Identità e consumo: siamo ciò che consumiamo?

In un'epoca in cui l’identità personale è sempre più fluida e influenzata da ciò che consumiamo, dallo scrolling infinito sui social al binge-watching compulsivo, il nostro tempo libero è dominato da un’incessante offerta di intrattenimento che, se da un lato offre evasione, dall’altro rischia di alimentare ansia e incertezza. Come ci insegna Zygmunt Bauman con la sua modernità liquida, senza punti di riferimento stabili siamo costretti a costruire il nostro percorso, spesso affidandoci a esperienze preconfezionate che plasmano la nostra percezione del mondo e di noi stessi. Ma quanto di ciò che consumiamo ci definisce davvero? E soprattutto, come possiamo evitare che siano i contenuti a possederci, invece del contrario?

Foto: FreePik

Le cose che possiedi alla fine ti possiedono”, così Tyler Durden, protagonista del famoso film Fight Club, mette in guardia lo spettatore dalle insidie del consumismo. La frase, per quanto discutibile, evidenzia un fatto innegabile ovvero che la nostra identità è influenzata da ciò che consumiamo e possediamo. L’identità è un processo in continua evoluzione, sospeso tra la percezione soggettiva e la condivisione collettiva. Questa dinamica, complessa e in costante tensione tra elementi interni ed esterni, è oggi più rilevante che mai.

Il sociologo Zygmunt Bauman, nella sua riflessione sull’identità e società, ha coniato il concetto di modernità liquida per far emergere alcune delle peculiarità delle società occidentali moderne rispetto a quelle passate. Bauman sostiene che le nostre società a partire dagli anni 80’ abbiano avviato un processo, tuttora in corso, di liquefazione dei valori che ha reso difficile per l’individuo moderno trovare punti di riferimento duraturi sia a livello culturale che personale. Le relazioni, le carriere lavorative e i valori morali possono mutare facilmente e velocemente. I punti di riferimento istituzionalizzati, che costituivano i percorsi di vita della maggioranza della popolazione, hanno perso progressivamente la loro funzione. Passaggi chiave nella vita di una persona come l’indipendenza economica, una relazione stabile, una casa di proprietà e l’avere figli non sono più percepiti come traguardi obbligatori. Al tramontare di questi valori, che erano alla base della costruzione di una identità soggettivamente e socialmente condivisa, e all’acquisizione di una maggiore libertà individuale, si è registrato un importante effetto collaterale: l'aumento del senso d’incertezza esistenziale. Senza un modello da seguire ci si deve creare una strada con le proprie forze quindi ogni scelta implica un significativo carico di responsabilità personale, terreno fertile per ansia e senso di precarietà. L’individuo moderno, libero ma incerto, ha trovato rifugio in un modello d’identità basato su criteri performativi in cui ogni individuo ha la possibilità di crearsi una propria narrazione personale, perennemente in corso d’opera, costantemente aggiornata ed esposta al pubblico. 

Seguendo questa logica, il mercato dei divertissement (svago e divertimento) di cui fanno parte ogni forma d’intrattenimento dalle droghe ai social, è stato fondamentale per l'affermazione e la diffusione di questo modello. L’intrattenimento e il divertimento servono principalmente per distrarre l’individuo, provocando un temporaneo senso di appagamento e piacere. Questo meccanismo si è dimostrato particolarmente efficace per alleviare le ansie e le incertezze dell’individuo moderno. Sul breve periodo ogni forma d’intrattenimento colma quel senso di precarietà, tuttavia nel lungo periodo ha dimostrato di alimentarlo poiché non risolve alla radice il problema. I social sono l’esempio più evidente di questa dinamica: offrono uno spazio in cui le persone sperimentano versioni diverse di sé, costruendo narrazioni idealizzate. Il problema è che, invece di rafforzare l’identità, questo meccanismo porta a un confronto costante con le immagini stereotipate degli altri, generando insicurezza e alienazione. Una tecnologia che promuove queste dinamiche performative complica la percezione del sé reale mettendolo a confronto con il sé (e con altre persone) online idealizzato, evidenziando così una scissione difficilmente colmabile fra le due identità. Jonathan Haidt in La generazione ansiosa dimostra l’influenza che i social hanno sulla salute mentale delle persone, specialmente sulla generazione Z (i nati dal ‘97 al 2012). L'autore attraverso i dati evidenzia come i casi di depressione, in questa fascia di popolazione degli Stati Uniti, dal 2010 ad oggi siano aumentati del 145 per cento nelle femmine e del 161 per cento nei maschi e medesime tendenze si registrano negli altri paesi occidentali. Haidt adduce questo aumento principalmente all’uso dei social e altre forme d'intrattenimento durante l’infanzia e l’adolescenza. Questa tipologia di prodotti è  così efficace perché fornisce esperienze preconfezionate, permettendo alle persone di esplorare sé stesse in totale comodità. Le esperienze vissute direttamente, fondamentali per la costruzione della propria identità, sono sempre più spesso sostituite dalle loro versioni mediate specialmente da social, TV o videogiochi. Guardare una semplice partita di calcio in TV o attraverso un videogioco è diventata la prima forma d’esperienza di una persona, sostituendo quella vissuta realmente alla stadio. 

L’importanza di queste tecnologie, e di ciò che veicolano, è fondamentale nel processo di crescita personale perché riescono ad inserirsi efficacemente nei processi di socializzazione e di conoscenza della realtà. Ciò che ci intrattiene occupa il nostro tempo libero, influisce sulla nostra identità e sul nostro stile di vita: lo scrolling infinito sui social, il binge watching e il generale sovraccarico di stimoli digitali in cui siamo immersi, più o meno consapevolmente, hanno effetti evidenti sulla salute. Il calo della soglia d’attenzione degli ultimi decenni oppure il più recente fenomeno del brain rot, ovvero il deterioramento mentale dovuto all'eccessiva esposizione a contenuti multimediali superficiali e privi di senso, sono indicatori dell’influenza e dell’importanza che queste tecnologie hanno nella nostra vita.
 

Possibili soluzioni?

I divertissement sono subdoli: conquistano attraverso la comodità, la facilità d’utilizzo e il piacere temporaneo. Spesso si finisce conquistati senza neanche essersene accorti e si passa la maggior parte del proprio tempo libero guardando contenuti di cui pochi minuti dopo ci si scorda. Fornire indicazioni per evitare derive di questo tipo è complicato ma spesso si offrono due soluzioni opposte: una che predica il distacco da tutto e l’altra che sostiene che non vi sia scampo poiché ormai completamente immersi in un ambiente digitale. Attraverso queste semplificazioni si perde di vista il vero obiettivo, cioè  ricalibrare il consumo a favore di prodotti più complessi, meno usa e getta. Un primo passo è rendersi consapevoli dell’importanza di ciò di cui usufruiamo e crearsi di conseguenza una propria dieta mentale, per evitare che ciò che consumiamo finisca per consumarci. Ricercare prodotti più significativi e darci contemporaneamente il tempo necessario per elaborarli o approfondirli, evitando una fruizione completamente passiva, è un esercizio che va applicato quotidianamente. Trovare prodotti culturali che lasciano spazio all’interpretazione è sempre più raro poiché la tendenza è quella di fornire prodotti facilmente consumabili, dove ogni dettaglio è chiarito e ogni possibile dubbio deve venir corretto e colmato. Un esempio di prodotti facilmente digeribili è rappresentato dalla Marvel Cinematic Universe, che nei suoi film o serie tv non lascia spazio ad interpretazioni, tutto viene esplicitato allo spettatore. Al contrario film come Il ragazzo e l’airone di Hayao Miyazaki sono prodotti fortemente evocativi che impegnano lo spettatore e pretendono da lui uno sforzo interpretativo, non basta un'unica  visione per poterne apprezzare appieno la complessità. La dieta mentale metaforica non deve essere stringente, qualche 'sgarro’ è normale, come in tutte le diete, ed eliminare completamente i contenuti leggeri o senza senso non è la soluzione, cercare invece di ridimensionarne il consumo può essere una linea guida utile e perseguibile nel lungo periodo. Trovare un equilibrio è una sfida individuale, senza soluzioni univoche. Tuttavia, se non impariamo a selezionare ciò che consumiamo, rischiamo di diventare spettatori passivi della nostra stessa identità.

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