Codice della strada: Parte II | Sospensione, neopatentati ed autovelox

di M. Distefano

Attualità & PoliticaDiritto e Giustizia

Nella prima parte si è posto il focus sulle motivazioni del ddl e sugli illeciti di guida in stato di alterazione psicofisica. In questa sede si rifletterà invece sui profili restanti. Non si tratterà in via integrale il contenuto dei restanti 34 articoli della presente legge, ma si procederà ad una selezione di tre temi: la sospensione della patente, le limitazioni ai neopatentati e gli autovelox.

By Freytagberndt - Own work, CC BY-SA 3.0,

Sospensione della patente

La sospensione della patente è una sanzione accessoria che consiste in primo luogo nel ritiro del documento da parte dell’autorità che abbia accertato la violazione, in secondo luogo nell’ordinanza di sospensione emessa dal prefetto: l’utente sarà inidoneo alla circolazione per un arco di tempo che risulta dal secondo atto. Per conciliare l’esigenza di pubblica sicurezza stradale - e quindi l’efficacia deterrente della sanzione - con il diritto dell’utente al raggiungimento quotidiano del luogo di lavoro è prevista la concessione (più restrittiva possibile) di fasce orarie durante le quali l’efficacia della sanzione viene inibita. Questo sistema non ha riscontrato modifiche significative a seguito della riforma. L’innovazione più interessante riguarda invece il nuovo art. 218-ter, che introduce la cosiddetta sospensione breve della patente: si tratta di una novità peculiare, che va collegata - secondo le motivazioni di cui al ddl - al sistema basato sulla decurtazione dei punti della patente; quest’ultima misura, introdotta nel 2003, si era dimostrata idonea - sempre secondo il Ministero proponente - a ridurre in modo rilevante il numero di incidenti, di morti e feriti. Questa stessa incisività sarebbe venuta sempre meno a partire dal 2007 in poi, in quanto la sanzione di mera revisione tecnica della patente - in caso di azzeramento dei punti - non si sarebbe rivelata così deterrente con il passare degli anni. Su questo punto vanno fatte alcune precisazioni: in primo luogo è vero che, in corrispondenza della riforma del 2003, il numero di incidenti, morti e feriti è calato drasticamente (1); è anche corretta l’affermazione per cui si è giunti ad uno stazionamento dei dati, anche se ciò si è verificato molti anni dopo rispetto a quanto affermato (2). Sicuramente la ragione di questa riduzione più che decennale non è riconducibile alla sola riforma del 2003, essendosene nel frattempo susseguite altre, tuttavia è innegabile la sua incidenza.

Entrando nel merito della sospensione breve, la previsione dunque rafforza il sistema della decurtazione dei punti: nel caso in cui l’utente sia dotato di un punteggio inferiore ai 20 punti, all’accertamento di una delle violazioni elencate nel medesimo articolo (3) consegue - in aggiunta alle altre sanzioni già previste - anche una sospensione della patente di 7 giorni; nel caso in cui il punteggio di partenza sia già inferiore ai 10 punti, la sospensione sarà di 15 giorni. Le sospensioni sono raddoppiate se a causa della violazione contestata (e accertata) è derivato un incidente. Data la brevità del termine di sospensione, si è preferita l’adozione di una procedura più semplificata, derogando alla solita competenza del prefetto: la sospensione non deriverà dunque da un’ordinanza ma sarà contestuale al ritiro del documento da parte dell’agente. L’inerzia abusiva al divieto consegue un trattamento sanzionatorio molto gravoso (lo stesso della sospensione ordinaria): sanzione pecuniaria, revoca della patente e fermo amministrativo del veicolo (che si tramuta in confisca a seguito di reiterazione). 

Il legislatore inoltre ha voluto chiarire il problema di coordinamento che si pone tra questo articolo e le recidive nel biennio per il singolo tipo di violazione: se l'illecito specifico prevede - in caso di recidiva nel biennio - una sospensione ordinaria (un esempio su tutti il semaforo rosso), il concorso tra quella breve e quella ordinaria si risolverà con la sola applicazione della seconda. Problemi interpretativi si pongono tuttavia per l’inserimento - tra queste condotte specifiche - dell’art. 173 comma 3-bis: l’uso del cellulare alla guida; i dubbi riguardano il fatto che tutte le condotte elencate nell’art. 218-ter - nella forma base - portano di per sé a sanzioni pecuniarie: solo nella forma di recidiva nel biennio si prefigura una sospensione ordinaria (con la soluzione individuata sopra). A seguito di questa stessa riforma invece l’uso del cellulare alla guida è punito - anche in forma semplice - con la sospensione ordinaria da 15 giorni a 2 mesi (prima era prevista la sola pena pecuniaria): dunque, nel caso in cui sia applicabile anche la sospensione breve, quale delle due si adotta? A ben vedere, l’aggiunta di questa condotta all’elenco è stata effettuata in sede parlamentare (nella versione originaria del ddl non è presente): si suppone quindi che vi sia stata una svista, con conseguente applicazione della sola sospensione ordinaria. 

Per concludere, questa riforma va accolta con una certa riserva, perché si tratta di una misura che può limitare fortemente la libertà di circolazione del cittadino, soprattutto a causa della lunghezza dell’elenco di illeciti inclusi. Un’introduzione del genere sarà dunque giustificabile solo laddove conduca nel futuro ad una forte riduzione degli incidenti, ravvivando la tendenza cui la riforma del 2003 aveva dato inizio. In caso contrario dovrà essere ritenuta eccessivamente gravosa, con dei conseguenti dubbi sulla sua effettiva opportunità: sarebbe giusto dunque attendere le prossime rilevazioni Istat in modo da formulare un giudizio più consapevole. 

Giovani e neopatentati

Per quanto riguarda le disposizioni sull’educazione stradale dei giovani, l’art. 230 si è sempre proposto l’obiettivo di diffondere - nelle scuole di qualsiasi ordine e grado - la conoscenza dei principi della strada e di tutto ciò che ruota attorno ad essa, con particolare riferimento all'uso della bicicletta, e delle regole di comportamento degli utenti, [...] all'informazione sui rischi conseguenti all'assunzione di sostanze psicotrope, stupefacenti e di bevande alcoliche. Inutile rimarcare la mancata effettiva implementazione di queste norme, per via delle scarse risorse e della mancanza di incentivi: la riforma interverrebbe su questo secondo problema, con la promessa di un premio di 2 punti sulla patente ai giovani - frequentanti istituzioni scolastiche secondarie di secondo grado - che partecipino a queste iniziative extracurricolari. In merito si possono trarre le medesime conclusioni effettuate sull’alcolock nella prima parte di questa disamina: riflessioni sulla fattibilità potranno esserci solo alla luce del regolamento attuativo - sempre se sarà effettivamente emanato - da adottare in teoria entro metà febbraio. 

Più immediate sono invece le limitazioni per neopatentati di cui all’art. 117. La qualifica di neopatentato era ed è tuttora di durata pari a tre anni dal conseguimento della patente. Una limitazione che tuttavia durava un solo anno era quella legata alla potenza del veicolo, per cui allo scadere del primo anno ogni limite in tal senso veniva meno. A seguito della riforma, anche in questo caso il termine è stato esteso a tre anni. Al fine di scongiurare equivoci, questa modifica non ha efficacia retroattiva, per cui chi ha conseguito la patente prima del 14 dicembre è destinatario della precedente disciplina. 

Infine una misura protezionistica - cui questa maggioranza è avvezza - nei confronti delle autoscuole: secondo la precedente disciplina, all’aspirante patentato era sufficiente il foglio rosa per esercitarsi alla guida, sempre che fosse accompagnato da un altro soggetto infra-sessantacinquenne, con la medesima patente da almeno dieci anni (o di livello superiore). Da ora in poi sarà necessaria un’ulteriore certificazione che garantisca l’adempimento alle esercitazioni in autostrada o su strade extraurbane e in condizione di visione notturna. Gli unici soggetti idonei ad attestare formalmente tale adempimento sono esclusivamente le autoscuole: viene dunque imposto all’aspirante patentato di iscriversi previamente alle stesse. Di fatto questa misura riduce di gran lunga i margini di autonomia del cosiddetto privatista e garantisce alle autoscuole la completa istruzione degli utenti.

Eccesso di velocità ed autovelox

La velocità troppo elevata alla guida è - come emerge pacificamente dai report Istat - una delle maggiori cause di incidenti. Si tratta dunque di una circostanza su cui è più facile trovare terreno fertile per misure normative più dure. La modalità più efficiente - ma anche più discussa - per l’elevazione di questo illecito è senza alcun dubbio l’autovelox, specie se fisso, proprio per la sua configurazione elettronica, idonea a combinare al meglio precisione e continuità della sorveglianza. Per il principio non scritto per cui - come in tutti gli ambiti - a maggiori poteri corrispondono più stringenti limiti, la legge in primis ed i giudici in coda hanno elaborato nei confronti degli autovelox una serie di cautele, tra cui primeggia incontrastata la dicotomia omologazione ed approvazione: il singolo dispositivo elettronico infatti, ai fini di una regolare elevazione per il preconfezionamento di una prova certa, deve essere sia approvato che omologato, pena la possibilità di far dichiarare illegittimo il verbale di contestazione. Dalla lettura delle varie sentenze in merito emerge un certo tentativo da parte delle autorità di controllo di aggirare questo doppio ostacolo, rivendicando l’alternatività tra questi due termini, per cui sarebbe più che sufficiente il compimento del procedimento di approvazione, che tra i due è certamente quello più snello. Nei tribunali (4) invece si ravvisa non solo un mantenimento, bensì una consacrazione della suddetta dicotomia, in quanto interpretazione corretta quella che valorizza una distinzione sia nei procedimenti sia nelle funzioni.

La prima posizione, a favore della sufficienza dell’approvazione, trova seguito in quanto nel testo normativo i due termini sono spesso collegati dalla congiunzione disgiuntiva “od” piuttosto che da quella copulativa “ed”: anziché approvazione ed omologazione si trova scritto approvazione od omologazione. Tuttavia, a ben vedere questa conclusione si scontra con le due disposizioni cardine: l’art. 142 comma 6 del Codice della strada e l’art. 192 del Regolamento attuativo del medesimo codice. La prima fonte afferma: [p]er la determinazione dell'osservanza dei limiti di velocità sono considerate fonti di prova le risultanze di apparecchiature debitamente omologate; è evidente che non si faccia riferimento alla precedente approvazione, dunque l’efficacia probatoria scatta soltanto dal compimento del secondo procedimento. Dalla seconda fonte emerge invece la differenza di natura e funzione, palesata da una sentenza del Tribunale di Asti (5): l'omologazione ministeriale autorizza la riproduzione in serie di un apparecchio testato in laboratorio [...], mentre l'approvazione consiste in un procedimento che non richiede la comparazione del prototipo con caratteristiche [...] o con particolari prescrizioni [...]. L'omologazione, quindi, consiste in una procedura che - pur essendo amministrativa al pari dell'approvazione, ha anche natura necessariamente tecnica e tale specifica connotazione risulta finalizzata a garantire la perfetta funzionalità e la precisione dello strumento [...]. 

Questo era dunque il quadro, sempre più pacifico, prima della riforma: alla luce dell’intervento normativo si sono sollevate voci che vedrebbero una soppressione della dicotomia; a ben vedere si può invece affermare che il quadro sia rimasto il medesimo. Certamente il tentativo del Ministero proponente è quello di contrastare la ferrea posizione dei giudici: come risulta evidente da una lettura delle argomentazioni di cui al ddl, la richiesta inderogabile dell’omologazione, ulteriore e susseguente rispetto alla semplice approvazione, da parte dei tribunali non viene vista dal Ministero come la ricerca di una rilevazione corretta e precisa (risultato che può essere garantito solo con l’omologazione), bensì come una soluzione a sfavore della sicurezza stradale: [la necessità dell’omologazione ha] di fatto reso vano il rilevamento automatico delle infrazioni. Questa ricostruzione logica non può essere considerata condivisibile: l’invalidità dei verbali per mancata omologazione degli autovelox non è dovuta ad inutili e dannose riflessioni dei giudici, quanto all’inerzia dell’amministrazione nel completamento del secondo procedimento. Non è ammissibile che in un sistema garantista come quello italiano la colpa riguardo alla mancata celerità in sede di omologazione venga fatta ricadere sui cittadini, esposti di conseguenza a rilevazioni potenzialmente imprecise. 

Dunque: per quale motivo non è cambiato il quadro normativo? La risposta risiede nel fatto che nel ddl si proponeva di modificare l’art. 142 comma 6, che - come già affermato in precedenza - identifica come fonti di prova solo gli autovelox omologati. La rettifica consisteva nell’aggiunta della frase: o, nelle more dell’emanazione di un regolamento specifico, approvate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; di fatto concretizzando quel trasferimento di responsabilità dall’amministrazione ai consociati. La disposizione non ha tuttavia superato il vaglio parlamentare, che con un emendamento ha eliminato questa proposta. Di quella volontà governativa di rimuovere la distinzione resta la semplice reiterazione della congiunzione disgiuntiva “od”, la quale però, come già affermato, non è considerata in tal senso significativa dalla magistratura. 

Ultimo punto rilevante in materia riguarda il nuovo comma 1-quinquies dell’art. 201. Al comma 1-bis viene elencata una serie di violazioni - tra cui l’eccesso di velocità - per cui è idonea, ai fini probatori, l’adozione di strumenti di controllo da remoto. Il comma 1-quinquies afferma che gli strumenti elettronici approvati od omologati per la rilevazione contemporanea di più tipologie di violazioni (di cui al comma 1-bis) possano costituire prova valida per tutte queste. Non si ha alcuna alterazione del principio di necessaria omologazione, potendosi riproporre i medesimi ragionamenti riguardo alla congiunzione “od”. Lo stesso comma però continua, affermando che, in caso di più violazioni (di cui al comma 1-bis) compiute con la stessa azione od omissione, sia sufficiente in astratto un dispositivo approvato od omologato per anche un solo tipo di rilevazione: così a titolo esemplificativo attraverso l’accertamento di violazioni del limite di velocità o del segnale di semaforo rosso, realizzato con dispositivi omologati per quelle violazioni, sarà possibile accertare anche la mancanza di revisione o la mancanza di assicurazione. Anche in questo caso il concetto di base non cambia, essendo necessaria l’omologazione per la violazione principale. Il problema tuttavia si pone quando l’eccesso di velocità non sia l’illecito preminente, quanto quello accessorio della medesima azione: è opinione di chi scrive che si possa configurare una deroga alla necessità di omologazione, ma solo in presenza di una violazione così grave e palese da rendere insignificante l’esigenza della precisione.

Aggiornamento: Ministero dell’Interno, circolare n. 995, 23 gennaio 2025

Nella circolare viene illustrato l’indirizzo interpretativo dell’art. 146 comma 6 del Codice della strada, in materia di approvazione ed omologazione degli autovelox. Le due posizioni principali sono state discusse nell’articolo principale: in questa circolare per riassumere emerge - come se non fosse già stata ben chiarita dalle motivazioni di cui al ddl - la posizione governativa, la quale caldeggerebbe la sostanziale identità tra i due procedimenti. Il Ministero porta a proprio favore anche l’ovvio parere dell’Avvocatura Generale. 

Che rilevanza ha questa manifestazione? Nessuna. Si tratta in sintesi di un tentativo ulteriore dell’esecutivo di coordinare le proprie forze, con la speranza di far mutare in futuro la posizione della Cassazione, che ad oggi in merito sembra monolitica.

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