I salari non sono il problema ma la conseguenza

Da mesi si parla della necessità di fissare un salario minimo a 9 euro lordi orari perché i salari italiani sono troppo bassi.

Sull’argomento hanno gia’ scritto Michele Boldrin e Federico Fatello quindi non mi ci soffermerò, ma mi premeva provare a mostrare che i bassi salari italiano non sono il problema, bensì la conseguenza di ciò che ritengo il problema: il basso livello del capitale umano.

Cosa si intende per capitale umano?

Con capitale umano si fa riferimento all'insieme delle abilità, delle conoscenze, delle competenze, dell'istruzione e delle esperienze acquisite da un individuo o da una popolazione. Queste risorse umane sono considerate un elemento fondamentale per il progresso economico e sociale di una società. Il capitale umano include sia le competenze tecniche specifiche (come le abilità professionali) che le abilità cognitive più generali (come la capacità di apprendere, di risolvere problemi e di adattarsi ai cambiamenti).

Qual e’ la situazione italiana?

Utilizzando i dati OCSE relativi al livello di istruzione è possibile vedere che il capitale umano italiano è in una condizione disastrosa se confrontata a quella tutti gli altri paesi membri di quell’organizzazione.

Nel 2022 la percentuale di laureati per la coorte di età 55-64 nei grandi Paesi europei era la seguente:

  • Italia  12.4%
  • Polonia 17.5%
  • Francia 27.7%
  • Germania 28%
  • Spagna 30.2%

Vale a dire che in Italia ci sono meno della metà (in rapporto percentuale) dei laureati di Spagna, Francia e Germania e siamo anche molto lontani dalla Polonia che presenta ben 5 punti percentuali in più di noi.

Osservando la coorte 25-34 la situazione migliora, ma continua a vederci verso la fine della classifica.

Sempre utilizzando il 2022 come anno di riferimento la percentuale della popolazione di età compresa tra 25-34 con almeno una laurea è:

  • Italia  29.2%
  • Polonia 40.5%
  • Francia 50.4%
  • Germania 37.3%
  • Spagna 50.5%

Qualora questi numeri non bastassero a far capire la gravità della situazione ho pensato di  ampliare la fetta di popolazione da mettere sotto i riflettori, quindi mi sono concentrato sulla fascia di eta’ 25-64 che comprende la quasi totalità della nostra forza lavoro. I residenti italiani con almeno la laurea sono il 20.3%, quelli col diploma il 42.7% e coloro che non hanno il diploma sono addirittura il 37%. Dal grafico sottostante è possibile vedere la grande distanza con i Paesi con cui ci dovremmo confrontare. Per semplificare, si potrebbe dire che avere il triangolo (coloro con almeno la laurea) molto in alto e il cerchio (coloro con al massimo la terza media) molto in basso sia bene.

Si potrebbe pensare che quel gigantesco 37% sia solo causa degli over 50 e che la situazione sia nettamente migliorata negli anni ma i dati (visualizzabili nella tabella sottostante) dicono che nonostante il miglioramente delle nuove generazioni (25% dei maschi e 19% delle femmine con al massimo la terza media) l’Italia si trova molto lontana rispetto alla media OCSE, per non parlare poi dei Paesi Europei o del G7.

 

A cosa e’ dovuta questa bassa attenzione allo studio?

Per chi come me viene da un piccolo paese agricolo viene spontaneo ricordare frasi comuni che tanti miei coetanei si sono sentiti dire come ad esempio “se non hai voglia di studiare non farlo e vieni in campagna con me, almeno aiuti un po’” oppure “io ho la quinta elementare eppure ho cresciuto una famiglia, ho una casa e una macchina”. Naturalmente l’aspetto aneddotico ha poco valore ma pare evidente che l’importanza data allo studio sia in generale bassa. Questo si riflette anche sulla domanda di lavoro che vede, secondo i dati Eurostat, un 20.2% di personale overqualificato per il tipo di attività svolta. Valore che cresce a dismisura per gli stranieri, specialmente se extraeuropei. In quest’ultimo caso il numero di overqualificati si avvicina al 70%. È possibile avere informazioni più specifiche sulla domanda di lavoro utilizzando i dati ISTAT-UnionCamere relativi al 2019 (ultimo dato disponibile). 
Per quell’anno le imprese del settore privato con almeno un dipendente prevedevano di assumere 2.983.220 dipendenti:

  • il 21.6% senza una formazione specifica
  • il 30.1% con una qualifica professionale
  • il 35.1% con un diploma
  • il 13.2% con almeno la laurea 

Eppure, anche in Italia, avere la laurea aumenta la probabilità di essere occupati. 
Controllando i dati ISTAT è possibile vedere che la distanza tra il tasso di occupazione di laureati e non laureati è marcata. Nella fascia di età 20-64 il tasso di occupazione dei laureati nel 2022 era dell’80.6%, superiore di circa 13 punti rispetto ai diplomati fermi a 67.3%.

 

Andando a dividere i dati per cittadinanza vediamo ancora una volta una differenza molto marcata tra italiani e stranieri. Infatti,  vedendo i dati per i soli italiani, non si vedono differenze marcate rispetto ai valori generali ma la situazione cambia drasticamente quando si vanno a controllare gli stranieri. In quest’ultimo caso, come riportato nel grafico sottostante, praticamente non c'è differenza tra lo studiare e il non studiare.

Questo esula lo scopo dell’articolo ma avere differenze così marcate tra italiani e stranieri non è di sicuro qualcosa che fa ben sperare per il futuro. Infatti, considerando la nostra popolazione in declino, sarebbe bene mostrare attenzione alla valorizzazione delle capacità degli immigrati e non trattare tutti indipendentemente da esse.

Restando sul tema è necessario far vedere che, nonostante il premio occupazionale per la laurea esista, è comunque inferiore a quello degli altri Paesi Europei, specialmente quando ci si focalizza sui neolaureati. Nella mappa riportata di seguito prodotto da Eurostat vediamo che il tasso di occupazione per i neolaureati (1-3 anni dalla laurea) italiano è il fanalino di coda  in Europa con un misero 65.2%.

La differenza è presente ed è positiva anche per quanto riguarda le retribuzioni, infatti, in base ai dati ISTAT relativi al 2020, la mediana della retribuzione lorda oraria per i dipendenti privati ammonta a 11.95 euro per i diplomati e a 14.57 euro per chi ha almeno la laurea. Vale a dire che la differenza media si avvicina al 22%.
Utilizzando i dati provinciali ho prodotto due grafici che mostrano le 20 province con il miglior e il peggior premio per lo studio, ossia la differenza percentuale tra la retribuzione mediana oraria per i diplomati e per i laureati. Dai grafici è possibile notare il premio per la laurea e’ presente, in dimensioni diverse, in ogni città provincia italiana.

 

Studiamo poco e male

Purtroppo le cattive notizie non si fermano a quelle mostrate in precedenza. Andando a controllare i gli ultimi dati relativi al test PISA (Programme for International Student Assessment), ossia ad un’indagine internazionale promossa dall'OCSE con periodicità triennale per accertare le competenze dei quindicenni scolarizzati, possiamo vedere che i giovani italiani non performano benissimo (eufemismo).

Dal report si legge:

“Nel 2018, l'Italia ha ottenuto un punteggio inferiore alla media OCSE in lettura e scienze, e intorno alla media OCSE in matematica. La prestazione media in Italia è diminuita, dopo il 2012, in lettura e scienze, ed è rimasta stabile (e al di sopra del livello osservato nel 2003 e nel 2006) in matematica. La prestazione nella lettura è diminuita, in particolare, tra le ragazze (ed è rimasta stabile tra i ragazzi). Il rendimento in scienze è diminuito in modo più marcato tra gli studenti con i risultati più alti, in misura simile sia per i ragazzi che per le ragazze. In tutte e tre le materie, la prestazione media in Italia è stata inferiore a quella di Belgio, Francia, Germania, Paesi Bassi, Polonia, Slovenia, Svezia e Regno Unito (tra gli altri paesi). L’Italia ha ottenuto un punteggio simile a quello del Portogallo e della Spagna in matematica, ma inferiore a questi due paesi in scienze e inferiore al Portogallo in lettura, e ha ottenuto un punteggio simile alla Svizzera in lettura, ma inferiore alla Svizzera in matematica e scienze.”

 

Un altro dato da non sottovalutare riguarda la poca partecipazione ai percorsi di formazione. Secondo i dati OCSE quasi l’80% degli italiani tra i 26 e i 65 anni non partecipa a nessun corso di formazione, vale a dire che per la maggior parte delle persone la formazione si conclude con il percorso scolastico.

Questo si riflette anche sui risultati del test PIACC (Programme for the International Assessment of Adult Competencies) in cui possiamo leggere:

“Il punteggio medio di competenza degli adulti italiani in alfabetizzazione è significativamente inferiore alla media dei paesi OCSE che partecipano all’Indagine sulle competenze degli adulti. In matematica, il punteggio medio di competenza è significativamente inferiore alla media.

In Italia, la popolazione giovane adulta (25-34 anni) ha un punteggio di alfabetizzazione pari a 260 , rispetto alla media di 277 dei paesi OCSE partecipanti all'indagine. In matematica, il loro punteggio è 262 (272 in media). In entrambi i campi, gli adulti più giovani ottengono punteggi più alti rispetto ai loro colleghi più anziani (55-65 anni).

Più di un quarto della popolazione adulta (16-65 anni) non riferisce di avere alcuna esperienza precedente con i computer o di non avere competenze informatiche di base.

In Italia, il 27,7% degli adulti ha il punteggio più basso in alfabetizzazione e il 31,7% un punteggio basso in matematica.”

 

Quantificazione del capitale umano

Dopo aver esposto i dati più significativi sulla situazione italiana ritengo necessario evidenziare un lavoro meritorio che fece l’ISTAT nel 2008 e che spero che ripeterà in futuro. In questo report l’istituto provò a dare una quantificazione monetaria del capitale umano e le conclusioni furono:

“Le stime relative alle sole attività di mercato (riferite alla popolazione in età 15-64 anni) per il 2008 mostrano che lo stock di capitale umano è pari a circa 13.475 miliardi di euro, cioè un valore quasi 2,5 volte superiore al capitale fisico netto del nostro Paese e oltre otto volte superiore al Pil. In temini pro capite la stima indica che il capitale umano di ciascun italiano equivarrebbe a circa 342 mila euro.

Lo stock di capitale umano non è uniformemente distribuito tra i diversi gruppi della popolazione: le stime per genere, per età e per livello d’istruzione della popolazione mostrano come gli uomini abbiano un capitale umano relativo alle attività di mercato più elevato rispetto alle donne (66 per cento contro 34 per cento); lo stesso vale per i più giovani rispetto ai più anziani e per le persone con istruzione superiore. “

Un lavoro più recente effettuato dall’OCSE prova a stimarne il valore utilizzando i valori dei test PISA, PIACC e la media degli anni di istruzione in modo da avere degli indicatori sia qualitativi che quantitativi. Considerando ciò che abbiamo visto poco fa, i risultati non potevano che essere disastrosi. Per questione di sintesi qui riporto solo il grafico che ci mostra ben lontani dai nostri partner europei.

Conclusioni

Come anticipato, lo scopo di questo articolo era quello di mostrare (dati alla mano) che il vero problema dell'Italia non risiede nel basso livello dei salari, ma in ciò che genera questa spiacevole conseguenza, vale a dire il basso livello del capitale umano. Sperando di non avervi messo troppo sconforto, l’auspicio è di avervi fornito gli strumenti necessari per comprendere al meglio la situazione e, magari, per poter chiedere interventi dove è piú necessario: nella scuola

 

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