordi tra le parti. Inoltre, Gibson riflette su come i trattati con gli indios, nonostante le disuguaglianze di forza, spesso riflettessero la volontà indiana, servendo come mezzo per esprimere una presunta “posizione” indiana anche quando la realtà di tale volontà era limitata o inesistente. Questa esplorazione fa luce sulla complessità delle interazioni tra colonizzatori e popolazioni indigene nelle Americhe.

Offre poi un contributo significativo dal punto di vista metodologico. Infatti vi è una parte incentrata sui fallimenti a cui si va incontro nel processo di ricerca e sull'importanza di riconoscere i limiti e le incertezze nell'attività scientifica, evidenziando la necessità di onestà e di un approccio sfumato all'indagine storica, rifiutando affermazioni perentorie e nette.

Dunque, nella sua ricerca, Charles Gibson giunge alla conclusione che è importante evidenziare i dettagli e la complessità delle relazioni tra le popolazioni indigene delle Americhe e i colonizzatori europei. Gibson considera la storia iniziale dell'America spagnola e la mancanza di trattati formali con gli indiani, e la confronta con le azioni di altri coloni europei come gli olandesi, i francesi, i portoghesi e gli inglesi. Egli si interroga sulle cause di questa variazione nelle procedure di stipula dei trattati e prende in considerazione una serie di potenziali elementi che vi contribuiscono, tra cui situazioni accidentali, caratteristiche delle tribù indiane contattate, e quelle più generali della civiltà ispanica e di altre civiltà europee.


LIBRO

Le ombre dell’Europa. Democrazie e totalitarismi nel XX secolo
di Mark Mazower

Garzanti; 5° edizione (2019)

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L'Europa di oggi presenta un'immagine seducente: una pletora di Stati e di popoli che vivono a stretto contatto, prosperi, stabili e (per lo più) in pace con se stessi e con il mondo; un continente minuscolo per gli standard mondiali, ma benedetto da una quota sproporzionata del patrimonio culturale e materiale mondiale; uno spazio pubblico transnazionale in cui religioni, lingue e tradizioni politiche diverse non costituiscono un ostacolo a una fede condivisa nella democrazia e nei diritti privati, in cui le responsabilità sociali dello Stato e le libertà civili dei cittadini non sono semplicemente compatibili, ma si sostengono a vicenda. L'Europa di ieri, tuttavia, era un po' diversa: il campo di sterminio del XX secolo
— Tony Judt, “Democracy as an Aberration”, New York Times, 1999

Così lo storico Tony Judt inizia la recensione del volume “Le ombre dell’Europa” di Mark Mazower. Lo storico britannico formatosi ad Oxford si è specializzato nella storia dei Balcani e della Grecia, occupandosi in particolare dell’occupazione nazista della Grecia e della storia della città di Salonicco [4]. Infine, si è dedicato estensivamente alla storia europea del XX secolo, trattata anche nel volume qui presentato.

Addentrandoci nelle “ombre dell’Europa”, Mazower evidenzia come l'approccio più rassicurante, adottato anche da una parte della storiografia [5], sia quello di trattare la prima metà di questo secolo come un brutto interludio: vedendo l'Europa occidentale post-1945 e l'Europa orientale post-1989 come gli eredi naturali di un'epoca precedente di lotte per la democrazia e la libertà.

«Sbagliamo» scrive «a rileggere il passato sulla base del presente e dando per scontato, per esempio, che la democrazia debba essere profondamente radicata nel suolo europeo solo perché la Guerra fredda è finita come sappiamo». [6]

Di fronte alle inadeguatezze dell'accordo di Versailles, ai fallimenti seriali del capitalismo e all'insicurezza internazionale di nuovi e vecchi Stati, i nuovi movimenti della destra antidemocratica hanno avuto la meglio in gran parte del continente: «L'Europa trovò forme di ordinamento politico diverse, autoritarie, certo non più estranee alla sua tradizione e non meno efficienti in quanto sistemi di organizzazione della società, dell'industria e della tecnologia». [7]

Proprio come il "decennio basso e disonesto" degli anni '30 di Auden era saldamente radicato in un insieme di paure e speranze europee del tutto estranee alle ipotesi benevole dei liberali del XIX secolo, così l'Europa del secondo dopoguerra non ha iniziato con una tabula rasa.

In Occidente, gli Stati sociali erano eredi delle osservazioni prebelliche sul successo fascista e sul fallimento democratico; nell'Europa orientale, la pianificazione comunista e il controllo statale si basavano su sporadici sforzi precedenti di autarchia economica e di accumulazione di capitale locale attraverso l'industrializzazione coercitiva.

A differenza di Mussolini, Hitler vedeva la sua "missione civilizzatrice" non al di fuori, ma all'interno dell'Europa e «proprio qui, senza dubbio, trasformando gli europei di nuovo in barbari e schiavi, risiedeva la più grande offesa dei nazisti contro la sensibilità dei continentali» [8]. La violenza, che l'Europa trovò così facile ignorare quando commessa all'estero in suo nome, si rivelò più difficile da digerire in patria.

È senza dubbio vero che "i cuori e le menti europee non sono stati tanto conquistati dagli Alleati quanto persi da Hitler" [9], ma altrove le virtù della democrazia, pur essendo certamente ricordate con nuovo entusiasmo grazie all'esperienza dell'occupazione tedesca, non erano state completamente dimenticate, nemmeno nelle ore più buie del 1939-40. [10]

NOTE

[1] Ulteriore letteratura sul tema dei trattati tra spagnoli e indios Lawrence Kinnaird, Francisco Blache, and Navarro Blache, ‘Spanish Treaties with Indian Tribes’, The Western Historical Quarterly 10, no. 1 (1979): 39–48; Jack Holmes, ‘Spanish Treaties with West Florida Indians 1784-1802’, Florida Historical Quarterly 48, no. 2 (13 July 2021); ‘Native Americans, Relations with Spanish’, Mississippi Encyclopedia, accessed 10 May 2024.
[2] Vedi George Kubler, Mexican Architecture of the Sixteenth Century (Yale University Press, 1948); George Kubler, The Art and Architecture of Ancient America: The Mexican, Maya, and Andean Peoples (Penguin Books, 1962).
[3] Il contributo di Gibson più significativo in tal senso è rappresentato senz’altro dal volume The Aztecs Under Spanish Rule: A History of the Indians of the Valley of Mexico, 1519-1810 (Stanford University Press, 1964).
[4] Vedi Mazower, Mark. Salonica, City of Ghosts: Christians, Muslims and Jews 1430-1950. United Kingdom: Knopf Doubleday Publishing Group, 2006; Mazower, Mark. Inside Hitler's Greece: The Experience of Occupation, 1941-44. United Kingdom: Yale University Press, 2001.
[5] Esempio dell’interpretazione del periodo totalitario come fase di temporaneo smarrimento nel caso italiano è Emanuele Cutinelli Rèndina, Benedetto Croce: Una vita per la nuova Italia. Genesi di una vocazione civile (1866-1918).. I (Nino Aragno Editore., 2022).
[6] Mazower, Mark. Le ombre dell'Europa. Democrazie e totalitarismi nel XX secolo. Italia: Garzanti, 2013, p. 11
[7] Ibid. p. 19
[8] Ibid. pp. 82-83
[9] Ibid. p. 147
[10] Interessante da leggere per una ulteriore analisi del volume la recensione di Raymond Pearson, “Review: Dark Continent: Europe's Twentieth Century”, Allen Lane: The Penguin Press, 1999

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