L'agricoltura europea non sta in piedi

Dal punto di vista economico la maggior parte dell’agricoltura tradizionale europea non sta in piedi: fare l'agricoltore non porta a un reddito economicamente sostenibile. Rappresentando soprattutto in Italia un settore a scarso valore aggiunto e incapace di migliorare se stesso. Come si può invertire il declino inesorabile del settore Agroalimentare?

Andando ad analizzare in generale la bilancia economica del settore agroalimentare italiano possiamo osservare che il valore esportato nel 2022 ammontava a circa 64,2 Miliardi di Dollari, a fronte di un Import di circa 63 Miliardi, risultando quindi leggermente in positivo.

Fonte: OEC

Come deducibile in figura, i principali prodotti in uscita sono vino e formaggi e tali vengono esportati soprattutto all’interno dell’Unione Europea.

Il valore complessivo della produzione dei prodotti tipici (andando ad analizzare sempreil 2022) ammonta a 19,1 miliardi di euro, con un Export di circa 11 Miliardi di Euro, contribuendo quindi al 21% del fatturato complessivo. Il Vino è la prima voce in capitolo con 6,29 Miliardi di Euro (+13% rispetto al 2020) (fonte. ISMEA).

Andando tuttavia ad analizzare i dati preliminari dei conti economici dell’agricoltura dell’ISTAT possiamo osservare che nel 2023, il volume della produzione è diminuito (-1,4%), così come le unità di lavoro (-4,9%).

In calo sono anche anche i volumi delle coltivazioni (-2,4%), l’ attività dei servizi agricoli (-2%) nella zootecnia (-0,8%). In flessione soprattutto i comparti del vino (-9,5%), patate (-6,8%), frutta (-5,3%) e olio d’oliva (-5%). Risulta quindi fuori luogo qualunque forma di glorificazione del dato esposto al G7 dell'agricoltura: L’export agroalimentare italiano varrà 70 miliardi entro fine anno. Di conseguenza, essendo i volumi di produzione in calo,il dato è semplicemente gonfiato dall'inflazione che ha particolarmente colpito il settore agroalimentare.

Anche la filiera zootecnica, nonostante vanti dei prodotti IG, non può cantar vittoria. Nell’anno 23-24 abbiamo importato 6.7 milioni di tonnellate di mais secondo l'Istat, con un prezzo medio di 190 euro a tonnellata, arrivando a 1,3 miliardi di euro, che uniti al costo dell’ import della soia pari a 4 miliardi di euro, il totale derivante dall’import di queste materie prime è pari al 138% del valore dell’export di prodotti tipici DOP, IGP e STG, al 92% dell’intero export di prodotti tipici, e al 56% del valore export di prodotti tipici di origine zootecnica.

Elaborazione di Dario Frisio alla giornata del Mais

Possiamo inoltre osservare come la resa di un cereale come il mais sia in continua fluttuazione, a differenza di quanto succede in altri paesi europei come la Spagna, che risultano più stabili e in costante crescita, specialmente grazie a una maggiore apertura rispetto alle Biotecnologie.

L'estrema dipendenza dai sussidi

L’agricoltura europea sembra essere l’unico settore economico in cui le regole del mercato non valgono. In una situazione di libero mercato, un'impresa incapace di sopravvivere alla concorrenza ha due alternative: innovare o chiudere.

Questo non avviene per gli imprenditori agricoli europei, i quali si guardano bene dallo smettere di produrre (quel poco che riescono) in quanto questo porterebbe a non ricevere il sussidio.

La maggior parte della PAC infatti viene utilizzata per dare sostegno al reddito degli agricoltori.

Al contrario, nel magico mondo dei sussidi se usi metodi di coltivazione meno efficienti dal punto di vista produttivo, ricevi ancora più sovvenzioni. Le imprese che coltivano biologico infatti sono aumentate nel corso degli ultimi anni di circa il 50%  e sappiamo per definizione che l’agricoltura biologica è meno efficiente a parità di ettaro utilizzato.

Accoppiata interessante se pensiamo che l’impresa Italiana ha in media la metà degli ettari disponibili dei suoi partner europei, infatti le imprese italiane in media hanno una grandezza ridotta di circa 8 ettari  a fronte dei 17 in Europa.

Attualmente, a causa di queste politiche la produzione interna che non riesce a soddisfare la domanda ci ha portato ad aumentare l’import.

All’inizio degli anni ‘80, la PAC costituiva oltre il 70% delle spese comunitarie. Con gli anni, il suo valore in termini relativi è diminuito mentre è aumentato in termini assoluti. Nel 2022 era pari a oltre 55 miliardi di euro.

Elaborazione grafica a cura di Liberi Oltre le Illusioni

Il peso del settore agricolo e della pesca nell’UE è di poco superiore alla media OCSE. Nel 2022 ha generato l’1,7% del PIL dell’Unione Europea, benché impiegasse ben più del 4% degli occupati.

Elaborazione grafica a cura di Liberi Oltre le Illusioni

I sussidi erogati in questi anni attraverso la PAC, e non solo, non hanno fatto altro che favorire lepiccole lobby attraverso un uso improprio della spesa pubblica. I problemi del settore agricolo non verranno risolti mantenendo gli attuali sussidi.

Punti da analizzare per risollevare il settore

  1. Eliminare gradualmente, e soprattutto non implementare, le misure che ostacolano gli adeguamenti della produzione, come il sostegno ai prezzi e altre politiche mirate a prodotti specifici che aumentano la rigidità dei sistemi alimentari. Gli incentivi economici portano gli agricoltori a continuare a produrre prodotti che potrebbero non essere più richiesti dal mercato
  2. Le politiche protezionistiche e il sostegno al reddito degli agricoltori porta a una riduzione della pressione competitiva limitando di conseguenza l'incentivo all’innovazione e all'efficientamento 
  3. Il sovvenzionamento basato su ettaro di terra piuttosto che sulla quantità o l'efficienza produttiva non premia chi utilizza risorse naturali in maniera più efficiente.
  4. Restrizioni sull’uso di fertilizzanti, pesticidi e tecnologie genetiche impedisce agli agricoltori di rendere più resiliente la propria produzione agricola come nel caso del Mais MON810.
  5. Come osservato prima la maggior parte delle imprese agricole Italiane hanno una scarsa estensione di terreno, sono di fatto piccole imprese, avendo difficoltà ad investire si può pensare ad un consolidamento di piccole aziende in entità più grandi come cooperative, consorzi, o fusioni con aziende più grandi. Le imprese più grandi sono mediamente più produttive, innovative e con maggiore potenziale di crescita, che si traduce in un minor prezzo al consumo e maggiore occupazione nel settore a parità di qualità prodotta.

Un altro problema delle aziende agricole potrebbe risiedere proprio nel loro modello di business. Infatti secondo il Rapporto REALE MUTUA 100, le imprese più di successo sono quelle che hanno adottato un modello di business multifunzionale, come trasformazione dei prodotti agricoli, la produzione di energie rinnovabili, i servizi di agriturismo, i servizi educativi e le attività ricreative e sociali 

La sostenibilità ambientale è ostacolata dall'ideologia

Alcuni tipi di OGM consistono in piante ingegnerizzate per la semina su sodo, ovvero il posizionamento dei semi in fessure del suolo evitando l’aratura. Senza aratura, inoltre, si evita di fare ossidare l’humus del suolo (e quindi si libera molta meno CO2 sequestrata nei suoli sotto forma di residui vegetali) e si evita di creare un ambiente prospero per le erbe infestanti (di conseguenza si useranno meno diserbanti). Non dovendo mettere in moto il trattore per arare, concimare e diserbare, verrà emessa meno CO2 e si utilizzeranno meno fitofarmaci.

Altri tipi di OGM producono per conto proprio allelopati che li proteggono da parassiti ed infestanti, rendendo inutile l’uso di pesticidi, erbicidi ed anticrittogamici. Nei vegetali OGM è possibile anche la soppressione dei geni che ne causano la marcescenza, aumentando la shelf-life. Per questi prodotti si risparmierà quindi sia sui conservanti che sulla refrigerazione ed in generale sullo spreco di cibo.

Altri OGM ancora possono crescere in terreni poveri di nutrienti o inquinati, sopravvivere in zone con condizioni metereologiche siccitose o resistere alle gelate. Il limite per queste piante è quanto si investe nella ricerca scientifica.

Queste produzioni, ben più sostenibili di quelle biologiche, in Italia sono totalmente vietate, ma non è vietato importare i prodotti.

In Italia vengono infatti importate oltre 50 varietà di OGM, autorizzati anche per il consumo umano, ma non ne viene coltivato nessuno. Molti animali d'allevamento come bovini, suini, polli e pesci vengono alimentati con mangimi OGM importati da Stati Uniti, Canada e America Latina. Gli OGM più comunemente utilizzati nei mangimi includono mais e soia e trovano impiego anche nella filiera zootecnica, ad esempio per nutrire le vacche impiegate nella produzione di latte e latticini.

Fonte: Genetically Modified Crops: Bayer’s contribution to a fact-based public discourse, Bayer, pag. 14

Tutte le statistiche dicono che a parità di superficie coltivata, l’agricoltura biologica produce meno cibo di quella tradizionale (e di quella innovativa 4.0), pur avendo allo stesso tempo un maggiore impatto ambientale. Un articolo su Nature Communication del 2017 prova ad esempio a rispondere alla domanda “cosa succederebbe se entro il 2050 tutta la produzione agricola diventasse biologica?” Con i dati a loro disposizione e stato calcolato che il consumo di suola sarebbe aumentato tra il 16 e il 33%, la deforestazione tra l’8 e il 15%, le emissioni di gas serra tra l'8 e il 12% e il consumo d'acqua del 60%.

Fonte: Nature

Questi dati risultano persino ottimistici se consideriamo un nuovo studio del 2019 sempre svolto da Nature Communication. Questa ricerca modellizza cosa sarebbe successo se  Galles e  Inghilterra fossero passate interamente al biologico. La stima è che l'import di prodotti coltivati ​​altrove sarebbe aumentato del 70%, e di conseguenza ci sarebbe stato il bisogno di mettere in coltivazione, arrivando magari a disboscare foreste nel terzo mondo, dimensioni spaventose di terreni per importare in Inghilterra e Galles le derrate agricole venute meno a causa del biologico.

Nemmeno l’agricoltura italiana è economicamente o logicamente sostenibile, men che meno può essere questa autonoma. Quella della sovranità alimentare è una bellissima frase ma una pia illusione (o un modo per mascherare intenti protezionistici), portandoci a coltivare gran parte di quanto necessario altrove, nonché chiedendo al resto del mondo di alimentarci. 

Tirando le somme, quanto successo negli ultimi 10/15 anni è che l'Europa ha aumentato l'ammontare di terreno indirizzato al proliferarsi di foreste di circa 12 milioni di ettari nel mentre che in Sud America venivadisboscato lo stesso ammontare di ettari.In questo conto noi interpretiamo apparentemente la parte dei buoni perché stiamo rispettando i vari accordi internazionali sul clima, ma tutto questo viene fatto a spese della deforestazione nel resto del mondo. 

Quindi tutte le politiche che tendono a non disboscare e a non arare i suoli, nonché quelle che riportano alte produzioni per ettaro sono di gran lunga le più ecologicamente compatibili. L'agricoltura biologica ha dimostrato di fare né l'uno né l'altro, arrivando anzi ad aumentare di almeno il 40% le superfici messe in coltivazione.

L’effetto reale primario delle produzioni biologiche è la riduzione delle produzioni per ettaro, il che significaavere meno alimenti a parità di superficie coltivata. Questi prodotti avranno più alto valore aggiunto grazie alla propaganda, ma anche un maggiore costo (sia ecologico che per il consumatore finale), in modo da sostenere i redditi degli agricoltori, con l’ovvia conseguenza di trovare sul mercato alimenti importati con prezzi estremamente competitivi.

L’agricoltura biologica consuma più risorse ed energia, ed inquina di più della tradizionale a parità di quantità e qualità del cibo prodotto, considerando l’impiego di macchinari per più tempo su superfici più ampie e l’utilizzo maggiore di agrofarmaci.

Il profondo problema culturale

A fronte di quanto analizzato risulta evidente come il problema sia di stampo politico, data la natura intrinsecamente regressiva del sistema.  Nessuno degli attori in gioco, dal singolo consumatore al Ministero dell’agricoltura, sembra essere intenzionato a lavorare su questa situazione. Finché in Italia persisterà il mito “dei bei tempi andati” e  la romanticizzazione della figura dell’agricoltore e del settore tradizionale, l’unica strada che verrà percorsa è quella dell'inefficienza e della ultra dipendenza dagli altri stati, rendendoci inoltre eccessivamente esposti alle crisi geopolitiche mondiali.

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