La guerra in Ucraina non è iniziata nel 2022. È cominciata nel 2014, con l’annessione illegale della Crimea da parte della Federazione Russa, un atto che ha violato apertamente il diritto internazionale (1). Eppure, per quasi un decennio, l’Occidente ha continuato a intrattenere rapporti culturali, economici e diplomatici con Mosca, alimentato da un’ambigua fascinazione per quella che molti chiamano "la grande cultura russa".
Questo mito è un’illusione accuratamente costruita: associamo automaticamente la Russia a una "grande cultura", "grande territorio", "grande denaro". Ma questa narrativa, amplificata dalla propaganda del Cremlino, ha offuscato crimini di guerra, repressioni e violazioni dei diritti umani non solo in Ucraina (2), ma anche in Cecenia (3), Georgia (4) e altrove.
Il Teatro alla Scala, diretto da Dominique Meyer, è uno degli esempi più evidenti di come l’Occidente abbia contribuito a legittimare questa narrazione. Sotto la guida di Meyer, il teatro ha accolto artisti russi noti per il loro sostegno al regime di Vladimir Putin. Tra questi spiccano nomi come Anna Netrebko, Dmitry Korchak e Ildar Abdrazakov, figure che non solo partecipano attivamente alla propaganda del Cremlino, ma rappresentano simbolicamente il potere autoritario russo.
Dominique Meyer ha spesso giustificato queste scelte sostenendo che "l’arte è fuori dalla politica". Ma questa posizione è una menzogna pericolosa. Quando Anna Netrebko si esibisce nei teatri occidentali e poi appare nei territori ucraini occupati dalla Federazione Russa, l’arte non è più neutrale. Quando Dmitry Korchak partecipa al Petrovsky Opera Ball a San Pietroburgo per raccogliere fondi destinati alla "culturalizzazione" delle "nuove regioni della Russia" – una terminologia che maschera l’occupazione illegale – l’arte diventa uno strumento di propaganda.
E la lista continua: Vasilisa Berzhanskaya, moglie di Mikhail Simonyan, stretto collaboratore di Putin, e molti altri artisti russi invitati alla Scala hanno legami diretti con il Cremlino. Non c’è un solo artista dissidente russo che abbia calcato il palco del teatro sotto la direzione di Meyer. Questo dato dovrebbe far riflettere: che tipo di cultura stiamo promuovendo quando invitiamo artisti che rappresentano e sostengono un regime autoritario?
La Federazione Russa non si limita a ridisegnare i confini con le armi; utilizza anche l’arte per legittimare queste azioni (5). Il Cremlino ha sempre considerato la cultura uno strumento per consolidare il potere, una realtà evidente sin dai tempi dell’Unione Sovietica. Tuttavia, oggi l’Occidente sembra esserne complice, ospitando artisti che non solo tacciono di fronte ai crimini di guerra, ma li legittimano attivamente.
Ma cosa significa oggi celebrare la "grande cultura russa"? Questa cultura, che il Cremlino utilizza per coprire le sue violenze (6) , ha senso solo nel contesto della propaganda. Perché gli ucraini combattono contro il Golia russo per proteggere una cultura che, dal punto di vista di un dittatore, non esiste? Per Vladimir Putin e i suoi alleati, la cultura è uno strumento di dominio, non un’espressione di identità o di libertà. Eppure, proprio questa cultura viene applaudita nei teatri occidentali, come se fosse separata dalle sue radici autoritarie.
Questo scenario diventa ancora più inquietante quando si considerano i finanziamenti pubblici. Il Teatro alla Scala riceve ogni anno milioni di euro dal governo italiano, con oltre 35 milioni di euro nel 2023, ne fanno il teatro più sussidiato d’Italia.
È etico utilizzare risorse pubbliche per promuovere artisti che rappresentano un regime che viola i diritti umani e la sovranità di altri stati?
Questi fondi, destinati a promuovere la cultura e i valori democratici, finiscono per sostenere una narrativa autoritaria. Non si tratta di scelte artistiche neutre, ma di decisioni politiche che vanno contro i principi fondamentali dell’Unione Europea.
L’Italia, come membro dell’Unione Europea, ha una responsabilità morale e politica. Continuare a ospitare artisti filo-Cremlino non è solo un errore di giudizio, ma un atto di complicità. Ogni spettacolo che include artisti come Anna Netrebko o Dmitry Korchak manda un messaggio: l’arte può essere utilizzata per coprire i crimini, e l’Occidente è disposto a chiudere gli occhi di fronte alla propaganda.
La narrazione che “l’arte è fuori dalla politica” non è solo ingenua, è un tradimento dei valori democratici. Il Teatro alla Scala, con Dominique Meyer al timone, dovrebbe riflettere su quale messaggio stia inviando al mondo. È tempo di scegliere: continuare a promuovere una cultura legata a un regime autoritario o sostenere voci dissidenti e valori di libertà.
Si dice che la cultura non abbia confini, e in un mondo ideale questo dovrebbe essere vero. L’arte dovrebbe unire, costruire ponti e superare barriere. Ma cosa succede quando i confini vengono ridisegnati con la forza, quando le armi distruggono vite, città e territori? In questi casi, l’arte non può rimanere neutrale. Diventa inevitabilmente uno strumento di propaganda, una giustificazione per il potere che utilizza la violenza per espandersi.
La Federazione Russa sta facendo esattamente questo: mentre le sue armi ridisegnano i confini dell’Ucraina con la forza, i suoi artisti nei teatri occidentali cercano di legittimare questa aggressione. Quando il Teatro alla Scala invita artisti legati al Cremlino, non sta promuovendo semplicemente la cultura. Sta offrendo una piattaforma a una narrativa che giustifica l’occupazione, la distruzione e il dominio.
Accettare questa narrativa significa accettare che la cultura possa essere usata per coprire i crimini. Significa chiudere gli occhi di fronte alla sofferenza e legittimare una cultura che non unisce, ma uccide. Forse è arrivato il momento di chiedersi: quale cultura vogliamo sostenere? Quella che protegge i valori democratici o quella che giustifica la violenza?
Se vogliamo che l’arte sia davvero senza confini, dobbiamo prima fermare chi cerca di ridisegnare quei confini con le armi, usando l’arte come strumento di propaganda. L’Occidente non può più permettersi di applaudire questa “grande cultura russa” senza riflettere su ciò che rappresenta. È tempo di smettere di legittimare l’autoritarismo sotto il velo della cultura e di scegliere con chiarezza da che parte stare.
Rifiutare la propaganda del Cremlino è un passo essenziale per difendere i valori democratici. Non farlo significa cedere al fascino di una “grande cultura” che, dietro il sipario, è solo un altro strumento di guerra.
Il 7 dicembre 2024, durante la Prima del Teatro alla Scala a Milano, si è svolto un sit-in organizzato dall’associazione «Ponte Atlantico» in sostegno al popolo ucraino e per contestare la soprano Anna Netrebko, protagonista nel ruolo di Donna Leonora nell’opera di Verdi.
Per il coordinatore Alessandro Litta Modignani, la cantante è «un’abile sostenitrice del regime di Putin, che non perde occasione per utilizzarla come strumento di propaganda politica, ai fini del suo disegno imperiale».
«Anna Netrebko è complice di Putin – ha aggiunto Davide Romano, direttore del Museo della Brigata Ebraica –, che ha mandato a morire centinaia di migliaia di russi in una guerra folle che ha coinvolto un Paese democratico come l’Ucraina»(7).
Al termine della rappresentazione, Netrebko ha ricevuto sia applausi che fischi. Il direttore artistico del Teatro alla Scala, Dominique Meyer, ha preso le difese dell’artista, definendo “ridicolo” fischiare Anna Netrebko solo perché russa, e invitando il pubblico a concentrarsi sull’apprezzamento del suo talento (8).
Peccato che, dopo anni di collaborazione con Netrebko, Meyer non abbia ancora compreso che le contestazioni non derivano dalla sua nazionalità, ma dal suo sostegno al regime di Putin, che la cantante considera l’unico leader possibile per il futuro della sua patria, la Federazione Russa. Quest’ultima, spesso chiamata semplicemente Russia, ha una lunga “tradizione” di regimi totalitari e dittature autoritarie che sfruttano la cultura per conquistare consenso e distruggere la democrazia europea dall’interno (9).
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