Nel cuore di Milano, il Teatro alla Scala è da sempre un simbolo di eccellenza culturale. Tuttavia, negli ultimi anni, e soprattutto dopo l’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Federazione Russa, la prestigiosa istituzione milanese si è trovata al centro di diverse controversie che toccano corde profonde della memoria storica europea.
Una di queste è legata alla rappresentazione dello spettacolo per bambini Il piccolo spazzacamino, incluso nel calendario 2024/2025 con la partecipazione del Coro di Voci Bianche del Teatro alla Scala.
La scenografia dello spettacolo include la mappa dell’Unione Sovietica, un elemento che ha suscitato indignazione tra le comunità baltiche e dell’Europa orientale.
Per molti spettatori, la presenza della mappa sovietica non è un semplice dettaglio scenografico. L’Unione Sovietica è stata responsabile di deportazioni di massa, repressioni e genocidi culturali che hanno colpito intere nazioni, spesso nascoste dietro le mura invisibili del vasto territorio noto come URSS
Lituani, Lettoni, Ucraini, Kazakhi, Georgiani, Estoni e molti altri popoli hanno pagato un prezzo altissimo per la loro indipendenza.
Vedere oggi un simbolo della loro prigionia e oppressione esposto in un teatro di prestigio come il Teatro alla Scala ha destato grande preoccupazione.
Due lettere aperte – una firmata dalla comunità lituana e l’altra da esponenti italiani e internazionali – sono state inviate alla direzione del Teatro (sia uscente che in arrivo), al direttore del Coro di Voci Bianche e alle istituzioni locali e regionali. Entrambe le lettere sollevano il problema della normalizzazione di un simbolo che rappresenta violenza e sofferenza per centinaia di milioni di persone.
La comunità lituana ha evidenziato come la mappa dell’URSS sia un simbolo di deportazioni forzate, esecuzioni e repressione brutale. Durante il periodo sovietico, migliaia di bambini furono strappati alle loro famiglie e deportati in Siberia, molti dei quali non fecero mai ritorno. Esibire oggi l'emblema della spietata dittatura bolscevico-sovietica senza un adeguato contesto equivale a ignorare il dolore di intere generazioni.
Dall’altra parte, la lettera della comunità italiana e internazionale richiama l’attenzione sulla continuità storica tra i crimini sovietici e le attuali azioni della Federazione Russa, come le deportazioni di bambini ucraini, già condannate dalla Corte Penale Internazionale. La presenza della mappa, dunque, non è solo una questione di memoria storica, ma anche di attualità politica.
Questa vicenda si inserisce in un dibattito più ampio a livello europeo. Il Parlamento Europeo ha approvato due risoluzioni fondamentali sulla memoria storica e sulla simbologia totalitaria, che rendono ancora più evidente quanto inopportuno sia esporre simboli dell’Unione Sovietica in contesti pubblici.
La prima risoluzione, approvata il 19 settembre 2019 , condanna sia il nazismo che il comunismo sovietico per i crimini commessi contro l’umanità e sottolinea la necessità di preservare una memoria storica condivisa, riconoscendo le sofferenze inflitte dai regimi totalitari del XX secolo.
La risoluzione evidenzia come entrambi abbiano lasciato una scia di distruzione e repressione che non può essere relativizzata o minimizzata.
Più recentemente, nel gennaio 2025, il Parlamento Europeo ha rafforzato questa posizione con una ulteriore risoluzione, chiedendo il divieto dell’uso di simboli nazisti e sovietici negli spazi pubblici all’interno dell’Unione Europea.
La risoluzione nasce dalla consapevolezza che, mentre in molti Paesi europei i simboli nazisti sono vietati e condannati senza ambiguità, la simbologia sovietica viene talvolta ancora banalizzata o perfino celebrata. L’obiettivo è quello di garantire un approccio coerente nella condanna di tutti i totalitarismi e delle ideologie che hanno portato alla repressione di milioni di persone.
Ci si chiede quindi perché il Teatro alla Scala, un’istituzione culturale di fama mondiale, abbia ritenuto appropriato inserire la mappa dell’URSS in uno spettacolo destinato ai più giovani, senza fornire alcuna spiegazione storica? In un periodo in cui l'Ucraina, paese libero che lotta per la sua indipendenza contro il totalitarismo del Cremlino che allarga i suoi confini, risvegliare le ombre del passato attraverso questo tipo di scelte non può essere trattato con superficialità.
L’arte non è mai neutrale e, soprattutto quando si tratta di spettacoli destinati al pubblico giovane, ha la responsabilità di trasmettere valori chiari che confermino le conquiste delle virtù europee dopo la Seconda Guerra Mondiale. La presenza della mappa sovietica senza alcun contesto storico rischia di trasformare un simbolo di oppressione e terrore in un semplice elemento scenografico, cancellando la memoria di milioni di vittime.
Di fronte alle proteste, la soluzione appare semplice e doverosa: rimuovere la mappa dell’URSS e sostituirla con una rappresentazione storicamente e moralmente più adeguata. Non si tratta di censura, ma di rispetto per la storia e per la sofferenza di chi ha subito le atrocità di quel regime.
Il Teatro alla Scala ha oggi l’opportunità di dimostrare che la cultura è uno strumento di consapevolezza e giustizia. Ignorare questa richiesta significherebbe legittimare, seppur involontariamente, una narrazione che minimizza o addirittura glorifica un passato fatto di violenza e oppressione.
Milano, nonché la sua istituzione culturale più prestigiosa e d’avanguardia, possono e devono fare la differenza: la rimozione di quella mappa sarebbe un gesto di rispetto e di responsabilità, un segnale forte che l’arte non può essere complice dell’oblio, ma deve essere veicolo di memoria e verità.
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