Trump vs Zelenskyy e la nuova Europa

Sul sito web del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti si legge:
Gli Stati Uniti, i nostri alleati e i nostri partner in tutto il mondo sono uniti nel sostenere l'Ucraina in risposta alla guerra premeditata, non provocata e ingiustificata della Russia contro l'Ucraina. Non abbiamo dimenticato la precedente aggressione della Russia nell'Ucraina orientale e l'occupazione in seguito alla sua illegittima presa della Crimea nel 2014. Gli Stati Uniti riaffermano il loro incrollabile sostegno alla sovranità e all'integrità territoriale dell'Ucraina entro i suoi confini riconosciuti a livello internazionale, che si estendono alle sue acque territoriali”. 
 
- US. Department of State

Foto di Francesco Fiorani

Non sappiamo se fra qualche ora o fra qualche giorno questo statement ufficiale resterà tale o se verrà modificato e la pagina cancellata; quello che sappiamo è che ieri, in modo tragicamente evidente, l’amministrazione americana di Trump, Vance, Musk e la nuova tech-right che trova basi ideologiche nell’Heritage Foundation si è allontanata non soltanto dal sostegno all’Ucraina ma anche, e soprattutto, dalle basi su cui si è costruito un occidente sicuramente imperfetto ma democratico e motore della costruzione dello Stato di Diritto.

Contrariamente a quanto politici e commentatori schierati dicono, ieri non si discuteva alcuna pace, alcun cessate il fuoco, alcun accordo fra Russia e Ucraina, si discuteva il “prezzo” che l’Ucraina avrebbe dovuto pagare affinché Trump si facesse intermediario di un processo di pace. Non c’era agli atti nessuna piattaforma per la definizione dei confini o per la cessazione dell’invasione. A ben vedere non c’era neanche nessuna base negoziale per lo sfruttamento delle risorse minerarie ucraine. C’erano delle cifre gettate a caso sul tavolo da Trump che indicano la sola volontà del tycoon di massimizzare un ipotetico profitto disimpegnandosi dal fronte russo-ucraino. Per farlo Trump ha utilizzato due strategie con le quali anche l’Unione Europea deve pensare di confrontarsi:

1. La totale irrilevanza dei fatti e dei numeri

2. L’aggressione (non solo verbale) e la minaccia di ritorsione.

Trump ha ribadito anche a Zelenskyy un costo di 350 miliardi per le casse federali a seguito degli aiuti umanitari e militari. È un numero fuori da ogni logica, smentito non solo da Macron ma anche dallo stesso Dipartimento di Stato, il quale riporta nella già citata pagina che gli aiuti militari forniti dal 24 febbraio 2022 corrispondono a 65.9 miliardi di dollari, a cui si aggiungono 69.2 miliardi forniti a partire dal 2014 e 31.7 miliardi di scorte del Dipartimento della Difesa. Trump ha poi citato i Javelin, che ammontano a 150 e sono registrati alla voce vendita diretta del 2019.

Dicevamo però che i numeri reali per Trump sono irrilevanti e non ha paura (anzi forse è una precisa strategia) di citarli a caso.

La scena a cui abbiamo assistito è stata una vera e propria aggressione al termine della quale è come se due gangsters avessero fornito a Zelenskyy una pistola con un solo proiettile prima di congedarlo e farlo accompagnare alla porta. Non c’era nessuna volontà negoziale perché non c’era nessun negoziato da portare a termine: il Presidente ucraino doveva consegnare il suo Paese.

I margini per recuperare un programma di aiuti sono ridotti all’osso, ma ci sono e prima di considerare l’Ucraina perduta è opportuno ricordarli.

L’Unione Europea, sia in termini di risorse proprie che in tema di accordi bilaterali con Kyiv stipulati dai singoli Stati Membri, ha fatto più degli Stati Uniti sia in termini assoluti che in termini relativi.

Il Kiel Institute, il più affidabile e aggiornato dei think tank che tengono traccia del military aid, calcola che dall’inizio dell’invasione l’impegno finanziario complessivo dei 27 Stati Membri UE più il Regno Unito è stato pari a 132.3 miliardi di euro contro i 114.2 americani; l’impegno complessivo, comprese le risorse da allocare, è pari a 247 miliardi contro 119. In rapporto al GDP lo sforzo maggiore è stato fatto da Paesi baltici (fra 1,5% e il 2,2%), Danimarca, Svezia, Finlandia, Olanda e UK. Gli Stati Uniti sono solo dodicesimi in questa classifica con lo 0.53% del GDP. A titolo di cronaca l’Italia è ventisettesima in termini di percentuale su GDP (0.12%) e tredicesima in valori assoluti.

 


    Cosa potrebbe fare l’Europa qualora venisse meno, come è probabile, il supporto americano?

    È indubbio che le dotazioni militari europee sono sostanzialmente inferiori a quelle americane. I Paesi europei, protetti per decenni dallo scudo NATO, hanno trascurato il tema della difesa e quello della ricerca in campo militare. La spesa complessiva europea non è soltanto inferiore a quella americana ma anche di qualità diversa. Sulla ricerca e sviluppo in ambito militare l’Europa spende circa un decimo degli Stati Uniti.

    Più equilibrata è la situazione sulle dotazioni finanziarie. In attesa, forse vana, che la UE si doti di esercito e struttura di difesa comune, le capacità di reperire risorse finanziarie restano abbastanza solide. La risposta alla pandemia, con la creazione del Recovery Fund e l’ampliamento del QFP (Quadro finanziario pluriennale) nell’ambito del bilancio europeo, ha dimostrato che se c’è la volontà politica la Commissione può essere istituto di emissione di bond. In ordine al Recovery Fund circa il 30% delle risorse stanziate sono tuttora inoptate e potrebbero essere dirottate o verso l’Ucraina o verso le spese per difesa.

    Nel luglio del 2023 nell’ambito delle attività della BEI è stato attivato l’EU4U, un fondo che ha raccolto e distribuito risorse per 2.2 miliardi e di cui sono garanti e donatori 15 Stati Membri.

    Il MES, un altro strumento finanziario intergovernativo che ha ben fatto nella risoluzione delle crisi del debito, nel suo trattato di funzionamento contempla la possibilità di attivare linee di credito separate dall’art.126 del TFUE e dal Patto di Stabilità. Per il triennio 2024-2026 ha stabilito un target di funding di 80 miliardi che può essere ulteriormente implementato.  

    Lo status di Paese candidato consente poi all’Ucraina di accedere ad altri fondi previsti dal QFP e che possono servire per la ricostruzione.

    Aiuti finanziari dunque disponibili e non trascurabili, aiuti militari all’opposto scarsi e incerti, anche sotto il profilo di un eventuale contingente che garantisca il rispetto dei confini ucraini da altre aggressioni.

    L’imprevedibilità dell’amministrazione americana non consente di fare previsioni su quello che accadrà nei prossimi giorni. Quello che è sicuro è che la solidarietà espressa ieri da quasi tutti i leader europei deve ora essere seguita da azioni concrete e da scelte politiche determinate. Se l’Ucraina è davvero Europa e il suo processo di integrazione è, come si sente dire, irreversibile, è tempo che l’Europa se ne assuma la piena responsabilità e faccia di tutto per difendere l’Ucraina e sé stessa.

    Questa è una sfida politica oltre che militare. L’idea di Europa intorno alla quale sono state costruite prima la CEE (uno spazio comune economico) e poi la UE (un sistema di valori che reggesse la progressiva integrazione) è stata superata dagli eventi e si è rivelata incompleta o irrealizzabile; di sicuro asincrona. Al fianco della UE a 27 si può (e si deve) creare un nuovo consesso di Stati che difenda confini, diritto e processi democratici dai nemici esterni ed interni. Un consesso all’interno del quale non c’è spazio per i processi, lenti e reversibili, di democratizzazione della società, ma che sia fondato dalle democrazie mature che hanno interiorizzato le garanzie di una società libera, aperta e, appunto, democratica.

    Ti è piaciuto questo articolo? Supporta la nostra associazione: associati oppure effettua una donazione.
    Il tuo sostegno è per noi importante!

    DONA ORAASSOCIATI

    Indietro

    Myanmar: storia di una lotta perpetua

    di L. Campisi

    Dall’indipendenza ottenuta nel 1948 dal Regno Unito, in Myanmar si sono succedute quattro dittature…

    I Dazi di Trump: la più stupida guerra commerciale è arrivata

    di M. Poloni

    “La più stupida guerra commerciale della storia” recitava il Wall Street Journal lo scorso 31…

    Identità e consumo: siamo ciò che consumiamo?

    di G. Tonti

    In un'epoca in cui l’identità personale è sempre più fluida e influenzata da ciò che consumiamo,…

    Questo sito web utilizza i cookie

    Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e gli annunci, fornire le funzioni dei social media e analizzare il nostro traffico. Inoltre forniamo informazioni sul modo in cui utilizzi il nostro sito ai nostri partner che si occupano di analisi dei dati web, pubblicità e social media, i quali potrebbero combinarle con altre informazioni che hai fornito loro o che hanno raccolto in base al tuo utilizzo dei loro servizi.