Da quasi due anni ormai, e con periodica insistenza, riemerge nel dibattito pubblico l’idea che un negoziato fra Russia e Ucraina, nella primavera del 2022, avrebbe potuto mettere fine al conflitto in corso.
Secondo questa tesi, durante una serie di incontri in Turchia nell’aprile del 2022, le due nazioni sarebbero state pronte a concludere un accordo che avrebbe messo fine alle ostilità soddisfacendo alcune delle richieste russe e ottenendo per l’Ucraina condizioni più favorevoli di quanto potrebbe verosimilmente ottenere ora o in futuro. Tuttavia, questo accordo sarebbe fallito a causa di un rifiuto ucraino sotto pressione occidentale.
La narrazione della ‘pace sabotata’ è stata promossa dai media di regime russi e dal Cremlino stesso nel tentativo di imputare la responsabilità della guerra all’Ucraina ed ai suoi alleati. Il fallimento dell’accordo è a volte attribuito all’intransigenza ucraina, altre alle pressioni occidentali, in particolare degli ‘anglosassoni’ (Regno Unito e Stati Uniti), per usare il gergo del Cremlino. Queste due tesi, sebbene contradditorie, soddisfano in realtà la necessità di puntellare due diverse correnti nella campagna di disinformazione russa: quella che vuole l’Ucraina come responsabile del conflitto e quella che la dipinge invece come ostaggio e vittima di una ‘guerra per procura’ occidentale contro la Russia.
In questo articolo mostreremo come, sulla base delle informazioni fino ad oggi disponibili, questa tesi in tutti i suoi aspetti risulti infondata dal momento che:
Il primo incontro[1] fra le due delegazioni, russa e ucraina, si tiene il 28 febbraio a Liaskavichi[2] , in Bielorussia, a circa 50 km dal confine ucraino. Nonostante nei mesi successivi sia emerso come a questo punto il piano russo di prendere Kyiv attraverso l’aeroporto di Hostomel fosse già fallito[3], le forze russe si trovavano ancora alle porte di Kyiv, mentre Chernihiv[4], Sumy[5], e Kharkiv[6]erano sotto attacco.
Trasportati da Black Hawks polacchi[7], i membri della delegazione ucraina giungono in Bielorussia per incontrare le controparti russe.
Delegazione ucraina | Delegazione russa |
---|---|
Oleksii Reznikov (Ministro della Difesa) Davyd Arakhamia (Capogruppo della maggioranza parlamentare) Mykhailo Podolyak (Consigliere dell’Ufficio del Presidente) Rustem Umerov (Parlamentare dell’opposizione e rappresentante della minoranza Tatara di Crimea, oggi Ministro della difesa) Mykola Tochytsky (Viceministro degli Esteri) Andriy Kostin (Parlamentare, già negoziatore durante gli accordi di Minsk del 2014-2015) | Vladimir Medinsky (Consigliere dell’Ufficio del Presidente) Col. Generale Alexander Fomin (Viceministro della Difesa) Leonid Slutsky (Presidente della Commissione Parlamentare per gli Affari Internazionali) Boris Gryzlov (Ambasciatore della FederazioneRussa in Bielorussia) |
Se da un lato le intenzioni pubblicamente dichiarate[8] da parte ucraina sono di negoziare la sospensione delle ostilità, la posizione della delegazione russa si rivela invece pari ad un ultimatum. Come rivelato da Yaroslav Trofimov in Our Enemies will Vanish[9] le condizioni russe includevano, tra gli altri, i seguenti punti:
Queste condizioni, cha avrebbero segnato la fine dell’Ucraina come stato indipendente, erano chiaramente irricevibili. A detta di Podolyak, Fomin avrebbe anche esplicitamente minacciato la delegazione ucraina e le loro famiglie dicendo che, se non avessero accettato le condizioni, la Russia avrebbe continuato a ‘ucciderli e massacrarli’.
Li ascoltammo e ci rendemmo conto che non erano venuti per una trattativa, ma per una resa. Non avevano idea del paese che avevano invaso né delle nostre risorse.
- Mykhailo Podolyak (da Our Enemies will Vanish di Yaroslav Trofimov)
Nonostante le posizioni inconciliabili, le parti si accordano di riferire alle rispettive leadership politiche e di incontrarsi nuovamente in Bielorussia, a Kamyanyuki, il 3 ed il 7 marzo. [10]
Quando sentono la parola ‘neutralità’ molte persone pensano: ‘Cosa c’è di male? Putin semplicemente non vuole che l’Ucraina entri nella NATO.’ Mentre lui [Putin] parla di qualcosa di più radicale: non di neutralità, bensì di neutralizzazione dell’Ucraina come paese indipendente. Lo scopo di Putin fin dall’inizio era la distruzione della capacità ucraina di difendersi.
- Eric Ciaramella (Carnegie Endowment for International Peace)[11][12]
La prima bozza scritta di cui si sia a conoscenza, pubblicata[13] nell’originale da Systema, l’unità investigativa russa di Radio Free Europe, e ripresa da Meduza[14], risale appunto all’incontro del 7 marzo. Questo documento dal titolo Trattato sulla risoluzione della situazione in Ucraina e sulla Neutralità Ucraina, presentato dalla delegazione russa, metteva per iscritto i termini del Cremlino:
In cambio di queste concessioni la Russia si sarebbe impegnata a non interferire negli affari interni ucraini e a non minacciare l’uso della forza nei suoi confronti. Appare evidente come, nonostante un miglioramento rispetto all’ultimatum di una settimana prima, queste condizioni costituissero comunque una completa capitolazione. L’Ucraina si sarebbe infatti ritrovata a cedere tre regioni, pari al 15% del proprio territorio, con truppe russe presenti su un altro 10%, incapace di difendersi, e senza nessuna garanzia di sicurezza per il futuro.
Se un paese enorme e apparentemente invincibile ti invade, tu provi a fermarlo in tutti i modi possibili e accetti anche di negoziare. Ma questi non erano veri negoziati. Non avevamo alcuna illusione sulle intenzioni russe. Dal primo giorno fino a Istanbul, ci era chiaro che la Federazione Russa non agiva in buona fede.
- Dmitro Kuleba (da Our Enemies will Vanish di Yaroslav Trofimov)
Il 10 marzo, ad Antalya, su mediazione turca, si tiene il primo incontro fra i ministri degli esteri di Federazione Russa e Ucraina, Sergei Lavrov e Dmitro Kuleba[31]. Nelle sue dichiarazioni[32] Kuleba afferma di avere come priorità di ottenere un cessate il fuoco di 24 ore per consentire l’evacuazione dei civili da Mariupol. L’incontro, che dura meno di due ore, non ottiene però alcun risultato.[33]
Nelle rispettive conferenze stampa, entrambi i ministri confermano di non aver raggiunto un accordo. In conversazioni successive, Kuleba avrebbe dichiarato di essere rimasto stupito dal fatto che Lavrov non sembrasse avere il mandato per negoziare un cessate il fuoco[34]. Al contrario, Lavrov nella sua conferenza stampa coglie l’occasione dare adito alla teoria del complotto sulla presenza di laboratori biologici statunitensi in Ucraina[35] e per sostenere[36], senza alcun fondamento, che l’ospedale pediatrico di Mariupol no. 3 bombardato dalle forze russe il 9 marzo, fosse invece una base militare usata dal battaglione Azov.[37][38]
Il 14 marzo ha inizio un nuovo round di negoziazioni, questa volta in videoconferenza[39]. Nei giorni seguenti il capo della delegazione ucraina, Mykhailo Podalyak, rende nota l’esistenza di piano basato su quindici punti e il Presidente Zelenskyy dichiara che le conversazioni con i russi avrebbero cominciato ad assumere ‘toni più realistici’[40][41]. Tali negoziazioni portano ad una bozza di accordo datata 17 marzo 2022 dal titolo provvisorio Treaty on Security Guarantees for Ukraine,pubblicata per intero dal New York Times il 15 giugno 2024[42][43]. Questa bozza, strutturata su quindici articoli, affronta le questioni principali al centro delle negoziazioni e ci consente anche di leggere le rispettive note e commenti delle due delegazioni, per capire dove le posizioni differissero.
Prima di entrare nel dettaglio dei punti previsti dalla bozza è bene capirne quale ne fosse l’idea di fondo. La formula proposta nella bozza prevedeva il ritiro russo dal territorio ucraino occupato dal 24 febbraio 2022 in cambio della decisione da parte ucraina di adottare la neutralità e rinunciare esplicitamente all’ingresso nella NATO, ma non nell’Unione Europea, per ottenere ‘garanzie di sicurezza’ da parte di paesi terzi (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Cina, e Federazione Russa). L’Ucraina inoltre avrebbe mantenuto le proprie forze armate, in quantità e dimensioni oggetto di negoziazione, ma si sarebbe impegnata a non ospitare basi straniere sul proprio territorio.
5.1 Quali garanzie?
Ancor prima di discutere il dettaglio dei quindici punti, la questione più difficile da dirimere anche solo a livello teorico è quella delle ‘garanzie’ da parte di paesi terzi. Questo tipo di accordi multilaterali in genere prevede che due fazioni fra loro contrapposte si impegnino a garantire la sicurezza di un paese terzo, come l’Ucraina, a condizione che questo non sia allineato né con l’una né con l’altra. L’Ucraina aveva già sperimentato sulla propria pelle la scarsa efficacia di un accordo multilaterale nel Memorandum di Budapest[44][45] del 1994, con cui aveva rinunciato al proprio arsenale nucleare in cambio della promessa, non garanzia si noti, da parte di Stati Uniti, Regno Unito, e Federazione Russa, di non attaccarla e di rispettarne l’indipendenza e integrità territoriale. È importante sottolineare tuttavia che il memorandum di Budapest non prevedeva l’obbligo per le parti garanti di intervenire militarmente in difesa dell’Ucraina in caso essa si trovasse sotto attacco, ma solamente quello di convocare il Consiglio di Sicurezza dell’ONU per fornirle assistenza.
La leadership ucraina era senz’altro consapevole della criticità di questo aspetto al punto che Zelenskyy stesso, il 14 marzo 2022, sul proprio canale Telegram, aveva ribadito l’importanza di ottenere ‘vere garanzie di sicurezza’ facendo esplicito riferimento all’inefficacia delle promesse del Memorandum di Budapest.[46]
Cerchiamo garanzie di sicurezza assolute che richiedano che in caso di un attacco contro l’Ucraina i firmatari non rimangano a guardare, come sta accadendo adesso, ma prendano un ruolo attivo in difesa dell’Ucraina in caso di conflitto.
- Mykhailo Podolyak[47]
L’allora Primo Ministro israeliano Naftali Bennett, che all’epoca aveva preso un ruolo attivo nel mediare direttamente con Putin, in una lunga intervista[48] con Hanoch Daum racconta di aver personalmente messo in guardia Zelenskyy nei confronti di questo tipo di garanzie.
È come la barzelletta del tizio che prova a vendere il ponte di Brooklyn a un passante. In pratica, gli Stati Uniti si impegnerebbero a che se fra qualche anno la Russia violasse gli accordi, loro manderebbero truppe americane in Ucraina? Dopo il ritiro dall’Afghanistan? Volodymyr, non succederà mai!
Naftali Bennett
La logica in effetti sembrerebbe dare ragione allo scetticismo di Bennet. Se gli alleati NATO non erano stati disposti a dare questo tipo di garanzie all’Ucraina prima del 24 febbraio 2022, perché mai lo avrebbero fatto a seguito dell’invasione? Una possibile soluzione proposta da parte ucraina era quella di rendere la Russia stessa uno dei garanti dell’accordo. In questo modo, il Cremlino si sarebbe impegnato ad acconsentire a che, in caso di un proprio attacco contro l’Ucraina, gli altri stati garanti sarebbero stati obbligati ad intervenire. Tuttavia, anche se il Cremlino fosse stato disposto ad accettare questo tipo di formula, gli alleati occidentali sarebbero stati comprensibilmente scettici di un accordo che si basasse sul rispetto dei patti da parte russa. Un punto fisso frequentemente ripetuto dell’amministrazione Biden fin dall’autunno 2021 era quello di evitare un’escalation che portasse allo scontro diretto fra NATO e Federazione Russa. Questa clausola invece avrebbe reso l’intervento statunitense necessario e dipendente dalla scelta russa di aggredire l’Ucraina, cosa che il Cremlino aveva già fatto tre volte in otto anni.
5.2 Interpretazioni diverse e posizioni inconciliabili
La bozza pubblicata dal New York Times è un documento di venticinque pagine organizzato in quindici articoli. Di seguito sono riassunte le principali questioni contese. In alcuni casi le posizioni delle parti erano inconciliabili, mentre in altri, nonostante un accordo provvisorio sulle condizioni, le parti differivano sulla modalità della loro implementazione.
Neutralità
Nonostante l’Ucraina fosse disposta a dichiararsi permanentemente neutrale, abbandonando le proprie ambizioni di entrare nella NATO, le due parti avevano due visioni sostanzialmente diverse circa la modalità. Da parte ucraina, infatti, la neutralità era condizionata all’aver ottenuto da parte di paesi terzi assolute garanzie di sicurezza. Al contrario, nelle sue note la delegazione russa respingeva questa proposta chiedendo invece che la neutralità ucraina fosse incondizionata. Non solo, se da un lato le parti erano in accordo sul fatto che la neutralità ucraina fosse compatibile con il suo ingresso nell’Unione Europea, dall’altro la delegazione russa pretendeva che l’Ucraina si impegnasse a non partecipare alla Politica di Sicurezza e alla Difesa Comune dell’UE, a cui però normalmente partecipano anche i paesi membri neutrali.[49]
Cessate il fuoco
Nella proposta russa, il cessate il fuoco avrebbe avuto inizio a seguito della ratifica del trattato secondo questa sequenza e modalità:
È quasi superfluo spiegare perché da parte ucraina questa proposta fosse improponibile. Oltre a cercare di imporre alle forze ucraine di ritirarsi unilateralmente contando su nient’altro che la buona fede russa come garanzia, la delegazione russa aveva appositamente inserito come condizione per il ritiro delle proprie forze il rispetto di tutti i termini previsti nel trattato e poi, come vedremo, aggiunto una serie di termini a cui l’Ucraina avrebbe dovuto adempiere che nulla avevano a che fare con la cessazione delle ostilità o la neutralità.
Garanzie di sicurezza
Ferme restando le difficoltà insite nelle garanzie di sicurezza delineate nella sezione precedente, Ucraina e Federazione Russa discordavano su un punto fondamentale riguardante le garanzie di sicurezza. Nella proposta ucraina, l’intervento in sua difesa in caso di aggressioni future avrebbe dovuto essere necessario e richiedere l’accordo di soli tre stati garanti. La Federazione Russa, al contrario, proponeva che tale intervento dovesse essere approvato dai paesi garanti all’unanimità, attribuendosi di fatto un diritto di veto. In altre parole, nell’eventualità di una futura invasione russa l’intervento occidentale in sostegno e difesa dell’Ucraina avrebbe dovuto essere approvato anche dalla Federazione Russa!
Confini & Territori
La questione dei territori occupati e di un accordo sui confini dell’Ucraina ricorre in tutto il documento in due forme. Da un lato, come vedremo più avanti, la delegazione russa, agli art. 6 e 7, chiedeva esplicitamente la cessione da parte ucraina della Crimea e delle regioni di Donetsk e Luhansk. Dall’altro quella ucraina inseriva ripetutamente nei propri emendamenti e note l’espressione ‘confini internazionalmente riconosciuti dell’Ucraina’, suscitando le obiezioni russe.
Tutto questo si deve al fatto che le parti non concordavano su un aspetto fondamentale delle prerogative del trattato. Il Cremlino, infatti, voleva che le disposizioni sul futuro territoriale dell’Ucraina fossero finalizzate in sede di questo negoziato e incluse nel trattato. Al contrario, la posizione ucraina era che il trattato riguardasse solamente la neutralità e sicurezza dell’Ucraina e che le questioni territoriali dovessero essere l’oggetto di un incontro fra Zelenskyy e Putin da tenersi prima della ratifica del trattato stesso. In altre parole, l’Ucraina voleva che l’adozione della neutralità avvenisse a condizione di un chiaro accordo sui confini, mentre la Russia chiedeva all’Ucraina neutralità e cessione di territorio nella stessa sede.
Crimea
Nel caso della Crimea, la delegazione russa chiedeva che l’Ucraina
La posizione ucraina era invece di ‘congelare’ la questione della Crimea per istituire una negoziazione separata che negli anni successivi raggiungesse un compromesso sullo stato della Crimea.
Donetsk e Luhansk
Nel caso delle regioni di Donetsk e Luhansk, in parte occupate dalla Federazione Russa fin dal 2014, la delegazione russa chiedeva che l’Ucraina
In altre parole, la richiesta russa era che l’Ucraina cedesse due intere regioni inclusi territori che le forze russe non controllavano e che tutt’oggi non sono riuscite ad occupare, e che si impegnasse anche a riparare a proprie spese i danni inflitti alle infrastrutture a seguito dell’istigazione del conflitto da parte russa nel 2014.
Anche questa proposta era chiaramente irricevibile da parte ucraina, che infatti in una nota ribadisce la propria opposizione a discutere in sede di un trattato multilaterale di disposizioni che regolano i rapporti tra solo due parti non correlate all’oggetto del trattato.
Dimensioni delle forze armate ucraine
Uno dei punti su cui le posizioni delle parti si trovavano più lontane fra loro era quello sulle future dimensioni delle forze armate ucraine. La proposta ucraina, a loro avviso ispirata al modello svedese, viene bollata come inaccettabile da parte della delegazione russa, la quale pretendeva invece una massiccia riduzione delle capacità militari ucraine.
Posizione russa | Posizione ucraina | |
---|---|---|
Forze armate | 50,000 unità | 250,000 unità |
Guardia nazionale | 25,000 unità | 60,000 unità |
Guardia di frontiera | 25,000 unità | 50,000 unità |
Carri Armati | 280 | 800 |
Veicoli corazzati | 741 | 2,400 |
MLRS, mortai, cannoni anticarro | 442 | 1,300 |
Missili Anticarro | 255 | 1,255 |
Missili a lunga gittata (fino a 120 km) | 188 | 200 |
Aviazione | 100 | 160 velivoli |
Elicotteri | 79 | 144 |
Navi da guerra | 4 | 8 |
Navi Ausiliarie | 12 | 94 |
Cannoniere | 20 | 30 |
Al momento dell’invasione russa, le forze armate ucraine contavano circa 200,000[50] effettivi e ad oggi il loro numero è di circa un milione[51]. L’idea che l’Ucraina potesse essere in grado di difendersi con appena 50,000 unità, come richiesto dalla delegazione russa, appare completamente irrealistica. Non solo, se la preoccupazione russa fosse stata davvero quella di una minaccia alla propria sicurezza, si fatica a capire l’insistenza sulla riduzione della quantità di armamenti anticarro in dotazione alle forze armate ucraine. Se la proposta russa fosse stata attuata, l’Ucraina sarebbe quindi stata incapace di difendersi in caso di una nuova aggressione russa, il che l’avrebbe resa vulnerabile ad ogni forma di pressione politica. Non a caso un funzionario dell’amministrazione Biden aveva definito questo scenario un “disarmo unilaterale”.
Sanzioni
La delegazione russa chiedeva che l’Ucraina e tutti i paesi garanti si impegnassero ad annullare e d'ora in poi non imporre tutte le sanzioni e le misure restrittive imposte dal 2014 contro la Federazione Russa, i suoi funzionari, entità legali e individui, nonché sanzioni, divieti e restrizioni riguardanti attività economiche, finanziarie e altre attività con la Federazione Russa e i suoi operatori economici.
Solo dopo la cancellazione di tutte le sanzioni, la Federazione Russa avrebbe rimosso eventuali provvedimenti simili da parte sua. La risposta ucraina a fronte di questa richiesta era che essa non avesse nulla a che fare con un accordo multilaterale sulla neutralità e sulla sicurezza dell’Ucraina. Le note a margine della delegazione russa però mostrano insistenza su questo punto, il che dovrebbe farci chiedere perché se, come sostengono alcuni, ‘le sanzioni non funzionano’, il governo russo fosse così interessato alla loro rimozione.
Giustizia
La delegazione russa chiedeva anche che l’Ucraina si impegnasse a
Anche su questi punti, la posizione ucraina era che non fossero pertinenti all’oggetto del trattato e andassero discussi in un altro contesto.
Stato della lingua russa
In tema di politica linguistica in Ucraina, la parte russa insisteva sull’introduzione in Costituzione del russo come lingua ufficiale su tutto il territorio ucraino e sull’abrogazione della legislazione introdotta dal 2014 ad oggi a tutela della lingua ucraina[52][53][54][55][56][57]. Vale la pena precisare che il russo non è mai stato una lingua ufficiale in Ucraina. L’uso del russo, per quanto in diminuzione nell’ultimo decennio e tra le generazioni più giovani, rimane tutt’oggi diffuso nella vita di tutti i giorni senza particolari limitazioni dal momento che la maggioranza della popolazione comprende entrambe le lingue[58]. Ad oggi la grande maggioranza della popolazione ucraina è contraria al riconoscimento del russo come seconda lingua ufficiale[59].
Ribadita la propria opposizione a dibattere questioni di politica interna all’interno di un trattato multilaterale, nelle proprie note la parte ucraina proponeva invece che in separata sede le parti, guidate dai principi e dalle norme generalmente riconosciuti del diritto internazionale nel campo della protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, stipulino un accordo sul reciproco rispetto dell'identità etnica, culturale, educativa e linguistica [...] su base reciproca.
“Denazificazione”
La cosiddetta denazificazione come intesa dalla delegazione russa prevedeva la messa al bando di ogni forma di nazismo e neonazismo e delle organizzazioni ad esso legate e di tutte le attività di organizzazioni di estrema destra e di partiti che propagano l’ideologia nazista e neonazista.
Posto che, come già detto, il nazismo è già criminalizzato per legge in Ucraina[60][61], se con un po’ di attenzione si va a controllare le specifiche disposizioni di legge, sei in tutto, che la delegazione russa chiedeva venissero abrogate, si scopre che tutte hanno in realtà come tema la memoria dei crimini di epoca sovietica[62][63], la decomunistizzazione[64], la riabilitazione delle vittime delle persecuzioni sovietiche, e lo stato degli ex combattenti dell’UPA[65]. Anche in questo caso, la delegazione ucraina respingeva la richiesta sulla base del fatto che non aveva nulla a che fare con un trattato multilaterale.
Libertà di movimento
È interessante notare come la parte russa chiedesse perfino il ripristino della libertà di movimento fra Federazione Russa e Ucraina senza bisogno di visto e la riapertura di tutte via di comunicazione, incluse quelle aeree e ferroviarie.
Per contesto, va ricordato che nel 2015, a seguito dell’invasione russa della Crimea e del Donbas, il governo ucraino aveva sospeso tutti i voli per e dalla Federazione Russa[66] e nel 2018 aveva introdotto il controllo del passaporto biometrico per accedere al territorio nazionale e il divieto per tutti i cittadini russi maschi fra i 16 e i 60 anni non già residenti in Ucraine di entrare nel paese[67][68]. Anche in questo caso, la proposta era stata respinta dalla parte ucraina in quanto non pertinente l’oggetto del trattato.
5.3 Mancanza di progresso
Il 17 marzo, a seguito del bombardamento da parte russa del Teatro d’Arte Drammatica di Mariupol, dove avevano trovato rifugio centinaia di donne e bambini[69], Dimitri Peskov, Portavoce del Cremlino, dichiara che le trattative di pace non hanno ottenuto risultati a causa della mancanza di volontà da parte ucraina di negoziare. In risposta, Mykhailo Podolyak afferma che le posizioni delle due parti sono troppo lontane fra loro per arrivare ad un accordo.[70]
Purtroppo, ci troviamo di fronte alla solita logica da parte russa: fare richieste massimaliste, chiedere la resa ucraina, e intensificare i bombardamenti. Come a Grozny o ad Aleppo, ci sono tre elementi fondamentali [nella logica russa]: bombardamenti indiscriminati, cosiddetti ‘corridoi umanitari’ creati appositamente per poter accusare l’altra parte di non rispettarli, e negoziazioni senza alcun obiettivo se non quello di dare l’impressione di essere interessati a negoziare.
-Jean-Yves Le Drian, Ministro degli Esteri francese[71]
Entro il 21 marzo, le negoziazioni sembrano essersi arenate senza aver conseguito alcun risultato concreto. Quando Zelenskyy apre alla possibilità di un incontro diretto fra lui e Putin, Lavrov respinge l’idea come ‘controproducente’, sostenendo che un incontro fra i due sarebbe contemplabile solo dopo che si fosse raggiunto un accordo.[72]
A circa un mese dal primo incontro in Bielorussia, le due delegazioni si incontrano a Istanbul per una negoziazione mediata dal presidente turco Tayyip Erdogan. A cinque settimane dall’inizio dell’invasione le forze russe non hanno fatto progressi sul fronte settentrionale: l’idea che possano prendere Kyiv, Chernihiv, Sumy, o Kharkiv appare sempre meno realistica. D’altro canto, i russi hanno avuto successo a est dove hanno occupato la parte settentrionale della regione di Luhansk, a sud-est dove Mariupol si trova completamente circondata, e a sud dove hanno occupato parte delle regioni di Zaporizhzhya e Kherson.
Non esiste un resoconto contemporaneo esaustivo delle negoziazioni avvenute a Istanbul. Al più abbiamo ricostruzioni ex post basate su fughe di notizie, interviste, dichiarazioni, e più di recente, analisi di alcuni dei documenti di cui la stampa è riuscita a venire in possesso. Bisogna anche tenere a mente che tutte le parti coinvolte e diversi degli individui interessati hanno fatto affermazioni su queste trattative, spesso contraddittorie tra loro, nel tentativo di promuovere una certa linea o agenda politica.
6.1 Il Communiqué
Ieri, la parte ucraina ha fissato per la prima volta in forma scritta la sua disponibilità a soddisfare una serie di condizioni fondamentali per la costruzione di future relazioni normali e di buon vicinato con la Russia. Ci hanno consegnato i principi di un potenziale futuro accordo, fissati per iscritto.
-Vladimir Medinsky, capo della delegazione russa[73]
Il 29 marzo, le due delegazioni annunciano di essere riuscite ad accordarsi su un communiqué il cui testo però non verrà mai pubblicato dando adito, per i due anni successivi, a speculazioni e teorie circa il suo contenuto. La bozza ottenuta da Foreign Affairs e dal New York Times, dal titolo Key Provisions of the Treaty on Ukraine’s Security Guarantees[74], presenta in realtà poche differenze rispetto a quella del trattato del 17 marzo. Si tratta di un documento di poco più di una facciata che ribadisce la formula della neutralità in cambio di garanzie di sicurezza e ne riassume i contenuti in undici punti abbastanza sintetici, specificando per altro che, su tutti i punti su cui le parti non concordano, i termini definitivi sono ancora oggetto di negoziazione. L’elemento forse più rilevante è che il communiqué mette per iscritto la proposta, con ogni probabilità proveniente dalla parte ucraina, di escludere dal contenuto del trattato la questione della Crimea, che dovrà invece essere oggetto di negoziazioni bilaterali fra le parti nei successivi 10-15 anni.
Un altro punto degno di nota è che nella lista dei possibili paesi garanti, ai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Cina, e Federazione Russa) sono stati aggiunti come possibili candidati Turchia, Germania, Canada, Italia, Polonia, e Israele.
Stando al communiqué, in caso di una futura aggressione ai danni dell’Ucraina, i garanti avrebbero dovuto, su base individuale o collettiva, fornire assistenza militare inclusa la chiusura dello spazio aereo sopra l'Ucraina, la fornitura delle armi necessarie, e l'uso della forza armata. Quest’ultimo passaggio è particolarmente significativo in quanto più dettagliato perfino dell’Art. 5 della NATO.
Anche in questo caso, è difficile non pensare che questa aggiunta fosse stata fatta dalla parte ucraina per rendere ancora più chiare e incontrovertibili le garanzie di sicurezza. Va ricordato poi che questa lista di paesi costituiva al più una proposta fra le due parti e che nessuno di essi aveva ancora accettato il ruolo di garante, espresso un interesse in tal senso, o in alcuni casi anche ricevuto alcuna richiesta.
6.2 La ritirata russa
Il 29 di marzo non è però solo il giorno dell’annuncio del communiqué. Dopo trentatré giorni, l’offensiva russa su Kyiv è stata fermata a Irpin[75][76][77] e a Brovary.[78][79] Il 31 marzo, le forze ucraine riprendono il controllo dell’autostrada M01 rompendo l’assedio di Chernihiv[80], mentre qualche giorno prima la liberazione ucraina di Trostyanets aveva costretto i russi a ritirarsi da Sumy[81]. Entro l’8 di aprile, le forze ucraine hanno ristabilito il controllo completo di tre regioni: Kyiv[82], Chernihiv[83], e Sumy[84].
Sempre il 29 marzo, a Istanbul, alla luce dell’imminente ritirata a cui le proprie forze sono state costrette, il Viceministro della Difesa russo, Alexander Fomin, annuncia che al fine di rafforzare la fiducia reciproca e creare le condizioni necessarie per ulteriori colloqui, il Ministero della Difesa russo ha deciso di ridurre radicalmente, in modo significativo, l'attività militare nella direzione di Kiev e Chernigov.[85]
Curiosamente, il suo superiore Sergei Shoigu nello stesso giorno fornisce una spiegazione diversa affermando che l’operazione militare speciale ha avuto successo e che la capacità offensiva ucraina è stata ridotta a sufficienza da consentire alle forze armate russe di concentrarsi sul principale obiettivo: la liberazione del Donbas. Queste dichiarazioni vanno lette anche nel contesto del discorso interno alla Federazione Russa: fino a questo momento, tutti i media russi avevano parlato dell’operazione militare speciale come un grande successo e della caduta di Kyiv come imminente.
6.3 Bucha
È proprio durante la liberazione dei territori occupati che vengono alla luce le atrocità commesse dalle forze russe contro la popolazione civile, in particolare ma non solo, nella cittadina di Bucha[86].
Tuttavia, contrariamente a quanto inizialmente sostenuto da alcuni, non sembra sia stata la scoperta di questi crimini a mettere fine alle trattative. Le bozze ottenute da Foreign Affairs e dal New York Times sono infatti datate 12 e15 aprile, più di una settimana dopo la prima visita di Zelenskyy a Bucha. Non è irrealistico però pensare che le notizie e le immagini delle efferatezze commesse dai soldati russi nei territori occupati abbiano contribuito ad inasprire il tono delle negoziazioni, soprattutto a fronte della reazione ufficiale russa di diniego e accusa. Di fronte agli orrori di Bucha, infatti, il ministro degli esteri Lavrov parla di una provocazione ucraina[87], il ministro della difesa nega che anche un solo civile ucraino sia rimasto vittima, e il capo delegazione Medinsky dichiara che si tratti di una messa in scena ucraina e che la scelta sia caduta su Bucha in quanto il nome fa rima con butcher, termine inglese per ‘macellaio’.
A Istanbul, non avevamo ancora capito il tipo di guerra che la Russia stava conducendo, il suo intento genocida. Una volta tornati da Istanbul, dopo che i russi avevano lasciato la regione di Kyiv, abbiamo visto i crimini bestiali che avevano commesso lì. E abbiamo capito che la Russia cercherà di annientare l'Ucraina a qualsiasi costo.
-Mykhailo Podolyak (Our Enemies Will Vanish)
La seguente gallery mostra il ritrovamento dei corpi a Bucha (fonte)
La bozza del trattato del 15 aprile ottenuta da Foreign Affairs e dal New York Times riprende alla lettera quella del 17 marzo, anche se si struttura su 18 articoli, anziché 15.
7.1 Accordi e disaccordi
Se un punto di svolta subito evidente rispetto alla bozza precedente è il superamento dell’incondizionalità della neutralità ucraina, è forse però sulla questione territoriale e dei confini che si nota l’evoluzione principale.
Mentre nella bozza precedente la Federazione Russa chiedeva all’Ucraina di riconoscere l’annessione della Crimea e l’indipendenza delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Luhansk contestualmente al trattato, in questo documento, agli articoli 8 e 9, si dice che i termini del trattato non si applicheranno alla Crimea e ai territori indicati sulla mappa allegata. La mappa purtroppo non è stata rinvenuta, ma è ragionevole immaginare che indicasse almeno le regioni di Donetsk e Luhansk. Questo ci suggerisce che le parti, almeno a livello preliminare, non erano contrarie all’idea di discutere le dispute territoriali separatamente, in sede di trattati bilaterali.
I punti su cui persistevano le differenze più profonde erano i seguenti:
Posizione russa | Posizione ucraina | |
---|---|---|
Forze armate | 85,000 unità | 250,000 unità |
Guardia nazionale | 15,000 unità | 60,000 unità |
Carri Armati | 342 | 800 |
Veicoli corazzati | 1029 | 2,400 |
Cannoni | 519 | 1,900 |
MLRS | 96 | 600 |
Cannoni anti-carro | 96 | 380 |
Mortai | 147 | 1080 |
Missili Anticarro | 333 | 2,000 |
Missili a lunga gittata (fino a 120 km) | 188 | 200 |
Aviazione | 102 | 160 velivoli |
Elicotteri | 35 | 144 |
Navi da guerra | 2 | 8 |
Navi Ausiliarie | 10 | 94 |
Cannoniere | 10 | 30 |
Nei mesi e anni successivi ai negoziati in Turchia, il Cremlino ha ripetutamente imputato il loro fallimento ad un sabotaggio da parte del “mondo anglosassone”, interessato ad usare l’Ucraina come proxy per indebolire la Russia[89][90]. Dopo aver tuttavia letto ed analizzato nel dettaglio i documenti citati, appare evidente che un presunto sabotaggio occidentale non sarebbe stato nemmeno necessario: i termini delineati nelle bozze del trattato infatti non erano in grado di risolvere le questioni cruciali del conflitto e le relative discussioni fra le parti mostravano differenze inconciliabili su molti punti.
Come osservato da Sergey Radchenko e Samuel Charap su Foreign Affairs[91], uno dei principali difetti della formula del trattato era che essa cercava di stabilire un ordine di sicurezza post-bellico prima di porre fine alla guerra. In altre parole, se da un lato la bozza del trattato si preoccupava di entrare nel dettaglio degli assetti politici e di sicurezza che avrebbero fatto seguito alla fine del conflitto, dall’altro non proponeva un approccio credibile per la mitigazione e la cessazione delle ostilità in corso. La questione dei territori e dei confini poi era stata ‘risolta’ essenzialmente relegandola ad un’altra negoziazione da tenersi in futuro, possibilmente fra Putin e Zelenskyy, e i precedenti in tal senso non sono certo incoraggianti.
La credibilità delle garanzie di sicurezza e la disponibilità da parte degli alleati occidentali a fornirle era l’altra questione fondamentale irrisolta. Secondo le fonti all’interno dell’amministrazione Biden contattate da Foreign Affairs, gli Stati Uniti fino a dopo l’annuncio del communiqué non erano nemmeno stati interpellati circa la possibilità di fare da garanti. Questo nonostante i termini in discussione prevedessero un loro obbligo di entrare in guerra in caso di una nuova invasione dell’Ucraina.
Anche se Russia e Ucraina fossero riuscite a superare le proprie profonde divergenze, rimaneva il problema di come gli alleati occidentali avrebbero accettato di fare da garanti per la sicurezza dell’Ucraina secondo una formula che li avrebbe obbligati ad entrare in guerra con la Russia, quando non lo avevano fatto in passato.
Il fatto che il trattato non proponesse un percorso credibile verso la fine delle ostilità e una soluzione alla questione dei territori non deponeva certo a favore di questa formula e l’insistenza russa a voler ridurre al minimo le forze armate ucraine, ad un livello tale che avrebbe reso il paese impossibilitato a difendersi, non era un dato incoraggiante.
Da un certo punto di vista è perfino legittimo pensare che le negoziazioni fossero quasi una farsa da cui entrambe le parti, Russia e Ucraina, avevano qualcosa da guadagnare. Da parte russa, in seguito al fallimento del tentativo di prendere Kyiv in pochi giorni, c’era la necessità di cambiare narrazione e mostrarsi disponibili a negoziare nella speranza di estorcere delle concessioni. Da parte ucraina poi, non vi era nulla da perdere nel negoziare con la delegazione russa anche solo per guadagnare tempo e mantenere una certa ambiguità.
Non c’era nessun accordo. Sotto la pressione amichevole del presidente Erdogan, entrambe le parti hanno acconsentito a instaurare una discussione seria su come si potesse arrivare a porre fine alla guerra. Ovviamente noi abbiamo provato ad avere un dialogo con loro, ma avere un dialogo e impegnarsi a qualcosa di specifico sono due cose completamente diverse.
-Dmitro Kuleba, Ministro degli Esteri dell’Ucraina (Our Enemies Will vanish)
8.1 Il ruolo di Boris Johnson
Ero un po' preoccupato a quel punto. Non riuscivo a capire quale potesse essere l'accordo e pensavo che qualsiasi patto con Putin sarebbe stato piuttosto sordido. Qualsiasi accordo sarebbe stato una vittoria per lui: se gli concedi qualcosa, lui se la tiene, mette da parte, e si prepara per un nuovo attacco.
- Boris Johnson[92]
Fin da subito la narrazione del ‘sabotaggio’ occidentale si è incentrata sulla figura di Boris Johnson. In questa versione, spesso riportata anche da Putin[93] o dai suoi portavoce, il Primo Ministro britannico, fra i primi leader occidentali a visitare Kyiv[94] il 9 aprile 2022, avrebbe convinto o costretto Zelenskyy a mettere fine alle trattative.
Il primo problema di questa teoria è di carattere cronologico: la bozza di accordo ottenuta dal The New York Times risale a circa una settimana dopo la visita di Johnson. Il secondo è legato al problema delle garanzie di sicurezza già illustrato. Johnson era comprensibilmente scettico di un accordo che si basasse sulla buonafede di Putin e, nel proprio incontro con Zelenskyy, gli avrebbe fatto presente che nessun paese occidentale, soprattutto gli Stati Uniti, sarebbe stato disposto a farsi da garante a quelle condizioni. Più che costringere Zelenskyy e gli ucraini a combattere una guerra per procura contro la Russia, Johnson avrebbe semplicemente fatto presente che la formula degli accordi discussi in Turchia era poco realistica e che l’Ucraina si sarebbe trovata in una posizione ancora più vulnerabile in caso di una nuova aggressione russa.
8.2 Le dichiarazioni di Davyd Arakhamia
Alle origini della narrazione su Boris Johnson c’è un’intervista[95] di Davyd Arakhamia all’emittente televisiva ucraina 1+1 nel novembre 2023. Secondo quanto riportato da molti sostenitori del ‘sabotaggio’ occidentale, Arakhamia avrebbe sostenuto che la delegazione ucraina fosse disposta a concludere un accordo se non fosse stato per Boris Johnson che, al loro ritorno da Istanbul, le avrebbe intimato di non firmare e continuare a combattere.
Come spesso accade in questi casi, questa tesi si basa in realtà sull’estrapolazione di una frase di pochi secondi dal contesto di più di un’ora di intervista. Nei minuti appena precedenti, ad esempio, Arakhamia aveva spiegato come i negoziati fossero in realtà per l’Ucraina un modo per guadagnare tempo e le ragioni per cui, dal suo punto di vista, non avessero alcuna chance di successo. Fra queste vi era l’impossibilità di fidarsi della controparte russa e la mancanza di un’architettura di sicurezza credibile. Se si presta poi attenzione a quanto detto sul ruolo di Boris Johnson, si può notare che Arakhamia sta in realtà dicendo qualcosa di diverso, e cioè che gli altri alleati occidentali non avrebbero firmato un trattato che li impegnasse sotto quelle condizioni. Invece di mettere pressione sull’Ucraina affinché non firmasse, Johnson stava semplicemente riportando la posizione occidentale, ribadendo ancora una volta il problema delle garanzie di sicurezza.
8.3 Le dichiarazioni di Oleksandr Chalyi
Un altro tassello ricorrente nelle narrazioni sul sabotaggio occidentale sono le dichiarazioni[96] di Olekdandr Chaliy, uno dei membri della delegazione ucraina a Istanbul, durante una conferenza allo Geneva Centre for Security Policy.
Chaliy è un diplomatico ucraino di lungo corso che dagli anni ‘90 ad oggi ha ricoperto diverse posizioni all’interno del Ministero degli Esteri dell’Ucraina, spesso nel contesto di negoziazione di trattati bilaterali fra Federazione Russa e Ucraina. In passato, Chaliy era noto per essere fermamente contrario all’ingresso ucraino nella NATO e nell’Unione Europea tanto che la sua presenza a Istanbul ha destato indignazione nell’opinione pubblica ucraina. La frase pronunciata da Chaliy a Ginevra che viene spesso riportata è la seguente: a metà/fine aprile eravamo molto vicini a finalizzare un accordo di pace, ma per diverse ragioni fu rinviato.
Come si può notare le parole di Chaliy offrono davvero poco in termini di spiegazione del mancato raggiungimento dell’accordo e possono essere usate per sostenere la teoria del sabotaggio solo se usate in un contesto di altre affermazioni di cui abbiamo già dimostrato l’invalidità. Non solo, se, come fanno alcuni, si accetta per buono quanto sostenuto da Chaliy in virtù del semplice fatto che era un membro della delegazione, allora secondo la stessa logica si dovrebbe accettare anche quanto sostenuto dagli altri membri della delegazione che negano la tesi del sabotaggio. Infine, chi avesse la pazienza di ascoltarsi per intero l’intervento di Chaliy a Ginevra ne rimarrà abbastanza stupito dal momento che, nella parte successiva del proprio discorso, Chaliy sottolinea l’importanza dell’ingresso ucraino nella NATO.
8.4 Il ruolo di Naftali Bennett
L’allora Primo Ministro israeliano Naftali Bennett (rimasto in carica fino al giugno 2022) aveva assunto per un breve periodo il ruolo di mediatore fra Ucraina e Russia, in virtù del fatto di essere, oltre al presidente turco Tayyip Erdogan, l’unico leader alleato del blocco occidentale con cui Putin si mostrasse disposto a comunicare. Il suo ruolo era quello di intermediario in un canale di comunicazione fra Putin, Zelenskyy, e gli alleati occidentali, parallelo alle negoziazioni fra delegazioni.
A questo proposito ci sono due elementi che vanno sottolineati. Il primo è che Bennett era piuttosto estraneo al contesto politico russo, ucraino, ed europeo in generale: non aveva mai messo piede in Russia o in Ucraina e per sua stessa ammissione conosceva molto poco entrambi i paesi. Il secondo è che, come da lui stesso sottolineato nel corso dell’intervista con Hanoch Daum, l’interesse israeliano non era necessariamente allineato a quello ucraino, europeo, o statunitense. Questo perché la capacità israeliana di operare in Siria, e in particolare di effettuare i propri attacchi aerei sulle forze iraniane lì presenti, avrebbe potuto essere compromessa se la Russia avesse deciso di usare la propria presenza in Siria per abbattere i jet israeliani. Di fronte a questa tensione tra interessi contrapposti, Bennet aveva fatto la scelta di prendere una ‘terza posizione’.
Due mesi prima dell’invasione, Bennet, nel corso del suo primo incontro con Putin a Sochi, aveva proposto, su richiesta di Zelenskyy, un incontro fra i due leader, ma la risposta di Putin era stato un brusco rifiuto. Bennet racconta di come l’incontro con Putin fosse stato cordiale fino al momento in cui aveva nominato l’Ucraina e Zelenskyy. A quel punto, il presidente russo aveva cambiato tono accusando Zelenskyy e il governo ucraino di essere dei ‘nazisti guerrafondai’ e dicendo che non li avrebbe mai incontrati.
All’inizio dell’invasione, Zelenskyy contatta nuovamente Bennett chiedendogli di fare da intermediario, ma il presidente ucraino non è il solo: anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz, in visita a Gerusalemme, il 3 marzo chiede al primo ministro israeliano di proporsi come mediatore[97]. Con il coordinamento di Francia, Germania, Regno Unito, e Stati Uniti, Bennet si reca in visita a Mosca il 5 marzo per incontrare Putin[98]. A detta di Bennett, gli Stati Uniti erano dell’opinione che si trattasse di una perdita di tempo, mentre il leader israeliano era convinto ci fosse una possibilità di successo. Il risultato di questo incontro e di una lunga serie di telefonate separate con Putin e Zelenskyy sarebbe stato quello di predisporre le condizioni delle trattative di marzo che abbiamo già illustrato. A detta di Bennett, il principale risultato della sua mediazione sarebbe stato quello di aver ottenuto da Putin la garanzia di non tentare di assassinare Zelenskyy e di rinunciare al completo disarmo ucraino, e in cambio da Zelenskyy di dirsi disposto a rinunciare all’ingresso nella Nato in cambio di garanzie di sicurezza.
Secondo la tesi del sabotaggio occidentale, nel corso dell’intervista Bennett avrebbe detto che le negoziazioni poi iniziate a marzo sarebbero state ‘bloccate’. Tuttavia, sembra si tratti di una cattiva traduzione dall’ebraico e che invece Bennet avesse semplicemente affermato che le negoziazioni ‘si erano fermate’. A suo avviso, una delle ragioni principali era la scoperta delle atrocità russe a Bucha.
Le negoziazioni si fermarono. All’epoca pensai fosse un errore, ma con il senno di poi credo sia troppo presto per dirlo. Credo che vi fosse davvero la possibilità di raggiungere un cessate il fuoco, ma non sono sicuro che sarebbe stata la cosa giusta.
- Naftali Bennett (dall’intervista)
Ora che abbiamo stabilito che Russia e Ucraina non erano affatto vicine a concludere un trattato e che il suo fallimento non è da imputarsi ad un presunto sabotaggio occidentale, resta da confutare l’ultimo argomento, e cioè che a prescindere da tutto questo, per l’Ucraina sarebbe stato preferibile accettare le condizioni delineate nell’ambito di quei negoziati rispetto alla prosecuzione del conflitto che ha portato alla situazione attuale.
La questione risulta mal posta, non solo perché senza garanzie di sicurezza tutte le condizioni perdono di significato, ma anche perché i termini discussi durante quei negoziati andrebbero confrontati non tanto alla situazione di oggi, a guerra in corso, bensì alle condizioni di eventuali negoziazioni future. Un tale paragone non è possibile, ma vale la pena di fare una serie di considerazioni.
In primo luogo, dal punto di vista del mero controllo territoriale, nella primavera del 2022 la Russia controllava tra il 26% (in marzo) e il 20% (in aprile) del territorio ucraino, mentre oggi ne controlla il 18%. L’argomento secondo cui l’Ucraina avrebbe quindi perso territorio a causa della sua decisione di non accettare il negoziato non regge. È senz’altro vero che nell’ultimo anno l’Ucraina ha avuto enorme difficoltà a stabilizzare il fronte orientale e che, soprattutto negli ultimi mesi, le forze russe sono riuscite ad avanzare in maniera preoccupante. Tuttavia, questo è soprattutto conseguenza della lentezza e della scarsezza del sostegno militare occidentale e del ritardo da parte ucraina nell’approvare la legge sulla mobilitazione, entrambe variabili che non erano predeterminate 32 mesi fa.
In secondo luogo, ai tempi dei negoziati l’Ucraina, con l’eccezione di alcune armi anticarro (Javelin, N-LAWs, etc.), non aveva ancora ricevuto la grande maggioranza degli aiuti militari occidentali di cui dispone oggi e che le consente di continuare a resistere all’invasione russa infliggendo alla Russia perdite estremamente pesanti. Secondo i termini di quei negoziati, l’Ucraina si sarebbe invece ritrovata con delle forze armate pari per dimensioni al 5% di quelle attuali e completamente prive degli armamenti occidentali, in altre parole completamente incapace di difendersi.
Anche sul fronte politico ed economico, quasi tutte le decisioni di sostegno all’Ucraina sono avvenute solamente nei mesi successivi alla primavera del 2022 ed è difficile immaginare che sarebbero avvenute se l’Ucraina avesse accettato dei termini che l’avrebbero di fatto ridotta ad essere uno stato incapace di difendersi, completamente soggetto alle minacce e all’influenza di Mosca.
In altre parole, per quanto sia legittimo e ad avviso di chi scrive più che giusto accusare i leader occidentali di non aver fatto abbastanza, di averlo fatto spesso in ritardo, e di aver troppo spesso ceduto al ricatto nucleare russo, d’altro canto è difficile immaginare che anche solo una frazione di tutto quello che è stato fatto sarebbe stata possibile se l’Ucraina avesse accettato le condizioni dei negoziati di marzo-aprile 2022.
A questo punto l’unico argomento che resta è uno di carattere pseudo-umanitario: se l’Ucraina avesse accettato questi termini si sarebbe risparmiata la morte di decine di migliaia di propri cittadini. Questo argomento è moralmente ambiguo, perché ovviamente, se quello che sta a cuore fossero le vite umane in sé, allora si potrebbe dire che se la Russia non avesse deciso di invadere, si sarebbero evitati centinaia di migliaia di morti. Ma al di là di questo, la conseguenza logica di un simile ragionamento sarebbe che qualsiasi paese invaso dovrebbe istantaneamente arrendersi e consegnarsi al nemico per evitare morte e distruzione.
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