L’annuncio dell’esilio di Edmundo González Urrutia, leader del partito dell’opposizione venezuelana, nonché uno dei suoi principali volti, rappresenta l’ennesimo capitolo di repressione del regime Chavista di Nicolás Maduro. Diplomatico di 75 anni, González Urrutia è stato forzato a lasciare il Paese dopo settimane di intense persecuzioni, culminate in un mandato d’arresto emesso nei suoi confronti. La decisione di rifugiarsi in Spagna è arrivata dopo aver cercato protezione, prima, all'interno dell’ambasciata olandese e, in seguito, nella residenza dell’ambasciatore spagnolo a Caracas. Come se non bastasse, per volare all’estero, il leader di Unidad è stato obbligato a firmare un documento che attestasse e riconoscesse da parte sua la vittoria di Maduro. Quest’ultimo ha ritenuto più utile continuare a lottare da “lontano” e da “libero” piuttosto che da dietro le sbarre.
Urrutia era stato scelto come candidato dell’opposizione per le elezioni presidenziali del 28 luglio 2024, in seguito all’esclusione per mano del regime di María Corina Machado. Nonostante la vittoria e una parvenza di speranza per la compagine democratica, il risultato delle elezioni ha scatenato una repressione ancora più dura. Il governo di Maduro lo ha infatti accusato di "sabotaggio elettorale", sostenendo che questi avrebbe divulgato documenti che attestavano falsamente la sua vittoria, andando a contestare così, dal punto di vista del Palazzo di Miraflores, il risultato ufficiale che attribuiva la vittoria al presidente in carica.
La situazione di González Urrutia si è andata aggravando rapidamente dopo le elezioni, con le forze di sicurezza venezuelane che hanno intensificato arresti e misure repressive contro l’opposizione stessa e il suo elettorato. Il regime ha messo in campo una strategia ben oliata, utilizzando il sistema giudiziario come mastino per perseguire i rivali politici e organizzando una campagna di propaganda volta a screditarli.
Le milizie paramilitari filo-governative, note come "colectivos", hanno fino a qui giocato un ruolo di primo piano nella repressione, contribuendo ad ondate di violenza che hanno portato alla morte di oltre venti manifestanti nelle settimane successive al voto.
Nonostante la fuga del suo candidato, nonché successore, principale in Spagna, María Corina Machado ha assicurato che la battaglia contro il regime di Maduro non si fermerà. La storica leader di vente promette che González assumerà la presidenza il 10 gennaio 2025, come previsto dal calendario costituzionale, e continua a difendere senza indugi la legittimità della sua vittoria elettorale, indipendentemente dal fatto che si trovi in esilio. La stessa “dama di ferro” continua ad incoraggiare il popolo a mantenersi schierato e pressante contro il regime attraverso mobilitazioni di piazza e issando alta la bandiera dell'opposizione di fronte alla repressione.
Se paragoniamo lo scenario attuale con quello post elezioni del 2019, anno in cui Juan Guaidó tentò di rovesciare Maduro autoproclamandosi presidente ad interim, la situazione venezuelana ha suscitato una risposta decisamente più convinta e significativa con un incremento del 16% delle proteste anti-governative. Tra lo scorso 28 luglio e il 23 agosto, sono state registrate oltre 280 manifestazioni anti-Maduro in tutto il paese, arrivando a coinvolgere 121 municipi, ovvero un terzo in più rispetto al 2019.
Gli stati più attivi in queste proteste sono stati fino ad ora Carabobo, Zulia e Falcón, mentre la giornata che ha visto sorgere il maggior numero di eventi è stata il 29 luglio, con ben 86 manifestazioni in tutto il paese. Questa ondata di proteste è stata particolarmente significativa essendo che ha preceduto l'appello ufficiale dell'opposizione a mobilitarsi.
La stessa diaspora venezuelana ha risposto con forza all'appello di Machado a mobilitarsi contro il regime e pretendere che vengano rispettati i risultati elettorali. Il 17 agosto 2024, migliaia di venezuelani si sono riversati nelle strade di 92 città in 18 paesi, tra i quali Stati Uniti, Spagna e altre nazioni europee.
Tuttavia, mentre le manifestazioni contro l’attuale regime sono aumentate, soltanto sette paesi hanno ufficialmente riconosciuto González come presidente eletto, in netto contrasto con il 2019, quando oltre 60 stati riconobbero Guaidó quale leader legittimo. La maggior parte dei governi stranieri ha infatti adottato una posizione più cauta.
I tentativi diplomatici promossi dai paesi limitrofi, quali Brasile, Messico e Colombia, non hanno né prodotto né forse ricercato, considerando le rispettive simpatie tra leader, risultati concreti. Nonostante miseri appelli alla mediazione, il regime di Maduro ha dimostrato una ferma determinazione nel non voler scendere a compromessi. Alcuni paesi avevano riposto speranze in una possibile transizione negoziata, grazie alla mediazione di leader latinoamericani con un certo grado di influenza su Maduro, ma finora questi sforzi sono falliti.
Nonostante la forte risposta interna ed esterna, il regime di Maduro ha continuato e continua a stringere sempre più la presa sul potere, aumentando repressione e detenzioni. Oltre 2.000 cittadini sono stati arrestati dalle forze di sicurezza, molti dei quali semplicemente accusati di partecipare alle proteste o di esprimere dissenso.
Questa situazione ha infatti ulteriormente peggiorato il clima di terrore nel paese, con molti oppositori costretti a nascondersi o cercare rifugio presso ambasciate straniere. La stessa ambasciata argentina a Caracas è stata assediata dalle forze governative per aver dato riparo a sei consiglieri della campagna di González in modo da evitare l’arresto. Nessun oppositore politico può attualmente sentirsi al sicuro in Venezuela.
Il contesto attuale ha infatti spinto molti osservatori internazionali e parte dell’elettorato più suscettibile, a mettere in dubbio le possibilità di successo dell'opposizione qualora non si decida di perseguire una strategia più efficace. Alcuni analisti ritengono che insistere unicamente sulla questione della legittimità della vittoria di González, organizzando occasionali manifestazioni, non sia sufficiente per arrivare ad una svolta. Secondo Phil Gunson, esperto di politica venezuelana, l'opposizione deve formulare un piano che mantenga viva sia la mobilitazione popolare domestica che l'attenzione internazionale, altrimenti si rischiano di perdere slancio ed entusiasmo.
Dunque, nonostante il pesante esilio di González e la difficoltà nel mantenere alta la guardia in tempi di repressione, l'opposizione venezuelana continua a lottare per una transizione democratica, cercando di mantenere viva la mobilitazione sia all'interno del paese che sul piano internazionale. Il futuro politico del Venezuela rimane incerto.
La crisi attuale e i suoi risvolti dipenderanno tantissimo dal ruolo cruciale della mobilitazione e da come questa riuscirà a perpetuare la propria pressione nei confronti del regime di Maduro, complementarmente al mantenimento di un’elevata mediaticità internazionale di fronte allo scandaloso risvolto autoritario.