Ritiri, attentati, cambi di leadership, accuse, dibattiti. Endorsement, mobilitazioni, proteste in redazione.
Questi gli ultimi mesi di politica elettorale che hanno visto gli Stati Uniti alle prese con una serie di eventi quasi da fiction.
E martedì prossimo, 5 novembre, nel momento in cui più di 50 milioni di cittadini americani hanno già votato nel voto anticipato e per posta, assisteremo al rush finale Trump-Harris, che delineerà il futuro della maggiore potenza economica globale e dei più delicati equilibri politici internazionali.
Le elezioni presidenziali negli Stati Uniti si svolgono il martedì successivo al primo lunedì di novembre, una scelta adottata per evitare che l’Election Day coincida con il 1° novembre, giorno di Ognissanti.
Gli elettori scelgono 538 membri dell’Electoral College, l’organo istituzionale che a sua volta elegge il Presidente e il Vice Presidente degli Stati Uniti. Questo numero corrisponde alla somma dei membri della House of Representatives e della House of Senate, più tre rappresentanti eletti dalla capitale Washington D.C. Ogni Stato elegge 2 Great Electors, a cui si aggiunge un numero variabile di altri elettori basato sulla popolazione dello Stato secondo l’ultimo censimento [la somma rispecchia esattamente il numero di senatori e rappresentanti che ogni Stato elegge alle due Camere].
Prima delle elezioni i partiti politici selezionano i candidati per il ruolo di grandi elettori. Il giorno delle elezioni i cittadini votano per una coppia di candidati alla presidenza ed alla vicepresidenza. Il candidato che ottiene anche solo un voto in più in uno Stato vince tutti i seggi elettorali di quello Stato.
L’Electoral College si riunisce a metà dicembre per votare ufficialmente il Presidente ed il Vice Presidente, che hanno bisogno di 270 voti per essere confermati. Se durante le votazioni nessun candidato ottiene il numero minimo di preferenze, il voto viene rinviato ed affidato al Congresso. I Great Electors non sono tenuti costituzionalmente a votare per i candidati del partito che li ha nominati: tuttavia, 22 dei 50 Stati degli USA hanno adottato delle leggi per vincolare i Great Electors a votare per i candidati del proprio partito.
I requisiti per candidarsi a Presidente e Vice Presidente degli Stati Uniti sono tre: essere cittadini americani per nascita, avere un’età superiore ai 35 anni ed aver vissuto sul suolo americano per almeno 14 anni. L’Inauguration Day si tiene il 20 gennaio ed il mandato dura per quattro anni.
Da una parte il tycoon, rappresentante il conservatorismo MAGA dai toni “Dio, patria e famiglia”, dall’altra Kamala Harris, Vice Presidente e leader confermata alla convention di partito dei democratici il 23 agosto in seguito al ritiro di Biden, simbolo dell’inclusione e paladina delle minoranze.
Dopo la nomination, Kamala Harris ha dichiarato che sarebbe «la prima donna, la prima donna nera e la prima donna asiatica americana a servire come Presidente». Durante il proprio discorso, non sono mancate le accuse a Trump, definito come responsabile dell'attacco del 6 gennaio 2021 a Capitol Hill e come campione dei propri interessi personali nell’ottenimento della carica presidenziale, che gli garantirebbe l’immunità per i procedimenti penali a suo carico.
Il vero campo di prova però per Harris è arrivato in occasione del dibattito televisivo del 10 settembre contro Trump. Se nell’ultimo scontro mediatico tra i partiti la performance di Biden ha messo fine agli oltre 50 anni di carriera politica dell’attuale presidente, ben diverso è stato l’esito di quest’ultimo confronto televisivo tra i candidati: Harris, preparata, precisa, tagliente, ha fatto scivolare Trump nelle questioni più scomode per lui e per il proprio partito e ha provocato fantomatiche dichiarazioni in merito alla questione dell’Afghanistan (un punto dolente per i democratici) e degli immigrati negli Stati Uniti. Un netto recupero per i democratici almeno sul piano mediatico, che non conferma con certezza però un guadagno elettorale, come dimostrerebbero anche i sondaggi, che se subito dopo la candidatura di Harris sembravano essere nettamente a suo favore, ora “non sono mai stati così incerti”.
Dando uno sguardo ai programmi, a livello economico i democratici puntano sul supporto mirato alla classe media, sull’eliminazione di alcuni tagli fiscali per i più ricchi introdotti da Donald Trump e sull’introduzione di una nuova tassa minima sui miliardari. Si aggiungono iniziative per aumentare l’offerta abitativa, per sostenere le piccole imprese e per riportare la manifattura negli Stati Uniti. Harris propone inoltre di promulgare un divieto federale nei confronti di quelle aziende che, durante le crisi inflazionistiche, aumentano i prezzi dei beni necessari come cibo ed alimenti al fine di ottenere profitti più elevati e si propone di espandere l'Affordable Care Act e il Medicare e di combattere i prezzi elevati dei farmaci contrastando l’azione delle aziende farmaceutiche intermediarie.
Harris intende guidare un'amministrazione “pro workers” per sconfiggere Trump: il programma prevede anche un aumento del salario minimo senza però specificare l'importo.
Il programma economico repubblicano si concentra sulla riduzione dei costi attraverso la deregolamentazione e l'aumento della produzione di petrolio e energia nucleare. Propone la reintroduzione della Tax Cuts and Jobs Act del 2017, che aveva uniformato le aliquote fiscali per le aziende in una singola al 21%, ed una politica commerciale protezionista.
Per affrontare i prezzi delle case, il partito promette di ridurli costruendo nuovi appartamenti, abbassando i tassi di interesse sui mutui, riducendo tasse e costi per chi acquista la prima casa ed eliminando regolamentazioni ritenute non necessarie. Inoltre, si impegna a ridurre i costi dell'istruzione superiore, dei medicinali e, nuovamente, dell'energia.
Il partito repubblicano si impegna a mantenere il Medicare.
Sul tema sicurezza e giustizia Harris enfatizza il rafforzamento delle restrizioni sulla vendita di armi insieme al finanziamento dell’attività degli psicologi nelle scuole mirata a prevenire le stragi e la violenza attraverso il supporto alla salute mentale.
Entrambi i candidati si concentrano sul contrasto all’immigrazione illegale, riguardo alla quale i MAGA si spingono fino a proporre il più grande “programma di deportazione di immigrati illegali".
Da parte democratica si vuole poi limitare l'immunità presidenziale e riformare la Corte Suprema per garantire limiti etici e temporali per i giudici mentre da parte repubblicana ci si impegna a bloccare ogni tentativo in questo senso.
Harris e Walz promettono di approvare il John Lewis Voting Rights Advancement Act e il Freedom to Vote Act, due progetti di legge destinate a estendere i diritti di voto che trova nettamente contraria la coppia Trump-Vance.
Gli affari esteri sono forse l’argomento dirimente nell'impressione della comunità internazionale. La posizione di Harris sulla Cina è quella di una visione concorrenziale, in cui gli Stati Uniti devono rafforzare le alleanze degli USA nel mondo, soprattutto con la NATO, investire nella produzione dei materiali e delle tecnologie chiave dell’economia moderna.
Sulla guerra israelo-palestinese, Harris esprime il suo sostegno all'autodifesa di Israele. Afferma che l’attuale amministrazione e, se eletta, la prossima, lavoreranno per raggiungere tregua a Gaza, che dovrebbe portare alla liberazione degli ostaggi israeliani ed al miglioramento delle condizioni di vita dei palestinesi nella Striscia attraverso anche la loro indipendenza ed autonomia.
Harris sottolinea poi il sostegno fornito finora all’Ucraina nella difesa contro l'invasione russa, ma non presenta proposte sul futuro del conflitto, ed esprime sostegno alla Corea del Sud confermando l'impegno verso l'alleanza tra questa e gli Stati Uniti in risposta alle recenti minacce della Corea del Nord di Kim Jong-un.
Infine, il programma democratico dedica un paragrafo al supporto per soldati, veterani e loro famiglie. Harris e Walz si concentreranno su prevenzione dei suicidi e miglioramento della cura psicologica per i veterani, contrasto al fenomeno dei veterani senzatetto e facilitazioni per il loro reinserimento nel mercato del lavoro civile.
Il programma repubblicano si concentra sul rafforzamento della politica estera e della difesa, criticando l'amministrazione Biden per la debolezza che avrebbe condotto ad un deterioramento della posizione globale degli Stati Uniti. Per porre rimedio a questa situazione, Trump propone l’introduzione nel mondo della difesa di nuove tecnologie, come la creazione di un Iron Dome americano e salari più alti per i soldati.
I repubblicani considerano di vitale importanza rafforzare le alleanze con Israele e con i paesi del Pacifico in un’ottica anti-cinese. È anche promessa l’immediata pace in Europa, alludendo evidentemente all’impegno dichiarato di Trump di porre fine alla guerra in Ucraina.
Sul versante cultura ed educazione i democratici promettono di sostenere l'approvazione di una legge federale per proteggere il diritto all'aborto, che è stato delegato ai singoli Stati dopo l'annullamento della sentenza Roe v. Wade nel 2022. Il programma prevede diverse misure a sostegno dell'educazione pubblica e per garantire l'accesso ai servizi per l'infanzia e di pre scuola agli studenti provenienti da famiglie a basso reddito. È prevista un'espansione delle borse di studio Pell, destinate agli studenti universitari a basso reddito, il sostegno alle scuole per minoranze e l'accesso più ampio al college attraverso il finanziamento del debito studentesco ed il supporto a programmi di formazione professionale.
Il partito repubblicano mira a rinnovare la civiltà americana attraverso politiche che descrive basate sul buon senso, che rafforzano la famiglia, ripristinano la legge e l'ordine, supportano i veterani ed onorano la storia del paese. Il piano prevede il sostegno alle famiglie, incentivando il matrimonio ed aiutando i genitori lavoratori e la difesa dei diritti alla vita, in particolare opponendosi all'aborto tardivo ed all’uso di fondi pubblici per pagare le spese mediche per la transizione di genere.
Riguardo al mondo dell’istruzione, Trump e Vance promettono di rafforzare le scuole K-12, che forniscono un'educazione continuativa dai 5 ai 18 anni, puntando su un maggiore controllo da parte dei genitori sull'educazione dei figli e sull'esclusione di tematiche politiche dalle aule. Il partito propone un sistema in cui gli insegnanti ricevano compensi variabili in base alla professionalità dimostrata. Inoltre, il programma prevede la chiusura del Dipartimento federale dell'educazione, affidando la gestione scolastica ai singoli Stati. Le scuole dovrebbero essere libere da quello che viene definito "indottrinamento gender" e prevedere spazi per la preghiera e la lettura della Bibbia. Trump intende anche ripristinare la 1776 Commission [un'iniziativa mirata a promuovere i valori patriottici e l'amore per gli Stati Uniti nelle scuole].
Se l’opinione pubblica americana sembra spaccata a metà nella scelta del prossimo inquilino della Casa Bianca, eventi senza precedenti investono il mondo della stampa.
È notizia di questi giorni la spinta a ritroso del Washington Post (celebre per aver fatto emergere lo scandalo Watergate), che rinuncia a fare endorsement a un candidato in favore di una neutralità che appare strana ai lettori abituali della testata tanto che in poche ore si assiste a un domino di disiscrizioni.
Alcuni osservatori si spingono nell’affermare che si tratti di un inchino anticipato al potenziale secondo mandato trumpiano in forza anche delle dichiarazioni del sindacato dei giornalisti, che ha denunciato l'atteggiamento dell'editore, anche se Bezos difende la sua scelta.
Il mondo della carta stampata però non è che un tassello del rumore assordante della campagna mediatica a mezzo social.
Se da un lato vediamo via via schierarsi a favore di Harris i più celebri appartenenti allo star system (da Morgan Freeman a Taylor Swift, da Bruce Springsteen a Oprah Winfrey) dall’altro il milionario ed eccentrico imprenditore Elon Musk non ha esitato a fornire appoggio mediatico ed economico a Donald Trump, scatenando non poche proteste proprio su X, il social di cui è proprietario e sul quale, fenomeno paradossale forse segno dei tempi, il dibattito è accesissimo e che appare come un vero terreno di scontro per le fazioni in campo.
Mai come in questa occasione le elezioni USA paiono in bilico ed il mondo guarda con il fiato sospeso.
E se i sondaggi interni danno ormai i due candidati testa a testa, l’Europa guarda con grande preoccupazione un'eventuale seconda presidenza Trump. In questo caso molto probabilmente a giocare un ruolo chiave sono le crisi internazionali in Ucraina ed in Medio Oriente che, se vengono percepite come distanti dalla popolazione statunitense, da quella europea sono invece sentite come vicine e fonte di pericolo. L’eventuale isolazionismo repubblicano danneggerebbe l’Europa dal punto di vista della sicurezza anche in relazione all'innovazione tecnologica civile e militare da cui rischieremmo di venire esclusi ed il tycoon, con le sue strizzate d’occhio alla Russia di Putin, evidentemente non fa dormire tranquillo il vecchio continente.
Il dado comunque è tratto e tra un pungo di ore sapremo quale sarà il futuro degli Stati Uniti e del resto dell’Occidente.