Questa riflessione m'è sorta a seguito d'un messaggio di una amica - ricercatrice in genetics and genomic sciences alla Icahan School of Medicine, Mount Sinai, NYC - che mi descriveva come (nelle zone sciistiche del New England) le attivita' di i luoghi di montagna siano aperti con regolazioni piuttosto precise su hotel, ristoranti, saune e altri luoghi chiusi dove siano probabili assembramenti. Le regolazioni tendono ad evitare assembramenti al chiuso, ovvero le occasioni di gran lunga principali di contagio. Al contempo vengono permesse, con le ovvie regole di distanziamento e mascherina in presenza d'altri, le attivita' all'aperto. Logico, semplice, normale ...
Qual è il punto? Che se c'è un rischio di super spreading sta negli hotel, anzi in certi spazi degli hotel: ristoranti, spa, hall affollate. Quindi bisogna regolare come le persone si comportano in quei luoghi perche' quelli sono le potenziali superspreading location. Lo spreading del contagio non avviene certo sulla montagna o sciando e nemmeno usando gli impianti di risalita.
Fatto importante: un ristorante, una spa, la hall di un hotel o un negozio sono luoghi di potenziale alto contagio ovunque si trovino, in montagna o in citta', al mare o in collina. Conta il tipo di luogo ed i livello di assembramento incontrollato a cui puo' dare luogo.
Questa osservazione ci porta alla domanda veramente importante - di non facile risposta ma la unica davvero importante - quella CONTROFATTUALE. Eccola:
Permettere che N migliaia di persone vadano dalla città alla montagna (al mare, in collina ...) per fare attività fisica all'aria aperta AUMENTA O DIMINUISCE il rischio di spreading rispetto al fatto che rimangano in città durante lo stesso numero di giorni?
SE non vanno in montagna (mare, eccetera) hanno due scelte: o ben rimangono in città durante il periodo o decidono di fare vacanze in hotel di altre città o di altri luoghi "permessi".
Fare questo, che e' L'UNICA ALTERNATIVA POSSIBILE, aumenta o diminuisce il contagio rispetto all'andare in montagna (mare, collina, ...)?
Se impedisci ad N migliaia di persone di andare in montagna per qualche giorno NON e' che durante quei giorni si isolano in frigo. Fanno altre cose nella loro città o in città simili. Questo è + o - rischioso (in termini di contagio) che andare a sciare? Ecco, QUESTA e' la domanda che un policy maker resposabile dovrebbe farsi. Questa e' anche la domanda che gli elettori dovrebbero farsi.
Questo vale per ogni scelta di proibire una attivita': se non fanno X, che ho proibito, cosa faranno i cittadini? Se proibisco loro di uscire la sera per andare in ristoranti dove posso far rispettare regole di distanziamento cosa faranno? Staranno in frigo? Non faranno cene in casa con i vicini, senza quelle regole? Non si troveranno, i giovani, nei garage sotto casa? Eccetera.
Fare seriamente public health policy richiede rispondere a questa domanda. Evidentemente chi crede sia il caso di impedire la montagna o il mare o uscire dopo le 21 o le 22, ritiene che in città ci sia un rischio di contagio minore o che rimanendo chiusi negli appartamenti dei palazzi le persone non si incontrino.
Non mi sembra che vivere in città o in hotel di città sia meno rischioso che andare in montagna a sciare con precauzioni "stile New England", anzi ... ma forse qualcuno ha dei dati che dicono l'opposto. I dati che io vedo non lo dicono, anzi dicono il contrario.
Il policy maker italiano che dati ha? Su quali dati basa le proibizioni che ci impone?