Sulle prospettive e sulle insidie che dovrà affrontare il nascente governo Draghi mi sono espresso qui, si è espresso Michele e si è espresso Massimo. Tutti e 3 concordiamo sul fatto che questa sia una straordinaria occasione per l'Italia per intraprendere un cammino di sviluppo e crescita; tutti e 3 concordiamo sul fatto che non basteranno le qualità pur grandi del premier designato se anche la politica non prenderà atto che salvarsi sul filo di lana dopo 40 anni di politiche sciagurate e spendaccione non preserverà il Paese da un futuro incerto.
Durante questo periodo sono ben 4 le volte in cui il Paese è stato sull'orlo del baratro:
Nel 1992, dopo un decennio di spesa incontrollata, quando gli attacchi alla lira e un bilancio pubblico fuori controllo costrinsero prima Amato e poi Ciampi ad un violento consolidamento fiscale e all'utilizzo delle riserve della Banca d'Italia; nel 1996 quando si comprese che solo agganciandoci all'Euro i conti potessero essere messi in sicurezza; nel 2009, quando all'indomani della crisi finanziaria con una sciagurata noncuranza gettammo le basi per essere travolti dalla crisi dei debiti sovrani che porto a Palazzo Chigi Mario Monti col compito di tranquillizzare i mercati e recuperare credibilitĂ .
In tutte queste crisi protagonista fuori dalla luce dei riflettori fu Mario Draghi, prima come direttore generale del Ministero del Tesoro dove portò uno staff dalle competenze straordinarie, poi come governatore della Banca d'Italia dove vigilò su un sistema bancario messo a rischio dalla crisi mondiale, infine come presidente della BCE e la difesa con ogni mezzo, anche teorico e mai attivato (OMT), della valuta comunitaria e quindi dei conti dei Paesi eurodeboli.
Oggi Draghi è chiamato direttamente a risolvere il problema forse più difficile: confrontarsi con partiti che non hanno la percezione del pericolo e che ne sono stati la causa.
Lo deve fare tra le insidie degli appetiti partitici in cerca di ministeri, visibilità e consenso ma lo deve fare anche con la circostanza straordinaria di una mole di spesa pubblica possibile che non si è mai vista prima.
Su queste pagine avevamo tracciato 2 possibili sentieri: quello minimale fatto da 3 semplici cose urgenti (piano vaccinale, PNRR e Legge di Bilancio 2022) e quello desiderabile fatto da un cammino di riforme profonde dei mali strutturali della nostra societĂ .
C'è però una coincidenza (chiamiamola pure fortuna) che potrebbe fondere lo scenario 1 con lo scenario 2. Ovvero che il Piano di Riforme e Resilienza da presentare alla Commissione Europea deve contenere buona parte di quelle riforme che vorremmo fossero avviate nello scenario più desiderabile.
Il Next Generatio EU prende forma a partire dalle Country Specific Recommendations 2019 e 2020 che la Commissione ha inviato all'Italia.
Al punto 1 di quelle 2020 leggiamo "quando le condizioni economiche lo consentano, perseguire politiche di bilancio volte a conseguire posizioni di bilancio a medio termine prudenti e ad assicurare la sostenibilitĂ del debito, incrementando nel contempo gli investimenti".
Nelle Raccomandazioni finali del 2011 che in questi giorni abbiamo più volte ricordato, l'allora Governatore Draghi scriveva "Un semplice esercizio contabile mostra che, se le regole fissate dal Patto di stabilità e crescita fossero state sempre rispettate, alla vigilia della crisi l’incidenza del debito pubblico sul PIL sarebbe stata inferiore di oltre 10 punti nell’area dell’euro".
E ancora "Senza sacrificare la spesa in conto capitale oltre quanto già previsto nello scenario tendenziale e senza aumentare le entrate, la spesa primaria corrente dovrà però ancora contrarsi, di oltre il 5 per cento in termini reali nel triennio 2012-14, tornando, in rapporto al PIL, sul livello dell’inizio dello scorso decennio"
Rispetto quindi del Patto di stabilità e Crescita teso a contenere gli squilibri macroeconomici. Non una dichiarazione d'amore per l'Austerity, ma un richiamo al rispetto degli accordi sulla disciplina della spesa che si può declinare anche nella formula "debito buono vs. debito cattivo", oppure "più investimenti, meno spesa corrente".
Al punto 4 delle Raccomandazioni si legge "migliorare l'efficienza del sistema giudiziario e il funzionamento della pubblica amministrazione".
Draghi scriveva sempre nel 2011 "Va affrontato alla radice il problema di efficienza della giustizia civile: la durata stimata dei processi ordinari in primo grado supera i 1.000 giorni e
colloca l’Italia al 157esimo posto su 183 paesi nelle graduatorie stilate dalla Banca Mondiale; l’incertezza che ne deriva è un fattore potente di attrito nel funzionamento dell’economia, oltre che di ingiustizia. Nostre stime indicano che la perdita annua di prodotto attribuibile ai difetti della nostra giustizia civile potrebbe giungere a un punto percentuale."
Altre coincidenze fra linee guida del NGEU e Considerazioni finali le troviamo a proposito di inclusione delle donne nel mondo del lavoro: "La scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro è un fattore cruciale di debolezza del sistema". Sulle infrastrutture: "L’Italia è indietro nella dotazione di infrastrutture rispetto agli altri principali paesi europei, pur con una spesa pubblica che dagli anni Ottanta al 2008 è stata maggiore in rapporto al PIL".
Analoghe considerazioni si possono trovare sull'eficienza del sistema fiscale, sull'uso degli ammortizzatori sociali e sulla formazione scolastica.
In altre parole il programma del Governo Draghi c'è, è chiaro e coerente; inoltre è tutto orientato alla crescita dell'economia e non all'ultilizzo distorto delle risorse pubbliche.
Mario Draghi chiudeva quelle Considerazioni con queste frasi che ora sembarno profetiche e quanto mai attuali:
Quale paese lasceremo ai nostri figli? Tante volte abbiamo indicato obiettivi, linee di azione, aree di intervento. A distanza di cinque anni, quando si guarda a quanto poco di tutto ciò si sia tradotto in realtà , viene in mente l’inutilità delle prediche di un mio ben più illustre predecessore.
Perché la politica, che sola ha il potere di tradurre le analisi in leggi, non fa propria la frase di Cavour “…le riforme compiute a tempo, invece di indebolire
l’autorità , la rafforzano”?
Rileggendole si rafforza il timore che una volta passata la fase emergenziale la politica, che ora dichiara il proprio appoggio alla nascita del governo smentendo sé stessa, dimentichi quelle parole e sprechi questo lascito.
Ragion per cui, senza volermi in alcun modo accostare a Draghi, rilancio io una domanda: per quando il suo mandato sarĂ concluso esisterĂ una forza politica disposta a seguirne il programma e ad attuarlo senza sbandamenti?