Con l’imprevedibilità del nuovo presidente degli Stati Uniti in materia di politica estera, il dibattito sull’istituzione di un esercito europeo è tornato al centro dell’agenda dell’Unione.
In un contesto di crescente incertezza e instabilità, numerosi leader europei - insieme a opinionisti e analisti - chiedono con sempre maggiore insistenza la creazione di una forza militare comune e una strategia condivisa di politica estera e di difesa tra i 27 Stati membri. L’obiettivo sarebbe rafforzare l’autonomia strategica dell’UE, collaborando strettamente anche con altri paesi europei della NATO non appartenenti all’Unione, come il Regno Unito e la Norvegia.
Dopo lo scontro tra Zelensky e Trump nello Studio Ovale e la pausa negli aiuti militari statunitensi all'Ucraina, è ormai chiaro che l'Europa si trovi a fronteggiare una crescente incertezza riguardo al supporto militare e alla cooperazione in difesa da parte degli Stati Uniti. In questo contesto, la Commissione Europea ha lanciato il piano "ReArm Europe", una serie di misure mirate a rafforzare il riarmo dell’Europa e ad aumentare la spesa militare degli Stati membri dell'Unione. Questa proposta arriva in un momento in cui la protezione militare, che per decenni è stata garantita dagli Stati Uniti, appare sempre più incerta.
Il piano proposto dalla Commissione europea prevede due misure principali. La prima consiste in una clausola di salvaguardia che consentirà agli Stati membri di aumentare il debito per finanziare le spese militari, senza violare le disposizioni del Patto di stabilità e crescita, che limita gli eccessi di spesa. In pratica, si tratterà di un’eccezione al Patto: i paesi potranno incrementare il loro debito oltre i limiti previsti, a condizione che la spesa aggiuntiva sia destinata alla difesa, senza incorrere in procedure di infrazione da parte della Commissione. Questa eccezione avrà un limite complessivo di 650 miliardi di euro per un periodo di quattro anni, permettendo ai paesi di aumentare la loro spesa militare fino all’1,5% del PIL rispetto ai livelli attuali. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, aveva anticipato la possibilità di proporre questa clausola di salvaguardia circa un mese fa.
La seconda misura riguarda la creazione di un nuovo fondo da 150 miliardi di euro, che la Commissione metterà a disposizione degli Stati membri per finanziare le proprie spese militari. Sebbene non sia ancora chiaro da dove provengano i 150 miliardi, i media hanno ipotizzato che possano essere utilizzati i circa 100 miliardi rimasti inutilizzati nel Fondo europeo per la ripresa, ossia il fondo che finanzia i PNRR (Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza), che non sono stati richiesti dai paesi membri.
Mercoledì 12 marzo il Parlamento Europeo ha espresso il suo sostegno politico tramite una risoluzione - il che significa che il Parlamento approva il piano a livello politico, ma non ha potere decisionale diretto sulla sua adozione. Infatti, la Commissione europea ha scelto di procedere bypassando il processo legislativo, facendo riferimento all’Articolo 122 del Trattato, che le consente di agire direttamente attraverso il Consiglio. L’approvazione finale del piano dipenderà dai governi dei 27 Stati membri dell'Unione Europea, che dovranno esaminare la proposta e dare il loro via libera definitivo.
L'idea di creare un esercito comune europeo non è una novità per l'Unione. Il primo progetto risale infatti all'estate del 1950, quando la crescente minaccia comunista - rappresentata dall'inizio della guerra di Corea - spinge Jean Monnet, commissario generale del Piano francese e architetto del Piano Schuman (1), a proporre un progetto di difesa europea. Il suo obiettivo era quello di creare una struttura di difesa sovranazionale che integrasse le forze armate dei paesi europei sotto un'unica autorità, simile alla proposta per la Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio (CECA).
Nell'ambito di questa iniziativa, gli Stati Uniti chiesero ai loro alleati di preparare il riarmo della Repubblica Federale di Germania (RFA), visto che il paese doveva essere riabilitato nel contesto della Guerra Fredda. Monnet, vedendo questa opportunità, presenta la sua proposta a René Pleven, presidente del Consiglio francese ed ex ministro della Difesa, che nel 1950 la sottopone all'Assemblea nazionale.
Il progetto, che prevede la creazione di una Comunità Europea di Difesa (CED), avrebbe dovuto integrare le unità tedesche all'interno di un esercito comune europeo, sotto il controllo di un'autorità militare e politica unificata. Tale struttura avrebbe offerto all'Europa una difesa comune, rafforzando la cooperazione tra gli Stati membri, con l'idea di scongiurare il rischio di un conflitto interno e rispondere alla minaccia sovietica.
Il progetto, pur riscuotendo il favore della maggior parte degli Stati occidentali, incontrò una forte resistenza in Francia, dove il dibattito politico sull'integrazione europea, in particolare in ambito militare, suscitò preoccupazioni sul controllo nazionale della difesa. Alla fine, nel 1954, l'Assemblea Nazionale Francese respinse il trattato che avrebbe istituito la CED, minando definitivamente le prospettive del progetto.
Il rifiuto di ratificare la CED comportò non solo la fine di questa iniziativa, ma anche l'abbandono del parallelo progetto di una Comunità Politica Europea (CPE), che sarebbe stata l'istituzione complementare necessaria per dare corpo all'integrazione politica dell'Europa. Così, la CED venne abbandonata, segnando un punto di stallo nella storia della cooperazione militare europea, che solo molti decenni dopo avrebbe visto nuove iniziative per la costruzione di una difesa comune.
L'istituzione di un esercito di difesa europeo comporterebbe numerosi vantaggi, tra cui una maggiore indipendenza strategica, un'ottimizzazione delle risorse e una maggiore capacità operativa. L'Unione Europea potrebbe ridurre le duplicazioni, favorire una condivisione più efficiente di equipaggiamenti e competenze e rafforzare la coesione tra gli Stati membri in ambito difensivo.
Una difesa europea potrebbe essere concepita come un insieme di strategie, capacità e risorse mirate a tutelare gli interessi e la sicurezza degli Stati membri, garantendo la protezione dei confini esterni dell'UE contro minacce quali l'aggressione militare e il terrorismo internazionale.
In particolare, la creazione di una difesa europea ridurrebbe la dipendenza dell'Unione da alleanze esterne, come la NATO o gli Stati Uniti, permettendo all'Europa di sviluppare una maggiore autonomia strategica nelle questioni di sicurezza e difesa. Questo rafforzerebbe il ruolo dell'UE sulla scena internazionale, consentendole di assumere una posizione più attiva e responsabile nella gestione delle crisi regionali e globali, oltre a contribuire alla promozione della stabilità e della pace nel mondo.
L’idea che l’Unione Europea stia creando un esercito paneuropeo in grado di arruolare cittadini degli Stati membri è spesso utilizzata per criticare la leadership e la direzione politica del blocco. Tuttavia, la possibilità concreta di dar vita a una forza militare europea unificata non è mai stata seriamente presa in considerazione, principalmente a causa di ostacoli politici ed economici significativi.
Le decisioni in materia di difesa sono estremamente sensibili poiché strettamente legate agli interessi nazionali. Pensare che 27 Stati membri, con l’aggiunta del Regno Unito, possano rapidamente creare una catena di comando centralizzata, con uno Stato Maggiore capace di coordinare le forze dei Paesi volenterosi, appare oggi più un'ipotesi da manuale di studi strategici che una possibilità concreta.
Uno degli ostacoli principali alla nascita di un esercito europeo è spesso sottovalutato: le Costituzioni dei singoli Paesi dell’UE assegnano il controllo delle forze armate ai rispettivi governi nazionali. Un esercito comune richiederebbe un comando politico unico e gerarchico, con regole d’ingaggio chiare e non ambigue. Tuttavia, un comando militare monocratico non può essere esercitato attraverso decisioni assembleari: in democrazia, l’uso della forza armata deve essere autorizzato dai Parlamenti, ma una volta dato il via libera, il comando deve essere rigido e univoco.
Oggi, in Europa, il comando delle forze armate è profondamente disomogeneo dal punto di vista istituzionale. In Francia e Italia, il comando delle forze armate spetta al Presidente della Repubblica, mentre in Germania, un paese federale, in tempo di pace è in capo al Ministrodella Difesa, ma in tempo di guerra passa al Cancelliere. In Spagna, una monarchia, il comando è prerogativa del Re, una figura non elettiva. In altri Paesi, il comando può essere affidato al Capo dello Stato o al Primo Ministro, a seconda delle specifiche strutture istituzionali. Questa varietà di modelli riflette le differenze nelle costituzioni nazionali e rende difficile concepire un sistema di comando unificato e centralizzato per un potenziale esercito europeo.
Se analizziamo la storia dell’integrazione europea e gli orientamenti delle opinioni pubbliche, risulta difficile immaginare la nascita di una vera e solida difesa comune nel prossimo futuro. Realisticamente, l’unica strada percorribile potrebbe essere il rafforzamento del pilastro europeo all’interno della NATO, piuttosto che la creazione di un esercito indipendente. La maggior parte degli Stati membri della NATO appartiene già all’Unione Europea e, anziché integrare le proprie forze sotto il comando europeo, un maggiore allineamento all’interno dell’Alleanza Atlantica potrebbe rappresentare la soluzione più efficace per la sicurezza dell’Europa.
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