Il documentario Food4Profit di Giulia Innocenzi ha fatto discreto scalpore nell’opinione pubblica. Di seguito approfondiamo le tematiche tratte dal documentario, per evidenziare diverse criticità.
PAC e allevamenti: quale relazione?
La Politica Agricola Comune (PAC) è una politica dell'Unione Europea che sostiene gli agricoltori, garantisce la sicurezza alimentare e promuove lo sviluppo rurale. All’interno della PAC sono stati inseriti i cosiddetti eco-schemi, strumenti che incentivano pratiche agricole sostenibili e rispettose dell'ambiente, premiando gli agricoltori per l'adozione di tecniche ecologiche: schemi che mirano a migliorare la biodiversità, la qualità del suolo e dell'acqua, e a mitigare il cambiamento climatico. La zootecnia è argomento preminente all’interno dei nuovi eco-schemi della PAC 2023-2027: l'eco-schema 1, chiamato "Pagamento per la riduzione dell'antibiotico resistenza e per il benessere animale", è ad esempio dedicato interamente alla zootecnia e ha un budget di 376,4 milioni di euro all'anno, pari al 42,4% del totale stanziato per gli eco-schemi.
L'eco-schema 1 si applica a livello nazionale e prevede due livelli di impegno:
- Livello 1: richiede il rispetto di limiti nell'uso di antibiotici veterinari.
- Livello 2: richiede il rispetto di specifici obblighi per il benessere animale, aderendo al Sistema di Qualità Nazionale per il Benessere Animale (SQVNBA).
I due livelli non possono essere combinati, poiché aderire al SQVNBA (necessario per il livello 2) include già l'impegno a ridurre gli antibiotici come previsto dal livello 1. Gli allevatori, pertanto, possono scegliere di aderire a uno dei due livelli per ciascun allevamento, specie animale, orientamento produttivo o gruppi di animali, distinguendo correttamente gli animali che determinano le Unità di Bestiame Adulto (UBA), premiabili nel Livello 1, da quelli del Livello 2.
Il tema della riduzione dell'antibiotico resistenza (AMR) e del migliorare il benessere e salute degli animali sarà approfondito più avanti all’interno di questo articolo.
Appurati gli obiettivi che la PAC si è posta relativi agli allevamenti, porre il focus (in questo caso) solo sulla PAC e l’Unione Europea sembra un corto-circuito, in quanto i finanziamenti servono a migliorare le condizioni di salute e di benessere degli animali.
OGM: una retorica che già conosciamo
Il documentario accenna agli OGM senza fare distinzione nella sua adozione tra il mondo animale e quello vegetale: un chiaro punto debole è costituito dal fatto che la giornalista non spieghi cosa siano gli OGM né perché li definisca (peraltro erroneamente) tali. La definizione corretta di OGM è "organismi non umani modificati attraverso l'ingegneria genetica", ovvero l'insieme di tecniche atte ad inserire, togliere o modificare porzioni di DNA, il materiale genetico presente in tutte le cellule degli organismi viventi.
In particolare, la retorica sugli OGM vegetali e sulle conseguenze che ha portato in Europa è oramai appannaggio di tutta la comunità scientifica e no.
Di fatto l’Europa è diventa un importatore di OGM, in particolare l’86% della soia presente sul territorio europeo è OGM (utilizzata sia come mangime animale, sia per l’alimentazione umana), il 47,4% del cotone, quasi il 40% della canola e circa il 23% del mais sono OGM, e la maggior parte vengono dal Brasile, il quale ha aumentato il terreno utilizzato per produrre un surplus di prodotti da esportare in Europa.
Quindi, per motivi non scientifici (ad oggi non ci sono evidenze che associano OGM a problemi per la salute), una delle esternalità di tale situazione è che in Europa si è registrato un maggior utilizzo di pesticidi negli anni quindi una maggiore pressione sull’ ambiente.
Logica anti produttiva
All’interno del documentario viene spesso ribadito come sarebbe auspicabile abbandonare le logiche di produttività a favore dell’ambiente, ignorando come rispetto ad altri stati occidentali quali gli USA, il PIL prodotto rispetto alla percentuale di occupati sia nettamente inferiore: nei fatti siamo ben poco produttivi.
Il peso del settore agricolo e della pesca nell’Unione Europea è di poco superiore alla media OCSE: nel 2022 ha infatti generato solo l’1,7% del PIL dell’Unione Europea pur impiegando più del 4% degli occupati.
Quota del PIL e degli occupati del settore agricolo e dalla pesca nel 2021:
% degli occupati impiegati
Paese | % del PIL prodotto | |
UE | 1,6% | 4,3% |
Media OECD | 1,4% | 4,6% |
USA | 1% | 1,6% |
UK | 0,7% | 1% |
Fonte: OECD
Antibiotico resistenza negli allevamenti
Nel documentario viene anche affrontato il tema relativo all’antibiotico-resistenza evidenziando come esso costituisca un rischio per la salute pubblica.
Nei fatti, l'epidemiologia della resistenza agli antibiotici è complessa e ancora poco prevedibile, poiché coinvolge molteplici vie di trasmissione di batteri carriers di geni responsabili della resistenza.
Gli antibiotici, utilizzati negli animali da allevamento come anche negli animali da compagnia per trattare malattie, se utilizzati in modo non responsabile e senza la supervisione dei veterinari, possono portare a una selezione di batteri resistenti potenzialmente in grado di effettuare il salto interspecie dagli animali agli esseri umani.
Sebbene l'uso di antibiotici abbia facilitato l'intensificazione e la gestione delle produzioni di animali da allevamento sin dagli anni '60 e l'uso di antibiotici come promotori della crescita è vietato in tutta Europa dal 2006 (Regolamento (EU) 1831/2003) ha di converso anche comportato costi in termini di salute pubblica: la trasmissione dei geni responsabili della resistenza dagli animali agli esseri umani può avvenire attraverso molteplici modalità, tra cui, batteri antibiotico-resistenti all’interno delle falde acquifere.
Detto ciò, i batteri resistenti ed i residui di antibiotici dalla produzione animale sono monitorati attraverso controlli sul farmaco veterinario e controlli ufficiali lungo tutta la filiera, nonché attraverso la rete delle Agenzie del farmaco di ogni paese membro (i prodotti origine animale possono essere commercializzati dopo rigidi controlli sia a campione in azienda, al mattatoio, al livello retailer grazie alla Normativa specifica dell’Unione Europea (vedi Regolamento (EU) 2019/6, Regolamento (EU) 2019/4, Regolamento (EU) 2017/625, Regolamento (EU) 2016/429)
Le conseguenze per la salute pubblica della resistenza agli antibiotici sono difficili da valutare a causa della complessità epidemiologica; tuttavia, l'approccio "One Health", ovvero quello applicato dall’ Unione Europea e dai maggiori paesi avanzati, risulta adatto al fine di prevenire e controllare la resistenza emergente, considerando le interconnessioni tra la salute degli animali, degli esseri umani, dell'ambiente e delle piante.
Diverse strategie, quali vaccini e sistemi di sorveglianza integrati lungo la catena di produzione alimentare, possono limitare l’uso di antibiotici e prevenire l’antibiotico-resistenza.
Il progetto ESVAC - European Surveillance of Veterinary Antimicrobial Consumption (ESVAC): 2009 – 2023 - avviato dall’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) dal Settembre 2009, in seguito alla richiesta della Commissione Europea con lo scopo di sviluppare un approccio armonizzato per la raccolta e la segnalazione dei dati sull'uso di antibiotici negli animali degli Stati Membri dell'UE e dello Spazio Economico Europeo (SEE), presenta i dati sulle vendite di medicinali antimicrobici veterinari raccolti da 31 paesi evidenziando i principali cambiamenti e tendenze.
Di fatto, la maggior parte dei paesi partecipanti è riuscita a ridurre l'uso di antibiotici negli animali da produzione, con un calo delle vendite del 53% tra il 2011 e il 2022 secondo i dati raccolti dai 25 paesi che hanno partecipato alla raccolta e condivisione dei medesimi.
L'obiettivo della UE è quello di ridurre di un altro 50% (Farm to Fork strategy) le vendite totali di antibiotici destinati agli animali da produzione e a quelli di acquacoltura entro il 2030 rispetto alle quantità emerse dai dati del campione relativo all’anno 2018.
Secondo quanto emerso dall’analisi del 2022, gli Stati Membri dell’UE hanno raggiunto un calo delle vendite pari al 49% per la classe delle cefalosporine di III e IV generazione indicando progressi significativi verso il raggiungimento degli obiettivi della strategia.
Antimicrobial classes | Reduction in total sales since 2011 |
---|---|
3rd and 4th generation cephalosporins | By 49% |
Polymyxins | By 91% |
Fluoroquinolones | By 25 % |
Other quinolones | By 90 % |
fonte: European Surveillance of Veterinary Antimicrobial Consumption (ESVAC): 2009 - 2023
Di conseguenza, definire l’antibiotico resistenza quale un problema ad oggi non risolto per il settore zootecnico è pertanto frutto di un'opinione tendenziosa smentita dai dati.
Benessere degli animali in allevamento
Esistono delle oggettive criticità nel sistema zootecnico per quanto riguarda il benessere animale, tuttavia la PAC è la dimostrazione di come negli ultimi anni si stia acquisendo consapevolezza di quanto sia importante il benessere animale al fine sia del buon funzionamento di un'azienda zootecnica, che in termini di accettazione dell’opinione pubblica. La PAC garantisce, infatti, l’erogazione di finanziamenti volti ad aumentare lo standard di benessere animale e ridurre l’uso di antibiotici. Risulta comunque essenziale che ciò sia coadiuvato da una campagna di sensibilizzazione sociale riguardo l’importanza dell’approccio “One Health”, al fine di disincentivare un'alimentazione sbilanciata verso i prodotti di origine animale.
Emissioni e allevamenti
Gli allevamenti vengono da molto tempo accusati di essere una delle fonti principali di inquinamento e parte delle cause del surriscaldamento globale, ma quanto c’è di vero?
Gli allevamenti di per sé rappresentano poco meno del 6% delle emissioni, in particolare nel documentario della Innocenzi vengono mostrati principalmente allevamenti di polli e maiali, che tuttavia risultano essere poco determinati in termini di impatto ambientale misurato in CO2eq.
Gli allevamenti di bovini per la produzione di carne emettono principalmente CH4 (metano) che tuttavia questa misurazione non va a considerare altri aspetti legato agli allevamenti, come la produzione di fertilizzanti (Farina d’ossa), indispensabili per ridurre l’uso di fertilizzanti chimici.
Consumo di carne e dieta vegana
Il consumo attuale di carne in Europa, non solo è elevato, ma risulta in aumento.
La FAO dichiara addirittura un consumo pro-capite di circa 80 kg di carne all'anno.
Ad risultare palesemente in eccesso rispetto alle linee guida per una sana alimentazione (in Italia rilasciate dal CREA), è la carne rossa (in particolare quella di maiale), in quanto il suo consumo andrebbe limitato, in conformità alle linee guida, a 100g a settimana, equivalenti a 5.2 kg l’anno: un dato che andrebbe ulteriormente ridimensionato per le carni trasformate quali gli insaccati, la cui porzione da 50g è da intendersi come da consumarsi solo occasionalmente.
Dal punto di vista prettamente salutare, la dieta occidentale può essere rivista, puntando a una riduzione della quantità di carne consumata, allineandosi così alle linee guida della dieta mediterranea.
Possiamo notare, infatti, dal sito del Word Cancer Research Fund International, come ci sia una forte correlazione/causa tra carni rosse trasformate e tumori, e - di converso - una correlazione positiva tra prodotti vegetali e salute.(Interactive Cancer Risk Matrix)
Tuttavia una RIDUZIONE delle proteine di origine animale non va confusa con la loro ELIMINAZIONE: analizzando le linee guida infatti, dal punto di vista salutare la soluzione ottimale risulta essere quella di limitare la carne rossa, andando a preferire le carni bianche, uova, latticini e pesce.
La dieta vegetariana e vegana infatti, per quanto con molta attenzione possono essere equilibrate, risultano essere spesso carenti in alcuni nutrienti, quali i PUFA, e di alcuni micronutrienti quali ad esempio vitamina B12, calcio, acido folico; a meno che i vegani non consumino regolarmente alimenti arricchiti con tali nutrienti, dovrebbero essere assunti in loro vece integratori appropriati. Medesimo discorso è applicabile andando a considerare il fabbisogno amminoacidico del singolo individuo, in quanto, nonostante l’accoppiata alimentare cereale - legume, è comunque possibile incorrere in un deficit di leucina, specie in virtù dell’apporto di anti-nutrienti a cui si può essere esposti.
Dal punto di vista ambientale, la condizione non è significativamente differente l’alimento più inquinante risulta la carne bovina, in virtù di:
Per il primo punto rimandiamo a un articolo dove si è già discusso della questione relativa all’impatto del metano in atmosfera e ai problemi relativi alla metrica con cui tale impatto viene misurato: "Emissioni ed allevamenti: le evidenze scientifiche"
Per il secondo sono invece necessarie ulteriori considerazioni
La maggior parte del suolo occupato da parte dei ruminanti è costituita da pascoli; tuttavia è necessario prendere in considerazione due particolari aspetti:
Ciò non prende in considerazione le possibili e probabili innovazioni che porteranno ad un'intensificazione sostenibile della filiera zootecnica, andando a migliorarne l’efficienza a fronte di una domanda alimentare crescente, nonché dell’introduzione nel mercato di nuove fonti proteiche quali carne coltivata ed insetti, in grado di determinare un nuovo equilibrio sul mercato.
In questo scenario, l’opzione vegana risulta non solo essere difficilmente attuabile e sostenibile a livello sociale, ma probabilmente nemmeno l’opzione più “Green”, bensì solo quella più ideologica.
Conclusioni
Il docufilm della Innocenzi risulta tendenzioso, non sempre esatto, frutto di “cherry picking” e al suo interno è palese come non si tenga conto né delle evidenze scientifiche, né dello stato attuale di benessere e salute degli animali, nonché della tematica dell’AMR in Europa.
Una riflessione seria sulla dieta mediterranea e sulla dieta bilanciata andrebbe piuttosto fatta prendendo in considerazione il consumo di prodotti di origine animale, di quelli vegetali e dello stile di vita delle persone.
Un’informazione corretta è fondamentale non solo per il pubblico ed i cittadini, ma anche per i politici i quali spesso si abbandonano a considerazioni immotivate, inneggiando ad esempio a prodotti tipici (magari di non comprovata qualità), basandosi su una logica “gastro nazionalista” incompatibile ed insensata rispetto alle invece ben documentate linee guida mediche, nutrizionali e scientifiche.
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