50 anni di Lucy in the sky with - fossils - diamonds

Era il 30 novembre 1974 quando in Etiopia i due archeologi Johanson e Gray rinvennero le prime ossa di uno scheletro di un ominide che ha rivoluzionato per sempre la paleoantropologia e la comprensione dell’evoluzione umana  diventando una icona. Ripercorriamo insieme la storia di Lucy, la “madre di tutti gli ominidi”, a 50 anni dal suo ritrovamento.

Immagine di brgfx, freepik

Etiopia, 1974. Da due anni il gruppo di ricerca International Afare Research Expedition (IARE) svolge ricerche archeologiche presso Hadar, un centro situato nel distretto di Mille nella regione di Afar. Il sito si trova vicino alla sponda di un fiume, in un tratto compreso fra due insenature con una vegetazione particolarmente rigogliosa. In quella zona spicca una collinetta molto brulla che già negli anni precedenti aveva dato soddisfazioni agli  archeologi per un copioso numero di ritrovamenti effettuati, soprattutto di animali (1). Tale ricchezza archeologica deriva dalla particolare configurazione orografica. La zona è stata sottoposta a molteplici eruzioni vulcaniche nell’arco di milioni di anni ed è il punto di incontro di tre placche, nonché africana,  araba ed etiope. Di conseguenza,  la zona è stata oggetto di stratificazioni successive del terreno che ne hanno favorito la fossilizzazione. Queste dinamiche, inoltre, hanno portato al suo sollevamento consentendo agli strati lavici di riemergere in superficie insieme ai fossili. La zona è diventata in pratica  una specie di museo archeologico a cielo aperto con campioni che periodicamente affiorano, senza troppa necessità di scavare.

Il ritrovamento

Donald Johanson. Fonte: Wikimedia Commons

Donald Johanson, giovane antropologo americano, dopo la laurea presso l’università dell’Illinois, master e Phd all’università di Chicago, già nel 1973 aveva svolto attività nel sito di Afar ritrovando un fossile che, a livello di articolazione, si sospettava fosse appartenuto ad un esemplare di Australopithecus (1). Nell’autunno del 1974 torna nuovamente sul campo con l’obiettivo di proseguire le ricerche.
Il 30 Novembre 1974, insieme ad un suo studente - Tom Gray -, di ritorno verso il suo fuoristrada, si accorse di un qualcosa di interessante nel terreno. Era un osso. Per la precisione una parte di braccio (2). Quello fu il primo di una serie di ritrovamenti di importanza straordinaria. Infatti, sempre nella stessa zona, i due rinvengono altre 47 parti, corrispondenti al  40% di uno scheletro. Al termine dei ritrovamenti molte di queste ossa erano fratturate o mancanti, mentre risultarono pressoché complete  mandibola, omero destro, emibacino sinistro, femore sinistro e tibia destra (vedi foto).

Ricostruzione dello scheletro fossile di Lucy, l'Australopithecus afarensis. Fonte: Wikimedia Commons

Felici della nuova scoperta, Johanson ed il suo team festeggiarono la sera stessa al ritmo di una canzone famosa di quel periodo: “Lucy in the sky with diamonds” dei Beatles (3). Ad un certo punto della notte quello stesso fossile venne chiamato Lucy, nonostante il suo nome scientifico sia “A.L. 288-1”, acronimo di “Afar Locality 288” (4).

Negli anni successivi sono stati trovati ulteriori esemplari che hanno permesso di incrementare notevolmente la conoscenza di questa specie preistorica.

"Quella notte nessuno si sognò neppure di andare a letto. Parlavamo e bevevamo una birra dopo l’altra. Avevamo un registratore, e facemmo suonare a ripetizione e a pieno volume “Lucy in the Sky” dei Beatles. Il suono riempiva la notte.

A un certo punto di quella notte indimenticabile, non ricordo più a che ora, il nuovo fossile assunse il nome di Lucy. Da allora in poi lo si è sempre conosciuto con questo nome, benchè il suo nome vero sia AL-288-1”

D. Johanson; “Lucy, le origini dell’umanità” Mondadori, 1981

Un nuovo ominide

Lo scheletro di ominide più antico mai scoperto fino al 1974 era quello di un Australopithecus africanus  datato circa 2 milioni di anni (1). La scoperta dello scheletro di Lucy fu molto importante per vari motivi.

Nel 1976 Johanson pubblicò un articolo in cui presentava la scoperta di Lucy e la correlava con quella di un altro sito in Tanzania. La morfologia degli scheletri (muso fortemente sporgente, fronte bassa e inclinata e dimensioni del cervello molto piccole) evidenziava l’appartenenza dei ritrovati ad una specie già descritta nel 1955 ,chiamata Australopithecus (sensu latu), ma con delle caratteristiche peculiari. Come scrive nel suo articolo, queste “differenze” rimandavano l’assegnazione ad una specie diversa, nonché molto più antica. Per questo Lucy venne classificata in modo indipendente con il nome Australopithecus afarensis, riprendendo il nome dal sito di ritrovamento (Afar). Inoltre, nell’articolo Johanson riportava la dimostrazione che gli scheletri ritrovati suggerivano la coesistenza di Australopithecus afarensis con la specie Homo. (5).

Fonte: Johanson, 1976
Order Primates (Linnaeus 1758)
Superfamily Hominoidea (Simpson 1931)
Family Hominidae (Le Gros Clark 1955)
Genus Australopithecus (Dart 1925)

Ma quali sono queste caratteristiche peculiari? Lo scheletro è di piccole dimensioni - circa 120 centimetri (Manzi, 2024) - generando quesiti sulla sua età al momento della morte. Non può essere quello di un bambino perché le cartilagini di accrescimento delle ossa non sono più presenti, con quest’ultime  e i denti del giudizio ormai formati. Pertanto, la dimensione ridotta dello scheletro può essere spiegata col fatto che fosse già presente un dimorfismo sessuale che differenziava le misure dei maschi e delle femmine (1).

Lo scheletro di Lucy è inoltre un “mosaico” di caratteristiche: simile alle scimmie ma anche agli ominidi. Le braccia sono particolarmente lunghe rispetto al corpo (e rispetto agli arti inferiori), il che suggerisce trascorresse buona parte della sua esistenza sugli alberi.  Ma la scoperta più importante deriva dall’osservazione del bacino. Di solito, quando c’è una prevalente attività degli arti superiori il bacino risulta più piccolo e di conformazione diversa. Quello di Lucy presenta invece un ingresso pelvico ampio rispetto alle dimensioni del corpo (6). Tale conformazione ha permesso di ipotizzare una dinamica del parto diversa da quella dell’uomo, verosimilmente lenta e difficile (7).

Sono stati eseguiti anche studi sulla motricità del bacino (8) e dello scheletro.

Già nel 1978 il ritrovamento presso Laetoli in Tanzania di alcune impronte fossili e la scoperta di ossa simili a quelle di Lucy provarono il suo andamento bipede. A sostegno di tale tesi sono state eseguite ulteriori ricerche. In particolare, basandosi sulla densità ossea, gli scienziati hanno potuto ipotizzare che Lucy spendesse del tempo sugli alberi. Tuttavia, la distribuzione ossea nelle porzioni esterne delle ossa lunghe fanno propendere per l’ipotesi della camminata bipede con andamento ”laterale”, diversa quindi da quella di ominidi più recenti (9).

Da queste valutazioni sono derivate molteplici considerazioni. La prima riguarda lo sviluppo morfologico in termini evoluzionistici. La comprensione che lo scheletro inferiore era già più simile a quello di Homo, al contrario della parte superiore che presenta caratteristiche più vicine alle scimmie, è una combinazione che pone questa specie in posizione intermedia nell’albero genealogico dell’uomo (1) e prima di ogni altro ominide. Ciò ha modificato la nostra concezione relativa all’evoluzione dell’uomo (10) evidenziando come non vi sia  stato un salto da scimmia a uomo ma bensì un processo caratterizzato da tappe intermedie (11).

Negli anni successivi  sono stati ritrovati molteplici scheletri di A. Afarensis che hanno permesso di comprendere meglio le caratteristiche delle scatole craniche, difficilmente valutabili con i soli 5 pezzi della scatola cranica di Lucy. E questo ha portato ad una maggiore comprensione dell’evoluzione dell’uomo in termini funzionali. Comparando i vari ritrovamenti è stato possibile evidenziare come le incisioni cerebrali nella faccia interna della volta cranica  non fossero così simili a quelle che si ritrovano negli ominidi. Questo ad ulteriore dimostrazione che A. Afarensis arrivò al bipedismo molto prima dello sviluppo cerebrale ((12). In pratica la spinta evoluzionistica ha favorito il bipedismo prima dello sviluppo cerebrale, dimostrando che nell’ambiente di circa 3 milioni di anni fa questo “assetto” garantiva maggiori probabilità di sopravvivenza.

Tale dimostrazione è stata molto importante perché ha completamente modificato l’assunto di Darwin riportato nel libro “TheDescent of Man”, nel quale si ipotizzava come l’evoluzione umana richiedesse al contempo lo sviluppo del bipedismo, di costruire gli strumenti e di un largo encefalo. (13)

“Accade che uno scheletro, scoperto in africa orientale, in depositi geologici di oltre tre milioni di anni fa, possa comprovare l'acquisizione di quella bizzarra forma di locomozione che ci caratterizza: il bipedismo”

G.Manzi, “Antenati - Lucy e altri racconti del tempo perduto”, Il Mulino, 2024

Un altro aspetto importante è stata la datazione dello scheletro. I risultati lo hanno collocato intorno a 3.2 milioni di anni fa, ovvero molto prima di Homo Sapiens (ca. 2 milioni di anni fa). 

In particolare, con questa datazione Lucy - e A. Afarensis - risulta essere l’ominide più antico ad avere una caratteristica di bipedismo, cosa che lo distingue anche da altre tipologie come Sahelanthropus tchadensis (scoperto nel 2002) e Ardipithecus ramidus (scoperto nel 1994). E questo ha rivoluzionato anche la paleoantropologia ponendo un importante punto, ovvero che lo sviluppo dei primi ominidi è avvenuto in Africa e non in Europa come si pensava in precedenza.

Conclusioni

La scoperta di Lucy ha permesso un notevole passo avanti nella comprensione dell’evoluzione umana e nella identificazione delle forme intermedie di ominidi. Dallo studio dello scheletro di Lucy è stato possibile eseguire un “identikit” del nostro più lontano antenato e comprenderne indirettamente alcune importanti caratteristiche. E’ probabile che lo scheletro appartenesse ad un ominide che si poneva fra le scimmie antropomorfe e gli ominidi, costituendo un esempio di “ponte evoluzionistico”. Inoltre lo scheletro doveva essere appartenuto ad un ominide che proseguiva parzialmente la sua attività sugli alberi ma che aveva anche sviluppato la stazione eretta molto prima dello sviluppo cerebrale.

Infine, la sede del ritrovamento ha dimostrato che lo sviluppo dell’uomo non è avvenuto in Eurasia ma nel continente africano. La madre di tutti gli uomini era africana. Ed è anche la madre nostra.
 


Da Darwin a Lucy: le scoperte schiavi

1956

Viene pubblicato “On the origin of the Species  by natural selection” di Charles Darwin


1971

Viene pubblicato “The Descent of Man, and Selection in Relation to Sex” di Charles Darwin


1948

Introduzione e sviluppo del metodo di datazione al Potassio-Argon


1974

Ritrovamento delle prime ossa di ominide  A.L. 288-1 poi soprannominato “Lucy”


1978

Presso Laetoli (Tanzania) Mary Leakey  scopre i fossili delle impronte lasciate da tre ominidi di Australopithecus.


1992

Ritrovamento del primo cranio di A. afarensis intatto con articolazione della mandibola, esemplare AL 444-2


Ti è piaciuto questo articolo? Supporta la nostra associazione: associati oppure effettua una donazione.
Il tuo sostegno è per noi importante!

DONA ORAASSOCIATI

Indietro

Non si finisce mai di studiare? | Lifelong learning

di A. Minuzzo

Considerato uno degli indicatori per la valutazione dei Paesi dell’Unione Europea, il “lifelong…

Teatro alla Scala: Fascinazione per la "grande cultura russa" o complicità con un regime?

di T. Bezruchenko

La guerra in Ucraina non è iniziata nel 2022. È cominciata nel 2014, con l’annessione illegale della…

Dietro la caduta di Assad: tutte le fasi dell’offensiva di Hay'at Tahrir Al-Sham

di M. Fadda

Il 27 novembre 2024, i gruppi ribelli siriani guidati da Hay’at Tahrir al-Sham (HTS, “Organizzazione…