SPORT TRANSGENDER

Il Comitato Olimpico Internazionale ha reso ancora più inclusivo l'accesso alle atlete transgender... non andrà compromesso il principio di equità sportiva?

Parliamoci chiaro, io in linea di principio ero anche d’accordo con gli obiettivi del DDL Zan ma credo dovesse essere migliorato in alcune sue parti per esempio per impedire discriminazioni nell’ambito sportivo che per altro non sono potenziali ma già in atto e vanno a svantaggio delle atlete di sesso femminile.

In due parole: sono contrario al fatto che un soggetto MtF (Male to Female) possa competere e gareggiare nelle competizioni femminili. Questo fenomeno, in rapida crescita, richiederebbe almeno una riflessione aggiuntiva. Il problema che si vuole porre è quello della “equità sportiva”, un valore a mio avviso cruciale nell’ambito della competizione e in particolare in quella semi e/o professionale.

La questione mi sembra la seguente: identità psicologiche di gender, trattamenti ormonali e financo operazioni chirurgiche possono trasformare la struttura ossea, muscolare e polmonare di una persona sino a garantire equità sul piano sportivo tra atleti transgender e donne?
Sebbene la questione abbia rilevanza internazionale è indubbio che in Italia sarebbe stato legittimo riferirsi al DDL Zan per pretendere di gareggiare in competizioni femminili invocando il proprio diritto all’autodeterminazione prevista dall’art.4. Accettare nei termini previsti quanto era disposto dal decreto avrebbe comportato tout-court l'accesso dei transgender alle competizioni sportive nelle categorie femminili che comunque rimane una strada che pare ormai decisamente intrapresa pure dal CIO.

Al di là comunque di qualsiasi aspetto legislativo è ovvio che un uomo, soggetto a livelli di testosterone almeno 10 volte più alti di una donna, sviluppi nel corso della propria vita una fisiologia di base molto più indirizzata a determinati tipi di prestazione ed è impossibile che una terapia ormonale estrogenica annulli totalmente i guadagni neuromuscolari e prestativi acquisiti.

Inoltre le differenze ormonali non sarebbero neppure la sola problematica; vi sono differenze legate alla struttura ossea, allo spessore dei legamenti vi sono differenze biologiche incontrovertibili che incidono in maniera significativa nella prestazione sportiva.

In relazione ad un principio di equità rimarrebbe più corretto e sportivo che un soggetto MtF pretendesse di gareggiare nella categoria maschile, vedi per esempio i casi di Nong Rose, che nella Muhai Thai (sport da combattimento) schianta ancora allegramente i suoi avversari uomini, oppure quello di Nong Thoom sulla di cui vita presto verrà fatto un film.
Forzare la situazione per ottenere diritti alla competizione nelle categorie femminili mi sembra un classico caso di “botte piena e moglie ubriaca”. La situazione che si sta creando può diventare, non solo ingiusta sul piano strettamente sportivo ma generare anche gravi rischi per altre atlete. Ricordo, per esempio, il caso di  Fallon Fox, atleta MtF attiva nella categoria femminile di MMA, che ruppe con un pugno il cranio di una sua avversaria donna.

E’ essenziale ricordare che l’arrivo al vertice di questo o quello sport di atleti MtF implica, fra le altre conseguenze, la vanificazione istantanea di anni, spesso decenni, di sacrifici fatti dalle atlete nate femmine.

Non ho una soluzione confezionata in tasca e sono consapevole che i fatti da me illustrati ci pongano di fronte alla necessità di riconoscere il conflitto evidente fra due insiemi di principi: quello di ognuno di scegliersi il sesso a cui si sente psicologicamente ed emozionalmente di appartenere e quello della equità nelle competizioni sportive.  Auspico che, proprio nell’interesse delle atlete nate femmine si cerchino soluzioni ragionevoli ed eque a tale conflitto lungo le linee, io suggerirei, di definire i criteri di appartenenza sportiva (e solo sportiva) più che sul sesso riferito alla categoria di genere al patrimonio cromosomico dell’atleta.
D’altra parte, sebbene io abbia espresso un’opinione strettamente personale, mi sono convinto viste anche le recenti posizioni del CIO sul tema (vedi link), che questa battaglia (se così si può chiamare) possa essere di diritto combattuta solo dalle atlete femminili.

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