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Banco BPM nel mirino di Unicredit: oscuri interessi stranieri o necessaria operazione di mercato?

Il tentativo di acquisizione di Banco BPM da parte di Unicredit ha scatenato ogni genere di reazione, politica inclusa.

L’attenzione di quest’ultima per le vicende del nostro sistema bancario non è di per sé una novità: storica è la logica “io mi interesso a te affinché tu ti interessi a me di rimando” e tante sono le realtà bancarie finite in tale gioco.

Ma in tale circostanza non possono non sorgere perplessità di fronte alla reazione della Lega e del suo segretario Salvini, i quali all’urlo di “Unicredit banca straniera” hanno dipinto l’OPS di Orcel come una minaccia alla possibile creazione del polo bancario tra banco BPM e Monte dei Paschi.

Ma ha davvero senso una tale opposizione? Perché Unicredit ha interesse per Banco BPM?

Andiamo con ordine.

Elaborazione di V. Barbiero, immagine di Filip Rankovic Grobgaard/ Pexel, Wikimedia commons

Unicredit banca straniera? Questione complicata

Secondo Salvini, Unicredit è una banca straniera visto chi ne detiene il capitale.

Guardando ai dati forniti dalla stessa Unicredit, il suo capitale in effetti è detenuto in misura determinante da soggetti esteri (1):

Fonte: Unicredit

Tuttavia, questa informazione è completamente decontestualizzata:

  1. Unicredit è un gruppo bancario che nasce nel 1998 dalla fusione dei gruppi di Credito Italiano e Unicredito, la cui sede legale e storica è a Milano; in quanto tale è un soggetto di diritto italiano e, in qualità di soggetto significativo, viene direttamente vigilata dalla BCE;
  2. a livello geografico è sì presente in 13 paesi europei (specialmente Est Europa) e in altre realtà extra-UE con una relativa rete internazionale di supporto, ma i dati di bilancio 2023 indicano l’importanza del mercato italiano per la banca (2): il 46% degli utili sono realizzati in Italia;
  3. Unicredit è una public company.

Quest’ultimo aspetto è fondamentale da capire.

Una public company è una società quotata in Borsa ad azionariato diffuso, cioè il capitale societario è detenuto da un numero elevato di azionisti a livello tale per cui nessuno esercita un potere di indirizzo/governo.

Nel caso di Unicredit, il flottante è pari al 100% e, di questo, l’85% è detenuto da investitori professionali che sì sono in maggioranza stranieri, ma nessuno di essi è azionista di controllo e non vi è alcun patto di sindacato o di consultazione.

E badate bene: la denuncia della presenza di patti di sindacato, cioè di accordi tra azionisti, non è un’eventualità, bensì una specifica previsione ex art. 122 TUF prevista per garantire la massima trasparenza del mercato azionario.

Banco Popolare di Milano: difendete le banche di prossimità!

Se quindi abbiamo chiarito che Unicredit non è una minaccia straniera e che da sempre la politica italiana si interessa alle vicende del nostro sistema bancario, il caso in esame è “scottante” in termini politici. Perché?

Perché nel nome di BPM vi sono due termini importanti e strettamente interconnessi: Popolare e Milano.

Popolare

Per chi ha studiato la finanza italiana non è una novità: Popolari e BCC sono altresì note come le c.d. banche di prossimità, gli istituti legati al territorio che sostenendone i consumi e le PMI ne favoriscono lo sviluppo, forti dello loro spirito cooperativo.

Se guardiamo alla storia, ciò è innegabile.

Queste tipologie di istituti nascono nell’Ottocento per sopperire alle necessità creditizie di artigiani, commercianti e piccole imprese (Popolari), ovvero alle comunità rurali e periferiche (BCC), portando nel tempo a sviluppare l’idea che sono migliori per il territorio perché a differenza delle grandi banche commerciali lo conoscono meglio.

In termini politici, la loro difesa ha dunque un preciso significato: difendo le banche del territorio per difendere il loro sostegno a quest’ultimo.

Ma è la storia stessa a insegnarci che un tale sistema non poteva reggere.

Tra mala gestione, conflitti di interessi, governance poco trasparente e incapacità di raccogliere adeguate risorse per fare i necessari investimenti, si è formato un bubbone che è poi scoppiato nella crisi delle Popolari e delle BCC del decennio scorso, con l’annessa necessaria riforma legislativa a firma Renzi che era stata più volte sollecitata dalla stessa Banca d’Italia.

Milano

Milano non è solo un richiamo al territorio, valore questo comune a tutti i partiti della maggioranza, ma è il richiamo a una città che per loro è importante tra origini e connessioni storiche (Forza Italia, Lega), ovvero di crescente interesse per l’elettorato (Fratelli d’Italia).

E su tali basi, possiamo ora interrogarci sul perché Unicredit voglia acquisire BPM.

È un caso di Davide Vs Golia? No, è solo una questione di affari. Affari importanti per Unicredit e per il nostro sistema bancario.

Unicredit: acquistare BPM per rafforzarsi

Unicredit in realtà aveva già manifestato interesse per BPM nel 2021, ma il tutto si risolse in un nulla di fatto. Perché quindi tornare all’attacco?

Se da una parte sappiamo che l’acquisizione di Commerzbank è al momento ferma, dall’altra sono essenzialmente due i motivi che spingono Orcel a promuovere l’OPS: difendersi a livello italiano e rafforzarsi a livello europeo.

1) Italia: assorbire un concorrente per riprendersi la corona?

Unicredit non è più la prima banca italiana da diverso tempo.

Per quanto abbia importanti risultati, le scelte manageriali del decennio scorso (focalizzate su una pesante espansione all’estero) non si sono rivelate buone per l’istituto, mentre Intesa Sanpaolo si consolidava a livello italiano migliorando redditività e penetrazione del mercato.

In tale lotta, l’acquisizione di BPM si rivelerebbe un colpo importante per Unicredit.

Nata nel 2017 dalla fusione tra Banca Popolare di Milano e Banco di Brescia e Milano, i suoi dati sono significativi (3):

  • è radicata nel nord Italia: Lombardia (528 sportelli), Veneto (169), Piemonte (157) e Emilia Romagna (150);
  • gli interventi nell’efficienza operativa e nel derisking (esposizione crediti deteriorati) hanno rafforzato ricavi e utili dell’istituto, migliorandone la patrimonializzazione (CET 1), la redditività (ROE), nonché la possibilità di praticare un minor costo del credito grazie alla migliore gestione del rischio.

Ma non basta: Banco BPM detiene asset significativi e sta portando avanti un piano industriale importante.

Le attività di Unicredit sono storicamente condizionate da due aspetti:

  1. nonostante le molteplici banche territoriali acquisite, l’attività della banca è sempre stata focalizzata sulla clientela di maggiori dimensioni, politica commerciale derivante dal Credito Italiano;
  2. durante la gestione Mustier vi è stata una pesante riorganizzazione dell’attività societaria verso il suo core business, il che si è tradotto nella cessione di realtà come Pioneer e Fineco, con successiva apertura di rapporti strategici per l’asset management (4).

Quest’ultimo punto è rilevante.

A livello di strategia bancaria, per una banca di grandi dimensioni è necessario – sempre che si riesca a farlo in modo efficiente – fornire servizi a 360 gradi alla propria clientela, altrimenti rischia di perdere redditività dai bisogni legati al finanziario e all’assicurativo.

Per questo BPM è una realtà importante.

La sua storica presenza nella bancassicurazione, ove solo nell’ultimo anno ha concluso diverse operazioni di acquisizione/cessione e partnership (5), unito all’investment banking (banca Akros) e all’operazione di acquisizione di Anima Holding (principale gruppo indipendente di asset management italiano), potrebbe dare a Unicredit nuova linfa da diversificazione.

2) rafforzarsi a livello europeo: la necessità di grandi player

Assumendo che l’acquisizione riesca poi a tradursi in un’integrazione di successo tra i due istituti, Unicredit vedrebbe dunque rafforzata la sua competitività europea e internazionale, dando potenzialmente vita – fermo restando i vari processi di fusione e acquisizione in corso – alla terza banca europea per capitalizzazione.

Tale consolidamento, o più in generale il consolidamento del settore bancario, per quanto sia additato maleficamente da qualcuno, è in realtà un tema cruciale per il futuro dell’Europa, come ha più volte evidenziato lo stesso Mario Draghi.

L’Europa è una realtà bancocentrica: le banche giocano un ruolo primario per il finanziamento del nostro sistema.

Il consolidamento del settore bancario non è poi di per sé una novità; esigenze di efficienza, diversificazione e migliore gestione del rischio spingono le banche ad unirsi: solo gli istituti di maggiore dimensione hanno la capacità di assorbire gli shock grazie alla diversificazione e alla solidità patrimoniale.

Fermo restando comunque che questo non voglia dire che qualsiasi operazione di acquisizione o fusione sia di per sé benefica (in Unicredit ne sanno ben qualcosa), Draghi sia durante il mandato alla BCE che nel "The Future of Europe’s Financial Integration and Competitiveness" (alias, Rapporto Draghi 2024) (6) ha segnalato l’incompleta unione del mercato unico dei capitali, un problema critico per la nostra competitività.

Il suo rilancio infatti (capitolo 5 del Rapporto) richiede ingenti investimenti finanziati principalmente dal settore privato, ma ciò non è possibile se non si supera il frazionamento del mercato dei capitali a livello UE: solo un’Unione completa può permettere i flussi finanziari e l’innovazione necessaria.

E non è solamente questione di uniformità delle leggi o di un ente di vigilanza unico: sono necessarie altresì banche di dimensione europea.

In difetto, i nostri istituti bancari – piccoli e frammentati – non saranno nelle condizioni di competere con i colossi statunitensi o asiatici, lasciando così il nostro sistema economico debole.

Conclusioni: Salvini politicamente agitato agita spettri

Possiamo dunque concludere che il comportamento di Salvini e dei suoi (ivi incluso lo spauracchio della golden power) è un puro esercizio di propaganda, un misto mare delle peggiori figure retoriche e strategie comunicative da lui storicamente usate.

Dall’appello al nemico esterno alla difesa dell’interesse nazionale, dalla semplificazione dello straw man (argomento dell’uomo di paglia) all’attacco ad hominem, Salvini interviene ormai su tutto ciò che a suo avviso genera interesse nell’elettorato, nel tentativo di riprendere il consenso elettorale perduto per effetto carrozzone (c.d. tecnica del bandwagon).

Interventi a caso. Interventi disperati. Interventi pericolosi.

Interventi che minano i legittimi processi di mercato ricorrendo – per l’ennesima volta – alla minaccia di un’azione politica dirigista, come se il nostro sistema economico non avesse già subito a sufficienza una tale ingerenza clientelare e distruttiva.

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