Tra i padri fondatori dell'Unione Europea: Jean Monnet e Jacque Delors

Nelle ultime settimane abbiamo analizzato alcune delle Istituzioni dell’Unione Europea, una primaria analisi in vista delle elezioni di questo fine settimana che però non può terminare senza aver parlato di due dei suoi padri fondatori: Jean Monnet e Jacque Delors.

Nel contesto in cui viviamo oggi, con un’Unione continuamente attacca dai partiti euroscettici, è necessario riprendere in mano figure come quelle di Monnet e Delors, due francesi cattolici con una progressiva visione laica dell’agire politico e con una volontà di rivestire ruoli operativi invece che politicamente apicali, le quali hanno maturato nel tempo – figli del loro tempo e testimoni delle criticità che hanno spinto l’Unione Europea a nascere e a evolversi – una loro visione sociale tale, da poterli infine definirli come “muratori divenuti carpentieri”.

Jean Monnet

Nato a Cognac nel 1888 da una famiglia di commercianti di cognac, ha abbandonato gli studi prima della maturità per finire a lavorare partendo dalla gavetta delle basi, maturando così un’esperienza e un modo di agire che condizionerà poi tutta la sua attività in ambito europeo.

Vivendo infatti il cambiamento industriale di fine ‘800 e inizio ‘900, nonché avendo la possibilità di risiedere per diversi anni nel Regno Unito e di viaggiare, ha capito l’importanza delle relazioni e del fare rete, di mettersi d’accordo con gli altri per superare quei limiti tra le persone (da lui visti nella sua Francia ove tutti litigavano con tutti) che limitavano la crescita economica, giugendo così a convincersi dell’origine dal basso dei cambiamenti politici e istituzionali.

Lo shock sociale portato dalla Grande Guerra – ove fu organizzatore dei rifornimenti e delegato al al Supremo consiglio economico interalleato – unito alla esperienza anglo-americana, lo porterà a comprendere ulteriomente l’importanza della cooperazione, il funzionamento della democrazia (la democrazia inglese è un unicum rispetto agli altri stati europei, vista la figura secolare della monarchia costituzionale), nonché l’importanza di liberalizzare pacificamente i commerci (ricordiamo che nei secoli precedenti per quanto i rapporti fra nazioni a livello commerciale possano essere stati più o meno tranquilli al di fuori delle guerre, sostanzialmente venivano gestiti con i cannoni della pirateria, una realtà sulla quale noi italiani con la Serenessima avevamo fatto scuola.), finendo per questo nel diventare un motore propulsivo nel contesto della neonata Società delle Nazioni, in un periodo come quello del Primo Dopoguerra che era tutto fuorché pacifico, visti i molteplici conflitti in Europa e le tensioni nei vari continenti, specie quelle coloniali (anche questa sarà un’importante esperienza visto che la Società sarà – nonostante l’epilogo – un laboratorio in cui parole come trattato e accordo assumeranno nuovo significato, nonché assurgeranno nuove istanze legate a religioni, ideologie, ecc.).

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, ove fu tra gli artefici del c.d. Victory Program [1] e consapevole del fallimento della Società delle Nazioni, Monnet capisce che l’Europa necessità di avere un realtà istituzionale ulteriore, una realtà che vada al di là delle buone intenzioni: è il tempo della CECA.

Vista infatti la storia dell’Europa, le guerre per le materie prime e la necessità di arrivare a risolvere i problemi cooperando invece che combattendo, non si poteva non avere come soluzione se non la creazione di un organismo sovranazionale di cooperazione in cui gli Stati, fondandola sui 3 principi che saranno poi alla base della stessa Unione Europea:

  • uguaglianza fra Stati membri;
  • indipendenza delle Istituzioni comunitarie;
  • collaborazione a pari livello fra tali Istituzioni.

Sebbene la CECA dimostri come la UE nasca in una matrice prettamente economica, una necessità dettata dal momento storico in cui le materie prime (carbone e acciaio) dovevano circolare per rimettere in piedi l’economia, essa era comunque ben di più di un mero trattato commerciale, tant’è che Monnet la considera un mero primo passo per qualcosa di più grande (Monet, nel suo pragmatismo non volto al culto dello stato, riteneva infatti he l’economia fosse l’unica forza – grazie alla sua capacità innovativa e riformatrice – di risollevare l’Europa dalla situazione in cui vergeva nel Secondo Dopoguerra).

Monnet continuerà poi a lavorare in vari ambiti a livello europeo e molti lo hanno definito un tecnocrate asservito agli americani, ma la realtà dei fatti ci permette di tratte ben più corretto giudizio.

Monnet era il centro il centro di un network internazionale di relazioni, un uomo di idee portate avanti con pragmatismo e discusse con i politici confrontandosi nel merito, vedendo solo antagonisti e non nemici.

Jean Monnet ha sempre agito nella volontà di creare una cooperazione che – figlio di ceti commercianti – non diventasse un mostro burocratico, consapevole dell’impossibilità di realizzare un tale progetto senza il supporto e le risorse economiche degli Stati Uniti.

La sua volontà, era quella di costruire una struttura sovranazionale che potesse rispondere a un mondo sempre più interconnesso e complesso, aperto nel confronto e negli scambi, fondata sulla cooperazione fra gli Stati membri, andando così oltre gli strumenti tradizionali dei trattati per entrare in un contesto di regole e azioni comuni volte a garantire la pace.

Una realtà in cui la persona deve essere sempre al centro dell’azione.

Jacque Delors

Di Jacque Delors ne avevamo già parlato in occasione della sua morte avvenuta qualche mese fa [2].

Padre banchiere, laureato in scienze economiche e con carriera lavorativa nel settore bancario e un’intensa attività politica (la sua carriera lo vedrà ricorpire diversi incarichi a livello ministeriale, giungendo poi a essere eletto europarlamentare nel 1979, carica dalla quale si dimetterà nel 1981 per divenire ministro dell’economia e delle finanze in Francia), Delors ha lo stesso impianto e contesto culturale di Monnet, nonostante le diverse partenze, divenndo un leader suo malgrado.

La sua esperienza sindacale – fu esperto economico della Confédération française des travailleurs chrétiens – lo porterà ad avere fissa l’idea del miglioramento continuo delle persone, formandole e aumentando la produttivitià, includendo i diversi strati della società e instaurando la possibilità di un dialogo che permettesse alla fine di dare stabilità ed espandere i commerci.

Conoscitore della storia, influenzato da decenni di tensioni vissute nel contesto della Guerra fredda e delle crisi degli anni ’70 e ’80, comprendendo il problema del conflitto tra persone e ideologie, nonché l’importanza – grazie anche alla sua esperienza da ministro – degli accordi tra paesi, specialmente con gli Stati Uniti, pur avendo perennementein mente l’economia, comprese la necessità di andare oltre alla CEE, di darle quella marcia in più che la portasse ad essere Unione.

Attenzione però: unione, non unità, non un moloch.

Lui che da presidente della Commissione Europea visse gli anni tra il 1985 e il 1995, passando per la crisi del blocco Est dell’Europa, espresse l’esigenza corale di una grande fase di trasformazione, proponendo la creazione di un’Unione Europea che sfocerà nelle 4 libertà da liberalizzare (circolazione di beni, servizi, capitali e persone) e nell’idea dei 3 pilastri dell’UE – CEE (mercato unico), PESC (politica estera e di sicurezza) e GAI (sicurezza interna e giustizia) chiusi poi con la semplicificazione portata dal Trattato di Lisbona del 2009 – concetto quest’ultimo chiave della sua visione.

“Pilastri” è infatti una parola voluta per esprimere il fatto di essere solamente al punto di partenza.

L’Unione Europea è una realtà di elementi di diritto pubblico e costituzionali figli non della guerra e della distruzione delle realtà presistenti, bensì un’aggiunta a quest’ultime, figlia del diritto privato e commerciale, e in perenne trasformazione, una realtà possibile grazie a un altro fattore critico tutt’ora esistente: l’Alleanza Atlantica.

L’Unione Europea è un insieme di stati che cercano di migliorare l’economia e la società mettendo in comune risorse, uno sforzo in tal senso impossibile senza l’ombrello protettivo della NATO e l’impegno degli Stati Uniti al suo interno, poiché questo ha permesso di deviare risorse al sistema economico invece che alla deterrenza militare.

Dopo il 1995 Delors non vorrà assumere altri incarichi nelle istituzioni UE, ma manterrà un ruolo di “contributore esterno” con la critica costruttiva, continuando a credere in quell’idea che la politica partisse dal basso, a partire dalla propria casa, con un impegno come cittadini europei in cui il voto per il Parlamento è solo l’apice.

Conclusioni

In chiusura di questa digressione – volutamente breve e per sommi fondamentali capi, vista la complessità – delle figure di due dei padri fondatori dell’Unione Europea, ricordiamo una verità fondamentale su di essa: è un unicum nel suo genere che si sta ancora evolvendo.

È un ibrido a metà strada tra un’associazione di stati e un realtà federale mai tentato prima nella storia dell’umanità, che vive un processo di cambiamento ed evoluzione imposto anche dalle necessità della contingenza.

L’Unione nasce in ambito economico e si continua a lavorare per andare oltre, al resto.

A fronte delle continue critiche dei partiti anti-europei dobbiamo ricordare che è sbagliato prendersela con le Istituzioni europee, agitando sprettri contro di esse.

Se le Istituzioni sono ben fatte, o comunque migliorabili, il problema non è l’Istituzione, bensì delle persone al loro interno: le Istituzioni sono solo dei mezzi in mano alle persone.

L’agente primario da cui partire è sempre la persona: la responsabilità è innanzitutto – a prescindere dall’ottica utilizzata – personale. Solo l’individuo esiste, solo l’individuo pensa, solo l’individuo agisce, sia ciò come nel singolo che nelle formazioni sociali in cui esso opera e/o da vita.

Se vogliamo costruire un’Unione Europea che sia effettivamente tale, più grande e operativa, dobbiamo assumerci tutti i rischi che vi sono, specialmente a fronte della contingenza che stiamo vivendo e che impone dei cambiamenti.

Cambiamenti che si scontrano con due problemi strutturali vigenti:

  • la resistenza culturale alle inevitabili cessioni di sovranità a tali fini necessario. Il cambiamento implica la rottura degli equilibri vigenti;
  • le conseguenze del rapido allargamento ad Est post 2000, a Stati che hanno inizialmente abbracciato i nostri principi e che una volta presi i contributi, hanno iniziato a rifiutarne.

Ad oggi l’idea degli Stati Uniti d’Europa non è attuabile.

È però comunque un punto di arrivo a cui giungere se e solo se ripartiamo dalla coscienza dei cittadini, dall’idea che dobbiamo essere uniti nel creare qualcosa atto a trovare le risorse e le capacità necessarie a constrastare le crescenti avversità figlie delle nuove sfide economiche e geopolitiche.

Unità e cooperazione contro le difficoltà. Oggi come lo fu allora.

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