In un contesto di rallentata crescita economica e in presenza dei tre principali vincoli esterni dai quali l’Unione Europea dovrà essere in grado di sganciarsi - il tramonto della dipendenza dall’energia Russa a basso costo post-invasione dell’Ucraina; la necessità di assicurare garanzie difensive in un quadro di incertezze e conflitti, soprattutto considerando l’attuale posizione del principale alleato oltreoceano all’interno dello scacchiere mondiale; l’apparente crollo delle regole multilaterali quali pilastri dell'ascesa del commercio globale - andiamo a vedere i punti del report sulla competitività presentato dall'ex Presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi.
L'Europa si trova oggi di fronte a una svolta cruciale, un momento di trasformazione che potrebbe ridefinire il suo ruolo sulla scena mondiale.
Come si citava precedentemente, la crescita economica del Vecchio Continente è in pieno rallentamento. Ad accentuare questo elemento vi è il crescente divario di produttività che si è andato ad aggravare nel corso dell’ultimo ventennio. Il differenziale PIL dal 2002 al 2023 è passato dal 15% al 30%.
Un percorso di crescita sostenibile va ricercato da un lato, attraverso una spinta alla produttività quale principale vettore degli obiettivi di inclusione sociale, neutralità carbonica e rilevanza diplomatica, e dall’altro, riconoscendo nella competitività un incentivo per crescere in termini di produttività e di welfare sociale e non soltanto una competizione a livello globale.
Soltanto 2 delle prime 50 aziende mondiali nel settore tecnologico proviene dal mercato europeo e la quota stessa del continente all’interno dell’industria tecnologica è scesa dal 22% al 18% nel corso dell’ultimo decennio. Il divario da fronteggiare è quello rispetto agli Stati Uniti, alimentato dalla mancata contribuzione dell’Unione Europea alla prima rivoluzione digitale, ma quanto spaventa è la drastica riduzione del margine dell’indice di innovazione rispetto alla Cina (ora soltanto al 5%).
L’intelligenza artificiale guida la seconda rivoluzione digitale e, nonostante un netto ritardo delle startup europee, questa potrebbe stimolare lo sviluppo di settori quali la robotica autonoma e dei servizi AI. L'Europa deve colmare il divario investendo in infrastrutture digitali e sviluppando un sistema di formazione che prepari il capitale umano al perpetuo rinnovamento tecnologico.
Tra gli ostacoli che l’ecosistema aziendale europeo deve fronteggiare vi sono la carenza di investimenti in ricerca e sviluppo rispetto alla concorrenza statunitense (le percentuali sul GDP del budget federale stanziato dagli stati europei e di quello statunitense sono rispettivamente 0,05% e 0,65%) e una frammentazione normativa a murare prospettive di crescita omogenea e il potenziale affermarsi delle imprese europee.
Tra gli obiettivi e le proposte scaturite dal report vi sono il rafforzamento delle infrastrutture digitali attraverso l’estensione della copertura delle reti a banda larga ad alta capacità e il tentativo di accelerazione di diffusione del 5G. Non in ordine, seguono un repentino sostegno ad uno sviluppo concreto dell’AI e dei sistemi di calcolo avanzato in modo da potenziare l’industria e i servizi pubblici, nonché creando condizioni favorevoli per un ecosistema di startup tecnologiche. Infine migliorare la produzione interna di semiconduttori attraverso la riduzione della dipendenza dall’estero e il favorimento di investimenti pubblici e privati.
L’invasione dell’Ucraina ha stravolto il panorama energetico dell'Unione Europea attraverso una lievitazione dei prezzi del gas e dell'elettricità, penalizzandone la competitività industriale. La dipendenza dall’importazione di gas russo, ha aggravato ulteriormente la situazione, considerando che in alcuni Stati membri il prezzo supera i 250 €/MWh a confronto con i 100 €/MWh di altri.
Rattrista sentire parlare di transizione ecologica, clean technologies e soluzioni di economia circolare quando manca totalmente una strategia coerente ed adeguata. Quanto riscontrabile nel documento ripete pressoché a ruota ciò che di osservabile nell’ultimo mandato. Molto più vicino ad un’ecologia di facciata e “spendacciona” che concentrata su progetti concreti.
La crescente competizione con la Cina, che domina il settore delle clean technologies e degli EV grazie alla sua industrializzazione su larga scala e il controllo delle materie prime, rappresenta una minaccia per l'Unione Europea, che dovrà investire considerevolmente per non rimanere tagliata fuori dal mercato.
Il report propone come obiettivi l'approvvigionamento di fonti energetiche a basso costo e la riduzione della dipendenza dal gas, un aumento della produzione di energia da fonti rinnovabili, il rafforzamento del nucleare e del ricorso all’idrogeno e, infine, una particolare attenzione nei confronti delle stesse infrastrutture energetiche quali reti elettriche, stoccaggio gas e accordi con partner globali.
Spostandosi più specificatamente verso il contesto delle materie prime critiche, vengono proposte una maggiore diversificazione delle fonti, creando partenariati esterni all’Unione, un incremento dell’autosufficienza, attraverso lo sviluppo di processi di estrazione e raffinazione più sostenibili, e la promozione di materiali sostitutivi e riciclati.
Le industrie ad alta intensità energetica (acciaio, cemento, chimica) sono particolarmente vulnerabili ai prezzi elevati dell’energia, rappresentando una quota significativa dei costi di produzione.
Quanto proposto riporta un tentativo di incentivazione all’uso di tecnologie che riducano il consumo energetico nei processi industriali, all'adozione di tecnologie verdi, quali CCUS (Carbon Capture, Utilization, and Storage ) o idrogeno verde, e infine la ricerca di meccanismi che proteggano le industrie ad alta intensità dalla fluttuazione dei prezzi dell’energia.
Un discorso analogo segue per le clean technologies, attraverso la proposta di creare fondi e incentivi in grado di favorirne lo sviluppo, di migliorare ed implementare reti intelligenti volte a supportare l’integrazione delle energie rinnovabili, e di ridurre il carico burocratico dietro ai permessi di costruzione.
Infine, ciò che concerne il settore dei trasporti è esattamente in linea con quanto perseguito lo scorso mandato: supportare l'adozione di veicoli elettrici e ibridi, così come infrastrutture per il trasporto pubblico a basse emissioni, investire in soluzioni di trasporto pubblico innovativo (autobus elettrici e sistemi di car-sharing) e incentivare l’uso di biocarburanti e idrogeno per il trasporto su lunga distanza e le flotte commerciali.
Di cruciale importanza vi è l’obiettivo che l’Europa si deve porre all’interno di un contesto di crescente dipendenza dalle importazioni strategiche e di costante frammentazione interna del mercato che limita l'efficacia stessa delle tecnologie europee.
Il settore della difesa europeo è sottofinanziato e frammentato e necessita un incremento in termini di capacità, complementariamente ad una limitazione della dipendenza dagli Stati Uniti.
L’Europa è infatti ora anche indietro la Cina in termini di spese militari (309 miliardi di dollari contro 288) e solo un quarto degli acquisti europei in tecnologie militari non proviene da importazioni.
Il diretto intervento è strutturato su tre “pilastri” fondamentali: la creazione di programmi comuni per lo sviluppo di tecnologie di difesa e per la condivisione delle informazioni, il potenziamento degli investimenti in tecnologie avanzate (droni, sistemi di difesa aerea, cibernetica …) e il consolidamento concreto delle catene di approvvigionamento della difesa, riducendo la dipendenza da fornitori esterni all’Unione Europea.
Per quanto riguarda l’industria spaziale, sappiamo come l’Unione Europea sia decisamente indietro rispetto a Stati Uniti e Cina. Qui la proposta ruota attorno al “mero” investimento in progetti spaziali, quali il lancio di satelliti o lo stesso sviluppo tecnologico inerente all’esplorazione spaziale, alla promozione di partnership pubblico-private e alla creazione di piattaforme di innovazione spaziale in grado di stimolare la ricerca e l’innovazione.
Tra gli obiettivi concreti vi sono quello di aumentare gli investimenti annui a circa il 5% del PIL per digitalizzare e decarbonizzare l'economia e rafforzare la difesa (questo livello di investimenti non viene raggiunto dagli anni ‘60 e ‘70) e di favorire l’intervento del capitale privato, con il settore pubblico a sostegno di maggiore innovazione e di infrastrutture transfrontaliere.
Si citano a riguardo la volontà di introdurre incentivi fiscali per incoraggiare gli investimenti privati in settori chiave come la sostenibilità e l'innovazione digitale, la facilitazione dell’accesso al credito tramite programmi di garanzia e fondi europei, in particolare per piccole e medie imprese, e la stimolazione a creare fondi pensione e assicurativi orientati a investimenti sostenibili e innovativi.
Le complessità derivanti dalla governance complessa dalle lunghe procedure decisionali ostacolano l’efficienza dell’Unione, rallentando l’attuazione delle sue politiche. Il report propone una riduzione della vastità burocratica, andando a semplificare normative e procedure amministrative per le imprese, una promozione di riforme istituzionali per velocizzare i processi decisionali, specialmente in materia di innovazione e sostenibilità, e un aumento nella ricerca di trasparenza e responsabilità nei processi di governance.
Inoltre, la frammentazione tra Stati membri limita l'efficacia delle politiche industriali e di investimento, necessitando di un migliore coordinamento tra politiche nazionali e europee.
A sostegno della crescita della produttività senza sacrificare l'inclusione sociale e l’adattamento al cambiamento seguono nell’ultimo capitolo esempi di proposte di horizontal policies.
Come citato in apertura, l’ascesa del commercio globale senza restrizioni sembra volgere al termine. In questo quadro il report spinge lo sguardo dell’Unione Europea verso un adattamento delle sue politiche commerciali ad una maggiore protezione delle sue industrie strategiche, considerando anche accordi commerciali preferenziali e misure “difensive” contro la concorrenza estera sovvenzionata.
Diversi elementi analogamente riconducibili a questa sezione possono essere trovati nei capitoli precedenti.
Per quanto riguarda ad esempio il settore dell’automotive, ci si trova in una fase di transizione verso la mobilità elettrica, nonché di risposta alle normative ambientali sempre più stringenti. Ma soprattutto, la competitività del “Vecchio Continente” è messa alla prova dalla concorrenza di produttori asiatici e statunitensi. Dal 2000 al 2022 la quota globale di autoveicoli prodotti è crollata del 16% (dal 31% al 15%) mentre quella cinese è passata dal 4% al 32%.
Gli obiettivi proposti rientrano malauguratamente in un contesto di concreto ritardo, nonché di passata insostenibilità del tentativo di passare all’EV senza mezze misure e oggettivi mezzi logistici: incentivare la produzione interna di veicoli elettrici e sostenere le infrastrutture di ricarica, con un'attenzione particolare alle stazioni di ricarica rapida, investire nella ricerca e nello sviluppo di batterie più efficienti e sostenere la conversione dei produttori di componenti per veicoli a combustione verso l’EV.
Concludiamo con l’osservare alcune politiche orizzontali proposte per creare meccanismi in grado di accelerare l’adozione delle tecnologie innovative, colmare i divari nelle competenze e rinnovare la concorrenza.
Facilitare l'adozione delle nuove tecnologie innovative nelle imprese europee, riducendo il divario tecnologico tra Stati membri, e rafforzare il trasferimento tecnologico, stimolando la cooperazione tra università, centri di ricerca e industria.
Gli obiettivi per quanto riguarda il colmare il divario di competenze in settori chiave come AI, sostenibilità e tecnologie digitali spaziano dal riformare i sistemi educativi per garantire competenze allineate alle esigenze del mercato del lavoro, all’offrire programmi di riqualificazione professionale per i lavoratori occupati nei settori in transizione, quali automotive e industria energetica, o ancora incentivare la mobilità di studenti e professionisti tra i paesi europei per favorire lo scambio di conoscenze.
Infine il rinnovamento della concorrenza viene strutturato sull’armonizzazione delle normative tra i paesi membri, la volontà di rimuovere le barriere commerciali interne e un migliore coordinamento tra le autorità di regolamentazione nazionali per garantire una concorrenza leale a livello europeo.
La drammaticità di contesto riportata da questo report è avvilente. Basta questa tabella per comprendere la gargantuesca mole aggiuntiva di investimenti che andrebbero attuati per raggiungere uno standard almeno accettabile e che provi a tappezzare l’oggettivo ritardo dell’Unione su molteplici fronti.
Chiaramente Mario Draghi fa il suo dovere e descrive in modo empiricamente meticoloso lo stato dell’arte di questa Europa addormentata e frammentata. I fattuali contesti di inadeguatezza quali la retrograda cultura del mercato finanziario, l’insostenibile frammentazione, il circolo vizioso del debito pubblico a discapito del capitale privato, l’arretratezza e l’incompetenza nei settori AI e complementari/adiacenti (vedi cloud computing). Il quadro dei sintomi è anche probabilmente vicino alla completezza.
Detto ciò, questi ultimi sono osservabili da quasi due decenni e stupirsene solo ora rattrista e vagamente insulta l’interesse collettivo. Inoltre, il percorso proposto quale sentiero terapeutico, in particolare quello del mitologico prestito congiunto, è incompatibile con le cure strutturali di cui l’Unione Europea necessita. Ricorrere al concetto di sovvenzione è esattamente quello che si continua a fare mandato dopo mandato. I veri traumi vanno ricercati nella pianificazione economica, nell'appesantimento burocratico e, soprattutto, nella repellenza all’accesso di capitale privato (e produttivo) e investimenti.
Ma d’altronde basta osservare la sezione riguardante la transizione ecologica che, nonostante citi l’oggettiva necessità di seguire il “piano Francese” per quanto riguarda l’energia nucleare, non fa altro che richiamare le costosissime, e pressoché senza impatto, manovre perseguite dallo scorso mandato.
Tutto questo in un contesto di fioritura di populismi e sovranismi. Affacciati e intrepidi nell’agire contro il prossimo passo falso di questa Europa traballante.
Il perseguire politiche vicine agli slogan, ai regolamenti disincentivanti e all’eccessiva spesa non fa altro che allontanare l’Unione dalla concretezza di cui necessita per valorizzare gli obiettivi traguardi raggiunti e per ricostruire un percorso di sostenibilità congiunto e al passo con l’innovazione.