Stanno destando scalpore le immagini provenienti dalla Turchia, dove da ormai più di due settimane la popolazione è scesa in piazza in difesa della democrazia e dello stato di diritto. Le proteste sono state inizialmente innescate dall’arresto del popolare sindaco di Istanbul, Ekrem İmamoğlu, che secondo i sondaggi in una prossima elezione potrebbe strappare a Recep Tayyip Erdoğan la carica di Presidente. I chiari motivi politici dietro l’arresto del sindaco hanno suscitato enorme scandalo nel Paese che, già in forti difficoltà economiche, si trova ora a dover scegliere tra una definitiva svolta autoritaria e una lunga lotta per la democrazia.
All’alba dello scorso 19 marzo la polizia ha fatto irruzione nella casa del sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu, il quale è stato arrestato con l’accusa di corruzione e di terrorismo. Insieme a lui sono state arrestate altre 106 persone, tra cui il sindaco di un distretto della città metropolitana di Istanbul, giornalisti, politici locali e uomini d’affari considerati vicini ad İmamoğlu. Scendendo nei particolari İmamoğlu è stato accusato dai procuratori di aver manipolato appalti pubblici, di frode e appropriazione illecita di dati personali, oltre che di aver collaborato alle elezioni municipali col gruppo curdo PKK, considerato terroristico sia dalle autorità turche che da quelle occidentali. Il diretto interessato ha tuttavia rigettato ogni accusa, accusando il governo di Erdoğan di tirannia, di star contravvenendo alla volontà popolare e denunciando la sua messa in stato di fermo come un atto politico(1).
L’arresto è arrivato pochissimi giorni prima del congresso del Partito Popolare Repubblicano (CHP) (2), che avrebbe dovuto incoronare İmamoğlu come candidato del partito alle elezioni presidenziali del 2028, alle quali l’ormai ex-sindaco era dato per favorito. La scelta del candidato presidente a tre anni dalle elezioni non deve stupire. Secondo diversi media è molto probabile che si tengano elezioni anticipate, in quanto secondo la costituzione l’attuale presidente Erdoğan (in carica dal 2014) non potrebbe essere rieletto, a meno che non ponga fine prematuramente all’attuale mandato, il che gli permetterebbe dunque di ricandidarsi. La stragrande maggioranza dei commentatori considera l’arresto di İmamoğlu come un atto di Erdoğan indirizzato ad eliminare il popolare rivale politico, che secondo i sondaggi risulterebbe vincitore in un eventuale ballottaggio con il presidente (3).
Questo arresto è però solo l'ultimo di una serie di provvedimenti giudiziari contro il sindaco di Istanbul, spesso criticati per la loro infondatezza. Il giorno prima dell’arresto l’Università di Istanbul ha revocato la laurea di İmamoğlu a causa di presunte irregolarità nel suo trasferimento da un’università di Cipro Nord: si tratta di un provvedimento rilevante, in quanto essere laureati è un requisito necessario per candidarsi alla presidenza del Paese. Nel 2022 İmamoğlu poi era già stato condannato a scontare una pena di due anni e sette mesi per aver chiamato “scemo” il Ministro dell’Interno, mentre stava solo ripetendo l’epiteto che invece era stato lo stesso ministro ad attribuirgli. I procuratori avevano poi aperto un fascicolo contro il sindaco per aver mancato di rispetto alla tomba del sultano Mehmet II (avrebbe tenuto le mani incrociate dietro la schiena al suo cospetto). In totale, İmamoğlu sarebbe stato l’oggetto di ben 93 indagini (4). Erdoğan non è nuovo ad attacchi contro gli amministratori locali appartenenti all’opposizione, sia del CHP che del partito filocurdo DEM, spesso destituiti con accuse simili a quelle rivolte a İmamoğlu, ovvero corruzione e collaborazione con organizzazioni terroristiche. All’inizio di quest’anno l’arresto di un sindaco della Regione di Van ha provocato forti proteste di piazza e l’arresto di più di 300 persone tra politici, giornalisti ed accademici(5).
İmamoğlu era in carica dal 2019, quando con una storica elezione aveva strappato il governo della città più grande della Turchia all’AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo), il movimento politico di Erdoğan, che governava Istanbul da più di vent’anni. Già ai tempi il governo aveva tentato di bloccare l’elezione del membro del CHP, ordinando la ripetizione del voto. Al secondo tentativo İmamoğlu aveva ottenuto invece 6 punti percentuali in più, confermando il risultato della prima tornata e venendo rieletto nel 2024. Secondo gli accademici la popolarità del sindaco è dovuta alla sua retorica anti-populista basata sul mandare messaggi generalmente positivi (come il suo famoso slogan “andrà tutto bene”), distensivi e non polarizzanti (nel 2019 ha dichiarato di essere amico di Erdoğan), promettendo agli elettori non un brusco cambiamento ma un “nuovo inizio”. Questa strategia ha permesso a İmamoğlu di intercettare i voti di elettori che a livello nazionale voterebbero per l’AKP ed Erdoğan, garantendosi dunque il successo in tre elezioni comunali e rendendolo il candidato presidente ideale per il CHP (6).
L’arresto di İmamoğlu ha suscitato le accese proteste della cittadinanza della metropoli Euroasiatica, scesa subito in piazza per difendere la democrazia. I manifestanti hanno sfidato il governo centrale, che ha tentato di bloccare le proteste chiudendo alcune importanti arterie stradali della città e limitando i trasporti pubblici, imponendo inoltre un esplicito divieto di manifestazione. Proteste di rilievo si sono svolte in tutta Istanbul, ma principalmente davanti alla sede del Consiglio Metropolitano nell’area di Saraçhane, dove a fianco del grande drappo raffigurante Atatürk ne è stato posto uno proprio di İmamoğlu. Se tra il 19 e il 23 marzo erano circa 300 le persone arrestate, oggi i numeri parlano di circa 2000 fermi in tutto il paese. Sono stati inoltre arrestati diversi giornalisti, mentre alcuni corrispondenti stranieri occidentali sono stati deportati (7).
Il caso ha avuto rilevanza nazionale e ha portato a manifestazioni nelle principali città della Turchia, compresa la capitale Ankara, il cui sindaco MansurYavaş, anch'egli membro del CHP, si è unito alle proteste condannando l’arresto di İmamoğlu: secondo i media potrebbe essere lui il nuovo candidato del partito alla presidenza. Grandi manifestazioni si sono svolte in altre 50 città del Paese. Sia ad Istanbul che altrove la polizia ha risposto alle proteste di piazza con estrema violenza, lanciando gas lacrimogeni e usando i cannoni ad acqua contro i manifestanti, oltre che sparando spray al peperoncino e proiettili di gomma direttamente all’altezza del viso e del capo. Sia le immagini che i numeri forniti dagli organizzatori dimostrano l’ampia partecipazione della popolazione alle manifestazioni (si parla di centinaia di migliaia di persone, ma non ci sono cifre verificabili), in particolare di molti studenti, manifestazioni che secondo alcuni commentatori sono tra le più grandi tenutesi nel paese da più di dieci anni. Tra i manifestanti si possono apprezzare slogan come “I dittatori sono codardi!” e “l’AKP non ci silenzierà” (8).
In generale, le proteste sono fortemente sostenute dal CHP, il cui leader Özgür Özel ha definito l’arresto di İmamoğlu come un “golpe contro il nostro prossimo Presidente”, e si è rivolto ai manifestanti davanti al municipio invitandoli a non darsi per vinti. Secondo Özel gli arresti degli amministratori locali legati al CHP sono da intendersi come una vendetta di Erdoğan e dell’AKP per il pessimo risultato ottenuto dal movimento guidato dal Presidente alle elezioni amministrative svoltesi a marzo 2024, che avevano visto la vittoria dei candidati dell’opposizione nelle maggiori città del Paese e la rielezione di İmamoğlu a Istanbul, un risultato che è stato definito come la peggior sconfitta di Erdoğan in vent’anni(9).
Nonostante l’importante ruolo del CHP nel sostenere e organizzare le proteste, esse sono però spesso direttamente organizzate da gruppi di studenti ed attivisti non necessariamente legati al partito. L’arresto di İmamoğlu è solo l’ultimo dei numerosi soprusi messi in atto nei confronti della democrazia da Erdoğan, che negli ultimi anni (in particolare dal fallito golpe del 2016) ha sempre più accentrato il potere nelle sue mani, provocando scontento in diverse fasce della popolazione. Le proteste si concentrano infatti su temi ben più ampi, come sul futuro della democrazia in Turchia e sulla sopravvivenza dello stato di diritto, oltre che sul disastroso stato dell’economia. Sin dal 2018 la Turchia si trova in una forte crisi dovuta alla sempre crescente inflazione (che a febbraio si è attestata ad un tasso annuale del 39%), causa di disoccupazione, perdita di potere d’acquisto e di un generale impoverimento delle classi produttive del Paese. Di conseguenza, alle elezioni amministrative del 2024 i temi economici hanno dominato il dibattito elettorale andando a svantaggio di Erdoğan, sostenuto ora dal 43% della popolazione, mentre alle presidenziali del 2023 era riuscito ad ottenere il 52% dei voti (10).
Ad andare invece a vantaggio di Erdoğan è la situazione politica internazionale. Secondo diversi commentatori il Presidente si sentirebbe rassicurato dall’elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti e dal conseguente avvicinamento della nuova amministrazione a posizioni illiberali. Il governo americano ha infatti catalogato la questione İmamoğlu come puramente interna alla Turchia, una reazione simile a quella della Russia. Trump ha dimostrato di avere ottime relazioni con Erdoğan, e quest’ultimo ha anche beneficiato dell’aiuto di Elon Musk, dato che la piattaforma X ha eliminato diversi profili legati ad attivisti dell’opposizione su richiesta delle autorità turche, le quali hanno comunque fortemente limitato l’accesso a tutti i social durante le proteste. Mantenere relazioni amichevoli con Erdoğan sembra essere un punto fondamentale della politica estera americana, considerata anche la posizione strategica del Paese tra Europa e Medio Oriente, in particolare dopo i recenti sviluppi in Siria. La Turchia, che fa parte della NATO e ne costituisce il secondo esercito per grandezza, è inoltre cruciale nelle controverse trattative di pace in corso tra gli USA e la Russia per porre fine alla guerra in Ucraina. Anche l’UE si trova nella posizione di non poter essere troppo dura con la Turchia, che per la sua posizione geografica dovrebbe essere necessariamente inclusa in un eventuale nuovo framework di difesa europeo dopo l’annunciato disimpegno americano nel Vecchio Continente (11).
Erdoğan appare comunque piuttosto fragile all’interno, e come fatto notare da un parlamentare del CHP, se il governo fosse stato davvero forte non avrebbe avuto bisogno di arrestare İmamoğlu, che dal 23 marzo si trova in isolamento nel carcere di massima sicurezza di Silivri, dal quale comunica tramite note scritte. Nella stessa giornata del 23 marzo la corte ha momentaneamente messo da parte l’accusa più grave, quella per terrorismo, ma İmamoğlu è stato comunque dichiarato decaduto dalla carica di sindaco di Istanbul: il Consiglio Metropolitano di Istanbul ha tuttavia eletto un sindaco ad interim, evitando così il commissariamento e quindi il diretto controllo del governo sulla municipalità. Il leader dell’opposizione ha poi dichiarato la sua volontà di combattere e “non inchinarsi alla tirannia” ed ha espresso il suo supporto alle manifestazioni di piazza. İmamoğlu ha esortato i dimostranti a continuare a “usare il loro diritto costituzionale alla protesta democratica” e, mantenendo la sua linea politica basata sull’ottimismo, a far prevalere “l’amore e i sorrisi”. L’ex sindaco ha anche ringraziato i cittadini per la sua elezione a candidato del CHP alle prossime elezioni presidenziali nelle ormai simboliche primarie del Partito Repubblicano che si sono svolte sempre domenica 23. Al voto hanno partecipato, secondo il leader del partito Özel, più di 14 milioni di elettori, di cui solo un milione erano membri del CHP, un dato che dimostra la solidarietà di milioni di cittadini turchi alla causa dell’opposizione a Erdoğan, indipendentemente dalla loro appartenenza ai Repubblicani (12).
Il Presidente Erdoğan ha reagito alle proteste declassando a “teatrale” la reazione del CHP ai procedimenti contro İmamoğlu, accusando il partito di diffondere “terrore da strada” e dipingendo i manifestanti come “un movimento di violenza”, mentre il Ministro della Giustizia ha rigettato le accuse di politicizzazione del potere giudiziario. Diversi esperti, accademici e giornalisti hanno invece fatto notare il costante degrado che ha subito l’indipendenza della magistratura turca, sistematicamente minata dai numerosi interventi del governo mirati a portare il sistema giudiziario sotto il proprio controllo. Il governo ha anche direttamente attaccato organizzazioni legate al mondo della giustizia e della magistratura, come l’Ordine degli avvocati di Istanbul, il cui consiglio esecutivo è stato sciolto nella stessa settimana dell’arresto di İmamoğlu sempre con l’accusa di terrorismo (13).
Erdoğan e l’AKP hanno anche attaccato il nuovo metodo di protesta dell’opposizione, ovvero il boicottaggio delle aziende legate al Presidente ed al suo partito. L’elenco vede inseriti i nomi di numerose grandi aziende turche appartenenti a diversi settori (14), come media, automotive, telecomunicazione e altri servizi, spesso di proprietà del Gruppo Doğuş, legato all’AKP. Per esempio, ha destato scalpore l’inclusione della catena di caffetterie EspressoLab, a cui il governo è andato immediatamente in aiuto mandando agenti antisommossa a difendere i caffè. Il leader del CHP ha pubblicamente invitato i cittadini a sostenere il boicottaggio, ed il 2 aprile si è tenuta la prima giornata “no shopping”, che ha regalato immagini di una Istanbul deserta e di negozi vuoti o chiusi. Erdoğan ha accusato l’opposizione e il CHP di star sabotando l’economia turca, anche se stando ai dati sono state le non ortodosse politiche economiche del presidente ad affossarla. Anche dopo lo stesso arresto di İmamoğlu si sono avute gravi ripercussioni economiche: il 19 marzo la lira turca ha perso il 10% del suo valore rispetto al dollaro. I cittadini turchi, trovandosi in ristrettezze economiche a causa della situazione economica del Paese, sono dunque ancora più motivati a partecipare a boicottaggi ed iniziative simili. Questi eventi potrebbero infatti mettere in seria difficoltà il governo (che ha già fatto arrestare 11 persone accusate di incitare al boicottaggio sui social) poiché coinvolgono anche persone che normalmente sarebbero intimorite dalla partecipazione alle manifestazioni di piazza, viste anche le scene di violenza alle quali abbiamo assistito (15).
La Turchia si trova ora ad un bivio. Il ricorso da parte di Erdoğan a un metodo finora inedito per lui, ovvero il diretto arresto di un potenziale rivale alla sua carica, indirizza il Paese verso quell’autoritarismo che viene denunciato già da diversi anni. Molti parlano dunque del caso İmamoğlu come di un punto di non ritorno, la pietra tombale definitiva sulla democrazia e sullo stato diritto in Turchia. Tuttavia, l’eccezionale partecipazione alle proteste rivela qualcosa che spesso i media non fanno notare: ovvero l’enorme vivacità, passione e dedizione di ampi strati della società civile turca, che, lungi dall’accettare passivamente gli ormai del tutto espliciti piani illiberali dell’AKP, hanno reagito e continueranno a farlo nei prossimi mesi. Gli studenti, attivisti, lavoratori e cittadini si trovano a protestare non solo per la giustizia, la democrazia e lo stato di diritto, ma per il loro benessere e il loro futuro, messi a rischio anche dalla completa incompetenza economica del Presidente. Erdoğan, impoverendo la cittadinanza, ha solo alimentato il dissenso, facendo di fatto del suo Paese una polveriera. La miccia innescata dall’arresto del popolare sindaco di Istanbul rischia di diventare un processo difficile da controllare per il Sultano di Ankara: forse questo arresto potrebbe rivelarsi l’autogol definitivo di Erdoğan al proprio ventennale regime.
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