Inoltre, la professione del docente è resa poco attrattiva dal lungo percorso di reclutamento e dall’incertezza derivante da questa professione: si pensi che nell'anno scolastico 2021/22 i contratti a tempo determinato per i supplenti sono stati 225 mila contro i soli 73 mila a tempo determinato (sui 125 mila previsti) [4].
Per cercare di sopperire a questa situazione sono state messe in atto una serie di riforme del sistema di reclutamento e formazione dei docenti con l’obiettivo di “determinare un significativo miglioramento della qualità dei percorsi educativi” e “coprire con regolarità e stabilità le cattedre disponibili con insegnanti di ruolo” [5]. L’obiettivo è quello in particolare di reclutare 70 mila docenti attraverso il nuovo sistema entro il 2024.
Quando si parla di attrattività i salari sono un fattore cruciale. L’entità dei salari è da ricollegare al livello d’istruzione e agli anni di esperienza dei rispettivi docenti. Secondo il rapporto Education and Glance 2023 [2], prendendo in considerazione gli stipendi annuali statutari (cioè gli stipendi base senza considerare eventuali bonus o benefici aggiuntivi, standardizzati e stabiliti a livello nazionale e/o regionale secondo quanto stabilito dalle leggi o la presenza di CCNL) la media per gli insegnanti della scuola secondaria di secondo grado con la qualifica più comune e 15 anni di esperienza è di 53.456 dollari statunitensi. In Italia, lo stipendio medio di un insegnante con le medesime caratteristiche ed aggiustato in base al potere d’acquisto è di 44.235 dollari statunitensi, cioè 32.588 euro.
Questo significa che a parità di esperienza e competenze acquisite un insegnante italiano guadagna meno rispetto alla media OCSE [6].
Questa disparità salariale evidenzia una delle principali sfide per l'attrattività della professione in Italia. Gli stipendi più bassi rispetto alla media OCSE possono rendere meno appetibile la carriera di insegnante, rendendo più difficile attrarre e mantenere nuovi individui all’interno del sistema educativo italiano. Questo può avere implicazioni negative sia sulla qualità dell'istruzione che sulla capacità di rispondere alla domanda di insegnanti qualificati.
I salari però non sono l’unico aspetto da tenere sott’occhio. Altri elementi da tenere in considerazione - come sottolineato nello stesso report - sono il tempo di insegnamento annuale richiesto, le ore di istruzione obbligatoria previste per gli studenti e la dimensione delle classi: tutti fattori che incidono sulla spesa totale degli stipendi e che permettono di stimare il costo medio degli stipendi per studente e valutare l’impatto di ciascun fattore. Questi permetterebbero di capire, nel concreto, l’incidenza qualitativa dell’entità dello stipendio, o in altre parole, ci permetterebbero di valutare quanto questi fattori contribuiscono complessivamente agli stipendi degli insegnanti e quanto del gap salariale vada ricondotto o meno alle differenze di istruzione. Ribadiamo però che l’intento di questa analisi è meramente quantitativo (e non qualitativo)e che l’obiettivo è constatare quanto si investe e ci si interessi realmente alla tematica, nonché quanto viene assegnato in termini di spesa all’istruzione. Ma, altrettanto importante è anche constatare come e dove le risorse sono allocate in modo da rendere funzionale l’investimento e affrontare quindi un analisi tipo qualitativo. L’analisi portata avanti qui vuole quindi essere un mero trampolino di lancio per qualcosa di più approfondito. Più semplicemente un modo per sollevare interrogativi.
Sebbene qui non si affronti il tema della qualità della spesa, è fondamentale considerare anche come e dove queste risorse vengono allocate, affinché l'investimento sia davvero efficace. In futuro, sarà necessario approfondire questi aspetti per comprendere se le risorse vengano utilizzate in modo funzionale e quali settori abbiano bisogno di interventi prioritari per risolvere le problematiche emerse. Questa analisi, quindi, vuole essere solo un punto di partenza, un modo per sollevare interrogativi e stimolare riflessioni più approfondite.
Gli studenti: NEET e ELET
L’ultimo aspetto che è importante approfondire è l’entità di NEET e ELET in Italia. NEET è un acronimo che sta per “Young People Neither in Employment nor in Education or Training” e che si riferisce ai giovani adulti con un'età compresa tra i 15-29 anni che non sono coinvolti in nessun percorso educativo o professionale. È un’etichetta utilizzata per captare quei soggetti che risultano inattivi e che quando si parla di scuola ed istruzione vengono correlati ad un contesto di abbandono scolastico esplicito, i cosiddetti ELET (“Early Leaver from Education and Training”), nonché la quota di giovani con un'età compresa tra 18-24 anni che non hanno conseguito né titoli di studio superiori né qualifiche professionali biennali o oltre.
Insomma due cluster sociali in particolare su cui il nostro sistema dovrebbe investire. Questi numeri sono importanti perché possono rappresentare un riflesso della scarsa rilevanza concessa all’istruzione e ai problemi in prospettiva ad essa collegati. Nel concreto ci aiutano a capire quanto l’istruzione in italia sia adeguatamente strutturata alla preparazione dei giovani e qualora siano presenti politiche efficaci per migliorare l’inclusione sociale e l’occupabilità di questi.