“Per la sua intensa prosa poetica che confronta traumi storici e mette a nudo la fragilità della vita umana"
Il Premio Nobel per la letteratura approda in Corea del Sud, e lo fa con Han Kang, prima donna asiatica ad aggiudicarsi il prestigioso riconoscimento.
Nata a Gwangju, in Corea del Sud, classe 1970, poetessa, saggista, novellista, romanziera, insegnante, Han Kang ricorda in un'intervista di alcuni anni fa come la lettura la accompagni e la protegga dalla durezza del mondo esterno fin da bambina e di come le abbia stimolato quelle domande esistenziali (chi sono, da dove vengo) alle quali tenta di offrire delle risposte attraverso le sue opere (1).
Figlia d'arte (suo padre Han Seung-won è anch'egli scrittore), la letteratura ha sempre fatto parte della sua vita.
Dopo aver esordito nel 1993 sulla rivista coreana “Letteratura e società” con una breve raccolta di poesie, nel 1998 pubblica il suo primo romanzo, “Cervo nero”(2).
È però con “La vegetariana” (3), pubblicato per la prima volta nel 2007 e premiato con il il Man Booker International Prize, che raggiunge la notorietà internazionale. Nel 2017, con “Atti umani”, il suo sesto romanzo, vince il Premio Malaparte. Il 10 ottobre 2024 viene insignita del Premio Nobel.
La scrittura di Han Kang, che caratterizza in modo inequivocabile ogni sua opera, è contraddistinta da un'intensa investigazione psicologica dei personaggi, spesso in conflitto con temi universali quali la memoria, la perdita e l'identità. Ricca di simbolismo e di metafore, crea atmosfere dense e suggestive, trasponendo il lettore in mondi interiori complessi e affascinanti.
Nella sua prosa poetica, liquida, a tratti asciutta, lo spazio e il tempo, un tempo spesso anticipato, assoluto, non vissuto, smettono di essere semplici categorie fisiche per fondersi e finire per identificarsi con il piano emotivo e soggettivo del rapporto con la realtà; i suoi personaggi si strutturano nello straniamento del sé e da sé. La narrazione procede per flusso di coscienza incasellato nel susseguirsi degli eventi. Lo stile propone una sintassi a metà tra descrittivo e immaginifico.
A parlare è sempre l'animo umano.
Se in “Convalescenza” (4) l’indagine si sofferma sul non risolto nel rapporto tra sorelle nel primo racconto, nello scollamento dalla propria dimensione umana di fronte all'esperienza della malattia nel secondo, in “La vegetariana” la rinuncia ai propri confini biologici si fa totale e totalizzante. La protagonista Yeong-hye, fino a quel momento moglie e figlia devota, con un moto di ribellione alle convenzioni, nel suo progressivo rifiuto di assumere alimenti “umani” (a partire dalla carne per poi estendersi a tutto ciò che non sia acqua), arriva ad affermare: “Credo che gli esseri umani dovrebbero essere piante”. In questo distacco che la porta ad abbandonare ogni forma di comunicazione ed a farsi materia pura, fotografia in negativo che esalta per contrappunto le miserie altrui, le persone che le si oppongono nella non accettazione della sua scelta di vita rappresentano il lato ostile, violento della natura umana, che replica alle sue scelte non conformi con una spirale di atti prevaricatori messi in atto freddamente nel tentativo o di “ricondurla alla ragione” o semplicemente di umiliarla perché ormai perduta.
Una parziale pacificazione con l'altro si ha invece ne “L'ora di Greco”, opera sull'incomunicabilità in cui i due protagonisti, senza nome e privi della voce lei, della vista lui, arrivano quasi a fondersi grazie a una lingua morta, il Greco antico, la lingua di Platone, che la protagonista femminile vuole pervicacemente imparare per riappropriarsi della propria voce attraverso un codice comunicativo meno sociale, socializzato e convenzionale rispetto alle lingue contemporanee e che le consentirà di guardare il mondo con occhi nuovi.
Quello che colpisce del flusso di immagini e pensieri che permeano l'opera di Han Kang è la capacità di penetrare nel profondo noi lettori, estranei sì agli eventi, ma compartecipi dei monologhi interiori dei personaggi, che nella sostanza, in qualche momento della nostra vita, abbiamo anche solo parzialmente condiviso nei nostri momenti di fragilità.
Questa fusione tra vita e letteratura è evidente anche in “Atti umani”, ambientato a Gwangju (5), città natale della scrittrice, a seguito degli eventi che seguirono il colpo di stato messo in atto in Corea del Sud nel 1980 ad opera di Chun Doo-hwan appena un anno dopo il trasferimento della famiglia di Kang a Seoul. La sequela di rappresaglie ed azioni repressive segnarono profondamente i contemporanei, rappresentati qui da sette figure attraverso la cui storia Han Kang parla a tutti noi: le nostre vite sono indelebilmente segnate dal passato, così come lo sono quelle piene di speranza, paura (e lutti) dei personaggi descritti. La memoria si conferma elemento fondamentale, memoria intesa come strumento di costruzione e decostruzione dell'identità personale, familiare, sociale, storica.
Se il mondo contemporaneo cercava una cantrice della fragilità umana, di quella spasmodica ricerca di un atto di comprensione, di gentilezza, di ricomposizione nei nostri momenti più bui, l'ha trovata in Han Kang.
E forse non è solo il mondo contemporaneo ad averne bisogno, è il mondo in sé.