Per coloro che si attendevano un governo fantastico, con ministri che spaziavano da Ironman a san Michele Arcangelo, con tanto di spada fiammeggiante, è comprensibile il senso di delusione nel ritrovare vecchie conoscenze come Di Maio e Brunetta.
Cominciamo da un profilo troppo spesso trascurato,nel nostro ordinamento costituzionale, il premier incaricato di formare un nuovo governo, non dispone di “pieni poteri dittatoriali” e, men che meno di ampia discrezionalità. Se desidera che il nuovo governo sopravviva e sia capace di realizzare un qualche programma, deve necessariamente scegliere una squadra di ministri, che possa ottenere la fiducia della maggioranza del parlamento.
Qui evidentemente casca l’asino: non esiste Re Mida tecnico, che possa dare vita a un governo d’oro, se il parlamento è ancora composto di metalli vili. Dunque, il senso di delusione e tradimento nel vedere un elenco di ministri, che non corrisponde ai nostri più alti desideri, dovrebbe in realtà tradursi nella amara constatazione che, nessuno può salvarci da noi stessi e che, senza una radicale trasformazione di tutta la classe politica, non è possibile cambiare il corso su cui è avviato questo paese.
C’è da dire che il bilanciamento scelto tra ministri tecnici e politici, potrebbe rispondere ad una strategia di ampio respiro. Un governo troppo tecnico, mal tollerato dai partiti, che dall’esterno elargiscono la fiducia come un’elemosina, si presta a fare il “lavoro sporco”, per i politici opportunisti, che non volendo pagare il costo immediato di consenso delle scelte impopolari, aspettano defilati per poi raccogliere i frutti del lavoro altrui.
Per farla breve, si può dire che, troppi tecnici al lavoro avrebbero incontrato rilevanti ostacoli politici, nel realizzare il difficile programma che l’ex banchiere centrale si trova davanti.
Per contro, una rilevante presenza di ministri politici, può essere utile nel rendere accettabile il lavoro svolto dai tecnici. Lo stesso compromesso, su un tema spinoso come quello del divieto di licenziamento, potrebbe incontrare una reazione ben diversa tra gli elettori se presentato da un “tecnico senza cuore” piuttosto che da un politico, che si faccia garante del fatto, che non esistevano alternative migliori.
Se in ottica di concretezza e opportunità politica, il governo Draghi appare meno deludente in ternimi assoluti, si può dire senza difficoltà che sia decisamente migliore del precedente, poiché anche i componenti che convincono di meno, sono decisamente migliori (o non peggiori in caso di conferma) rispetto a quelli che li hanno preceduti.
Dunque, la delusione non dovrebbe derivare dal governo in sé, ma dalla constatazione di quanto scarsa sia la materia a disposizione del presidente del consiglio. Se non è possibile trasformare il piombo in oro, è di sicuro auspicabile cercare di gestire nel miglior modo possibile gli asset a disposizione.
La sfida davanti a Draghi può essere rappresentata come una complicata ottimizzazione di portafoglio soggetta vincoli molto stringenti e con obiettivi decisamente ambiziosi, per il momento l’ex Banchiere Centrale si dimostra un manager di portafoglio decisamente promettente e sembra possa riservarci più di qualche sorpresa positiva.