Peronismo dal dopoguerra a Milei

“The first Peronist revolution was based on the myth of wealth, of a land waiting to be plundered. Now the wealth has gone. And Peronism is like part of the poverty. It is protest, despair, faith, machismo, magic, espiritismo, revenge. It is everything and nothing”

 - V.S. Naipaul, The Return of Eva Perón (1972)

Quali sono le cause del declino argentino? Un dibattito sempreverde. Una nazione di per sé ricchissima, un tempo rigogliosa. 

Che si accetti o meno, gran parte del popolo ha supportato il decennale susseguirsi del Peronismo nelle sue svariate forme. Una spessa fetta non gli imputa infatti la responsabilità del disfacimento della prosperità argentina. Un fenomeno che, nel bene e, soprattutto, nel male, ha segnato l’Argentina e involontariamente una serie di altre nazioni e populismi vicini. 

Scorrendo tra gli eventi e le analogie, siamo sicuri che questo fenomeno risieda unicamente nell’estremo caso argentino?

Fonte: shaadjutt / FreePik

Di che bestia morire 

Definire il Peronismo, ancora peggio categorizzarlo, risulta alquanto arduo. Composto da un insieme di elementi richiamanti in parte il fascismo, per alcuni aspetti il socialismo, per altri ancora il nazionalismo romantico, questo movimento emerge in un contesto di militarismo nel bel mezzo degli anni ‘40. 

Juan Domingo Perón, ex militare e ministro del Lavoro, acquisisce il potere attraverso un colpo di stato nel 1943. Nonostante un ingresso in scena tutt’altro che ortodosso, Perón riuscirà rapidamente ad ingraziarsi diversi movimenti di massa in forza della sua popolarità nel favorire e difendere i diritti e le condizioni di vita delle classi lavoratrici.

Il suo carisma e la sua capacità di connettersi con le masse di lavoratori furono fondamentali nel promuovere e porre le basi per un movimento che, oltre e a vincere direttamente le elezioni con l’omonimo leader al potere nel 1946, 1951 e 1973, caratterizzeranno le sorti di uno sciagurato “bordello” chiamato Argentina. 

Ed è probabilmente quanto citato nell’introduzione che racchiude al meglio quello che è stato e che tuttora rappresenta per l’Argentina il Peronismo. Un’ideologia capace di adattarsi ed evolversi. Ai tempi della prima rivoluzione peronista fondata e radicata sul mito e sugli ottimismi di una ricchezza inesplorata. In seguito, con l’erosione della prosperità stessa,  parte ruggente delle lotte socio-economiche. Tutto e niente. 

Vi sono però svariati elementi che rendono inevitabile associare questo movimento ad una forma di populismo: 

  • Primo fra tutti la centralità del leader e una sorta di retorica anti-elite. La figura e la retorica dell’individuo Perón crearono un collante con i votanti, eleggendolo a salvatore del “pueblo” contro le tiranniche élite. A queste venivano spesso imputati i problemi del Paese stesso.
  • Un altro elemento è la retorica dello scontro di classe, diretto proseguimento del punto precedente. La sua retorica esaltava molti argentini disillusi con l’assetto politico esistente. Seppur non definibile come movimento socialista, il Peronismo sfruttava la lotta di classe come arma, patrocinando la redistribuzione delle ricchezze, l’istituzione di forti sindacati e il diretto intervento dello stato nell’economia. 
  • Inoltre una forma di nazionalismo economico, autarchia e isolazionismo. L’intento di Perón era quello di rendere autosufficiente l’Argentina, minimizzando l’afflusso di investimenti esteri. Tra i vari mezzi la nazionalizzazione di industrie e servizi pubblici, la restrizione sui capitali, sulle importazioni e persino sulle esportazioni. 
  • Infine l’enfatizzazione dello stato sociale e l’autoritarismo politico-mediatico. Attraverso l’implementazione di programmi di welfare, Perón alimentava il proprio sostegno popolare. Allo stesso tempo l’utilizzo di misure autoritarie volte a mantenere il controllo sulla vita economica e politica non è mai mancato. Censura, repressione dell’opposizione e manipolazione degli strumenti democratici costituivano elementi di almeno parziale disfacimento dell’advocacy per il popolo. 

Dopo la morte di Perón nel 1974 il Peronismo continua ad esistere e, come in seguito vedremo, ha assunto spesso la veste di governo, a volte dell’opposizione. Senza mai ledere la sua matrice populista. 

La moglie Isabel Perón lo sussegue brevemente prima di essere rovesciata dal colpo di stato delle Forze Armate argentine nella notte del 24 Marzo 1976. Passando per Menem e, più avanti, per Néstor Kirchner e sua moglie Cristina Fernandez (questi ultimi seppero rivitalizzare a pieno l’elemento di giustizia sociale tanto caro alla versione originale di Juan Domingo Perón), il Peronismo rimane una bestia strana, estremamente adattabile e mutevole. Parte pulsante della politica argentina. Affascinante specchietto per le allodole dei movimenti di massa. 

Metafora di una forma di governo sempre più attuale, terrena e meno “iconica”. 

Faith 

Eletto nel 1946, Perón fonda le radici della sua Argentina su tre pilastri: giustizia sociale, sovranità economica e indipendenza politica. 

L’avvicendarsi di politiche economiche messe in piedi dal leader originario di Lobos era di matrice decisamente interventista. La radice autarchica sorgeva invece principalmente dal suo desiderio di isolare le dipendenze argentine dall’estero. In particolare da Europa e Stati Uniti. La sovranità economica era il suo mantra. Attraverso la nazionalizzazione di segmenti strategici e il perpetuo investimento nella costruzione di infrastrutture passava l’arteria del suo credo personalistico. 

Le politiche che implementa una volta al potere mirano inoltre, e soprattutto dal punto di vista ideologico, a rinvigorire il rapporto con la classe lavoratrice e a consolidare le fondamenta del suo sostegno elettorale attraverso istituzioni sociali quali i sindacati. Questi ultimi diventeranno spalla primaria della sceneggiatura politica ed economica Peronista

Tra il 1946 e il 1948 il governo dà il via a significativi aumenti salariali tramite il sussidio di crediti. Questa manovra comporta l’aumento dei salari reali senza una corrispondente crescita dei prezzi. La reazione a questo tipo di politiche a sostegno dei consumi è un’espansione netta della domanda che, in primis, gonfia rapidamente lo sviluppo del settore secondario e che, a seguito dell’aumento della spesa e della massa monetaria, crea forti rialzi inflazionistici e di deficit fiscale. 

Tra le misure vennero inoltre introdotti una serie di programmi e di riforme sociali volte a migliorare le condizioni di lavoro, pensioni e assicurazioni sociali. Perón portò sotto il mantello statale industrie cardine quali le ferrovie (di proprietà britannica fino a quel momento) e il controllo di beni e risorse strategiche come il petrolio attraverso l’ente YPF (Yacimientos Petrolíferos Fiscales). 

Inizialmente efficace, grazie ad un boom di domanda domestica e all’allargamento dei settori industriali chiave, questo modello di sviluppo mostrò ben presto tutte le sue fragilità strutturali. L’intenzione era quella di rendere l’Argentina autonoma e autosufficiente, svincolata da qualsiasi pressione straniera; il deficit fiscale e la repentina creazione di moneta causarono ben presto risultati differenti. 

Nel 1949 un drastico calo di export agricoli e riserve valutarie segna l’inizio di una crisi. Il governo sostituisce il ministro dell’economia con un nuovo assetto più conservatore. Dalla serie di politiche adottate e la continua immissione di flussi di sussidi ai lavoratori, emerge la netta sensazione che non vi sia alcuna strategia di lungo termine per lo sviluppo sostenibile del Paese. 

La bassa capacità di risparmio interno e la fragilità del settore privato, l’eccessiva dipendenza dalla spesa pubblica e dal deficit fiscale. Questi elementi crearono un ciclo di instabilità che da un lato, il governo di Perón faticò a controllare, ma che, grazie al perpetuo ricorso a politiche sociali, non sembrò ledere il sostegno popolare. 

Negli anni a seguire, il governo peronista provò a stabilizzare l’economia attraverso meccanismi di austerity e l’incentivazione all’investimento estero. Nonostante ciò persistette la matrice strutturale del declino argentino e le manovre adottate da Perón non fecero altro che rallentare la crescita economica e aumentare la disoccupazione. Il solco tra il settore privato e lo stato limitò la potenziale efficacia di qualsiasi tipo di politica di sviluppo economico. 

Nonostante i tentativi di stabilizzazione, l'economia argentina continuava a soffrire di problemi strutturali, tra cui una bassa produttività agricola e industriale e una crescente dipendenza dalle importazioni. 

Durante questo periodo di tensioni il rapporto tra l’Argentina di Perón e le istituzioni economiche internazionali (prima fra tutte il Fondo Monetario Internazionale, IMF) si incagliò sempre di più. Questo stato di allerta divenne intrinseco ad una più ampia polarizzazione interna tra le forze conservatrici e progressiste del Paese e culminò in una serie di tumulti sociali e politici, nonché di scioperi e di repressioni.

Machismo

Sin dagli inizi il Peronismo si basò su pilastri autoritari. Alcuni più velati, altri meno. 

Primo fra tutti fu la centralizzazione completa del potere nelle mani del vertice rappresentato da Juan Domingo Perón. L’autonomia delle altre istituzioni statali, tra cui il Parlamento, venne drasticamente lesa. 

I media furono totalmente ribaltati a favore della propaganda politica, nonché personalistica, del presidente. Oltre all’acquisizione dei vari mezzi di comunicazione, il governo censurò l’opposizione mediatica e limitò la stampa talvolta attraverso persecuzioni e intimidazioni. I dissidenti dei media non furono gli unici ad essere messi al bando. Gli antagonisti politici vennero duramente repressi. Tra questi anche sindacati non allineati alle linee peroniste, furono sottoposti ad arresti, violenze e persecuzioni. 

Juan Domingo Perón, Wikimedia

Varie milizie e organismi paramilitari, tra le quali l’Alianza Anticomunista Argentina (“Triple A”) rappresentavano il cuore pulsante del volto illiberale e repressionario del Paese. La stessa militarizzazione, considerando le origini di Perón, e le forze armate ebbero un ruolo predominante nella quotidianità della sua gestione. Questo portò a frequenti interventi militari nella vita politica del paese. 

Altro aspetto antidemocratico fu il frequente ricorso a frodi e manipolazioni elettorali. Macchinazione dei risultati, coercizione degli elettori e limitazione artificiosa della partecipazione politica delle opposizioni furono alcuni dei mezzi sapientemente utilizzati. 

La stessa “malleabilità” pervase l’accesso alle riforme costituzionali, che divennero uno strumento per consolidare il potere di Perón. Lui stesso infatti modificò la costituzione nel 1949 per estendere il proprio mandato e facilitare l’attuazione delle sue politiche.  

Infine, elemento cardine del machismo autoritario fu il culto della sua personalità. Particolarità fu però l’estendersi di questo fenomeno alla figura della moglie, Eva Perón (‘Evita’). Intrattenitrice nata, speaker radiofonica di umili origini e dotata di una retorica carismatica in grado di aizzare le masse. Evita gestiva l’immagine pubblica del presidente nonché marito. 

Protest & revenge 

Ad accompagnare la crisi economica, la morte di Eva Duarte de Perón e i contrasti con l’asse composto da Chiesa Cattolica, partiti di opposizione e principali vertici economico-finanziari, furono gli elementi che da lì a poco porteranno alla fine della prima versione del Peronismo. Il 16 Settembre 1955, giorno della cosiddetta “Revolucion Libertadora”, avviene un colpo di stato da parte della Marina militare che costringe Perón  all’esilio, prima in Paraguay e poi “ospite” di Franco in Spagna. 

Nonostante il crollo del vertice, i sostenitori di Perón rimasero sull’attenti di una ricercata rivalsa. Movimenti di guerriglia urbana e scioperi organizzati dei sindacati furono tra le forme con le quali la resistenza peronista si manifestò. La “resistencia peronista” ebbe particolare vigore tra gli anni ‘50 e ‘60. Perón, in esilio, continuava a servirsi di una notevole influenza nei confronti dei suoi “discepoli”, i quali tentarono in vario modo di destabilizzare i governi militari che si susseguirono.

Nel 1973 Perón torna dall’esilio in un contesto di forti tensioni politiche. Questo squilibrio interno all’Argentina, generato dall’incapacità dei governi militari di consolidare un concreto e duraturo consenso, facilitò il reinserimento dell’assetto Peronista. Le elezioni del marzo 1973 videro una netta vittoria del suo candidato, Héctor Cámpora, che presto rinunciò alla presidenza per permettere a Perón di candidarsi nuovamente. Nelle elezioni dell’ottobre 1973, Perón vinse con un'ampia maggioranza, e insieme alla sua terza moglie, Isabel Perón, come vicepresidente, iniziò il suo terzo mandato presidenziale. 

I problemi che affrettarono la conclusione del primo periodo peronista ritornarono come spettri e, con l’avvento di nuove divisioni interne tra le frange più radicali e moderate del movimento, il futuro sembrava tutto tranne che roseo per il governo in carica. La violenza politica era in aumento. Gruppi estremisti di sinistra come i Montoneros e la repressione governativa contribuirono ad un clima di crescente instabilità. La situazione politica ed economica continuò a peggiorare. Nel 1º luglio 1974, Juan Domingo Perón muore. Isabel Perón assunse la presidenza, ma il suo governo fu presto travolto dalle crisi che avevano segnato gli ultimi anni della vita di suo marito, nonché da un colpo di stato nel 1976 che la destituì. 

Espiritismo 

Durante gli anni ‘80 l’Argentina attraversò una fase di profondo cambiamento. In un contesto di transizione dalla dittatura militare alla democrazia, il peronismo riaffiora gradualmente. Dopo e durante le prime elezioni democratiche in quasi un decennio, nelle quali vinse il candidato radicale Raul Alfonsin, il Partido Justicialista, diretto erede ed espressione politica del Peronismo, incominciò a riorganizzarsi sotto personaggi chiave quali Carlos Menem. Quest’ultimo subentrò in seguito alle dimissioni di Alfonsín e diede il via ad un periodo di forti cambiamenti. La particolarità della gestione Menem è un cambio di rotta rispetto alle tradizionali politiche economiche peroniste che ruotavano attorno all’enfatizzazione del ruolo dello stato nell’economia e della giustizia sociale. Vennero infatti introdotte una serie di privatizzazioni e deregolamentazioni, un patto sui prezzi salariali tra imprese, lavoro e governo, nonché un’indole di apertura al libero mercato. Queste misure cercavano di affrontare l’iperinflazione e la crisi economica che negli anni precedenti aveva martoriato l’economia argentina. Inoltre Menem, per ottenere supporto militare, concesse la grazia a chi era accusato di violazioni dei diritti umani, tra cui l’ex presidente Galtieri.  

Nonostante inizialmente efficaci, in grado di stabilizzare parzialmente l’economia e dare una spinta, le politiche di Menem provocarono drastici cambiamenti sociali. La disuguaglianza aumentò e venendo meno le promesse peroniste di giustizia ed equità sociale si arrivò ad una frattura tra i sostenitori storici del Peronismo e quelli che appoggiavano le nuove direzioni prese dal partito.

Menem fu rieletto nel 1995, ma il suo secondo mandato fu segnato da alta disoccupazione e accuse di corruzione.

Nel 1999 Fernando de la Rúa fu eletto presidente, ereditando un grande debito estero e una recessione.

De la Rúa rispose con aumenti fiscali, tagli salariali e pensionamenti anticipati, ma le condizioni economiche peggiorarono e i ministri dell'economia si dimisero. Le riforme fallirono, causando una perdita di fiducia degli investitori. A fine 2001, a seguito di violente proteste antigovernative, De la Rúa si dimise. I presidenti ad interim limitarono l'accesso ai conti bancari, dichiararono il default sui pagamenti del debito estero e permisero al peso argentino di svalutarsi, causando un ulteriore crollo economico nel 2002.

Questi avvenimenti portarono all’apertura di una nuova fase del Peronismo. Nel 2003 avviene l'ascesa di Néstor Kirchner. 

Kirchner, che proveniva dalla provincia di Santa Cruz, rappresentava un ritorno alle radici populiste del Peronismo. Il suo governo si concentrò su politiche di giustizia sociale, diritti umani e redistribuzione della ricchezza. Questo periodo vide un rafforzamento dello stato nell'economia e una forte critica alle politiche neoliberiste degli anni '90. Kirchner implementò programmi sociali e aumentò gli investimenti pubblici, cercando di affrontare le disuguaglianze create nel decennio precedente.

Néstor Kirchner, Casa Rosada (Argentina Presidency of the Nation), CC BY 2.5 ar, Wikimedia

Dopo il mandato di Néstor Kirchner, sua moglie Cristina Fernández de Kirchner fu eletta presidente nel 2007, continuando le politiche di suo marito. Durante i suoi due mandati, Cristina Fernández de Kirchner mantenne una forte presenza dello stato nell'economia e continuò a promuovere politiche sociali. Si identificava come Peronista, affermando che "Il Peronismo è simile agli argentini” e che “...noi peronisti, come tutti gli argentini, siamo capaci di azioni generose e sublimi”. Cercò infatti di riunire gli argentini attraverso temi comuni, affrontando numerosi scontri con vari settori, inclusi i media e il settore agricolo, e incrementando la polarizzazione politica. Cristina si concentrò su questioni come la rinegoziazione del debito estero, attaccando i fondi “avvoltoio” che si rifiutavano di negoziare e “minacciavano” l'economia argentina. Lavorò anche per incrementare i programmi di welfare e rafforzare le industrie nazionali, cercando di bilanciare sviluppo economico e giustizia sociale. Continuò a fare pressione sulla Gran Bretagna per la sovranità delle isole Falkland/Malvinas e allineò la sua amministrazione con quelle di Cuba e Venezuela, guadagnando così un certo sostegno.

Nel giugno 2014, la Corte Suprema degli Stati Uniti scelse di non ascoltare l'appello dell'Argentina contro una decisione di un tribunale inferiore che ordinava al paese di pagare circa 1,3 miliardi di dollari più interessi ai fondi hedge statunitensi che avevano rifiutato di ristrutturare il debito. La decisione proibiva all'Argentina di pagare gli interessi ai creditori che avevano accettato la ristrutturazione, e quando ulteriori tentativi di negoziare un accordo tra i fondi hedge e l'Argentina fallirono alla fine di luglio, il paese si trovò in default tecnico.

Nonostante le sue politiche sociali, Cristina Kirchner affrontò numerose controversie, tra cui accuse di corruzione e critiche riguardo alla gestione economica del paese. La manipolazione delle statistiche sull'inflazione, il controllo sull'accesso di dollari statunitensi e il presentare se stessa e la sua amministrazione come “vittime” l'hanno indebolita politicamente.

Questi fattori contribuirono alla vittoria del candidato di centro-destra Mauricio Macri nelle elezioni del 2015. Macri, esponente dell'alleanza Cambiemos, rappresentava una pausa dalle tradizioni peroniste, con un approccio più orientato al mercato e alle riforme economiche neoliberiste. Tuttavia, il suo governo fu caratterizzato da sfide economiche, tra cui una crescente inflazione e una crisi del debito che portarono a un aumento della povertà e della disoccupazione.

Nel 2019, il Peronismo ritornò al potere con l'elezione di Alberto Fernández, che scelse Cristina Fernández de Kirchner come vicepresidente. Questo segnò una nuova era del Peronismo, che cercò di combinare gli aspetti sociali dei governi dei Kirchner con nuove sfide economiche e politiche. Alberto Fernández si trovò ad affrontare un'economia in difficoltà, aggravata dalla pandemia di COVID-19, e cercò di implementare politiche che bilanciassero la crescita economica con la giustizia sociale.

 

Antidoto…

Con un'inflazione alle stelle e una povertà dilagante, il malcontento pubblico verso il Peronismo è cresciuto, culminando nella storica sconfitta delle elezioni del 2023. 

Fa sorridere l’aver visto ai tempi dell’elezione di Milei varie testate paragonarlo a personaggi come Grillo, quando il neo-presidente argentino rappresenta l’antitesi di un concetto di populismo radicalmente ancorato all’utilizzo del welfare, dell’anti-elitarismo, della spesa pubblica e della giustizia sociale quali proiettili per stimolare l’elettorato. 

Trionfare in quel modo, con il 55,7% dei voti al ballottaggio, a fine 2023 segna una svolta storica nella politica argentina, rompendo la tradizionale dicotomia tra Peronismo e anti-Peronismo. Milei, noto economista e personaggio televisivo, è salito al potere con un'agenda radicale fondata sulle privatizzazioni, sul “mito” della dollarizzazione, sul taglio netto della spesa pubblica e sulla disillusione della società nei confronti del movimento peronista che ha dominato la politica argentina per gran parte del XX e XXI secolo. In un paese afflitto da crisi incessanti, le sue idee di chiudere la Banca Centrale e ridurre significativamente la spesa pubblica e il ruolo del governo centrale hanno trovato particolare consenso tra i giovani, cresciuti nell'era dei social media, che vedono il Peronismo non come un movimento volto alla giustizia sociale, ma come un'istituzione antiquata e predatoria, responsabile delle difficoltà economiche che li condannano a un futuro incerto.

Risulta però fondamentale ricordare, in primis, che le radicali riforme proposte da Milei sono tali perchè poste all’interno di un contesto martoriato da un precedente e continuo calcio della lattina sui problemi del deficit e dell’inflazione, tra i vari. In secondo luogo, va menzionato come tendenze ideologiche sopra menzionate e care al Peronismo o derivati (vedi Kirchnerismo) siano state utilizzate per offuscare i veri problemi o militare l’elettorato figlio di promesse di giustizia sociale e sussidi. 

Javier Milei è diventato presidente dell'Argentina, trovando uno stato con enormi deficit di bilancio finanziati stampando moneta, un’inflazione galoppante (inflazione annua 2023 del 211% circa) e una profonda spaccatura sociale. Il governo doveva 263 miliardi di dollari ai creditori esteri, inclusi 43 miliardi all’IMF, ma non aveva dollari. Come molti governi argentini, il precedente aveva speso molto oltre le sue possibilità cercando di comprare popolarità, inventando temporanee soluzioni macroeconomiche per mantenere a galla l’economia. 

Milei sta cercando di guidare il paese su un sentiero pericolosamente stretto, scartando quelle soluzioni dubbie. Il suo problema politico fondamentale è che attaccare la classe politica “regolare”, quella che lui ama definire "la casta", è cruciale per la sua popolarità. Allo stesso tempo, ha bisogno di un certo supporto da parte loro per attuare riforme profonde, poiché dominano il Congresso. 

A Febbraio 2023 il presidente argentino si è dichiarato molto soddisfatto dopo che l’inflazione mensile è scesa oltre le aspettative, al 13%. Che Milei abbia motivo di festeggiare un'inflazione mensile del 13% mostra la gravità del disastro economico che ha ereditato e quanto lavoro ci sia ancora da fare.

Per dimostrare che non ci sarà più stampa di denaro, Milei è ossessionato dal raggiungere un surplus di bilancio. Sia a gennaio che a febbraio il governo ha registrato surplus mensili, i primi in oltre un decennio. Lo ha fatto in parte tagliando sussidi energetici e per i trasporti, trasferimenti alle province e spese in conto capitale. Ha anche utilizzato un altro strumento, la cosiddetta licuación. Questa consiste nell’aumentare la spesa meno rispetto all’inflazione, comportando una riduzione in termini reali. La spesa per le pensioni contributive, la voce di bilancio più grande, è diminuita di quasi il 40% in termini reali rispetto ai primi due mesi dello scorso anno.

Oltre ai surplus fiscali mensili e all'inflazione in calo, a dicembre è stato svalutato il peso di oltre il 50% per chiudere parzialmente il divario tra il tasso di cambio ufficiale e quello del mercato nero. 

Questa manovra ha però fatto aumentare l’inflazione. Lo stesso hanno fatto i tagli dei tassi di interesse sempre a dicembre. Normalmente le banche centrali aumentano i tassi per combattere l'inflazione mentre questo taglio seguiva la logica che ciò avrebbe ridotto i pagamenti di interessi sui propri bond, riducendo la quantità di denaro in circolazione. L'inflazione inizialmente è schizzata a un tasso mensile del 26% a dicembre. Questo ha colpito nel breve termine gli argentini, ma ha alimentato estremamente il meccanismo di licuación.

Le riserve estere sono aumentate di oltre 7 miliardi di dollari e il governo ha esteso con successo la scadenza di gran parte del debito in pesos, riducendo la pressione sul tesoro. L’IMF e i mercati hanno ricominciato a vedere un briciolo di speranza mentre l'indice di rischio paese dell'Argentina, una misura della probabilità di default, è inoltre sceso notevolmente. 

I costi, tuttavia, sono stati e sono tutt’ora brutali. Colpiti dall'inflazione, si stima che il 50% degli argentini sia in povertà, rispetto al 38% di settembre. In termini reali, i salari sono tornati indietro di 20 anni. Gli acquisti di medicinali su prescrizione sono diminuiti del 7%. Le vendite totali in farmacia sono diminuite del 46%. I volumi di vendita delle piccole e medie imprese sono scesi di quasi il 30% a gennaio, anno su anno, e si stima che l'economia si contrarrà del 4% quest'anno. 

Inoltre vi è un serio problema. Cercando di rallentare l'inflazione, il governo sta svalutando il peso del 2% ogni mese. Tuttavia, con un'inflazione mensile molto più alta del 2%, questo tasso di svalutazione potrebbe risultare insufficiente. Allo stesso tempo, una svalutazione più rapida o improvvisa causerebbe più inflazione.

A costo del prosieguo di una profonda recessione, l’inflazione mensile a maggio è scesa addirittura al 5%.

Recentemente, l'Argentina ha vissuto momenti di tensione durante il passaggio di due importanti leggi di riforma. Il 12 giugno, mentre il Senato discuteva, le strade di Buenos Aires sono diventate teatro di violente proteste. I manifestanti hanno affrontato la polizia, con tanto di molotov e auto incendiate. 

Le proteste sono state innescate dal voto su due leggi di riforma economica volute da Milei per risollevare l'economia argentina in difficoltà. Una delle leggi delega al presidente poteri d'emergenza per un anno, porta alla privatizzazione di diverse aziende statali e offre grandi incentivi agli investitori stranieri. L'altra mirava a incrementare le entrate fiscali attraverso la reintroduzione dell'imposta sul reddito.

Il passaggio delle leggi ha segnato la prima grande vittoria legislativa di Milei, con reazioni positive dai mercati e dall’IMF. Alcuni investitori, che investiranno più di 200 milioni di dollari, riceveranno benefici fiscali significativi ed esenzioni dai controlli valutari per 30 anni.

In seguito all’approvazione alla Camera bassa avvenuta il 28 Giugno, e nonostante qualche “potatura” rispetto alla formulazione originale, le riforme economiche proposte dal Presidente, segnano un'importante vittoria legislativa a sei mesi dall'inizio del suo mandato. L'approvazione include pure il pacchetto fiscale che reintroduce imposte sul reddito e sui beni personali precedentemente respinte dal Senato.

Nonostante questi segnali positivi, Milei potrebbe affrontare ulteriori e maggiori difficoltà in futuro, soprattutto considerando le elezioni di metà mandato all'orizzonte. 

La recessione si sta aggravando. L'attività edilizia è diminuita del 37% rispetto all'anno precedente e la produzione industriale è calata del 17%. La gestione della politica monetaria e del tasso di cambio rimane una sfida cruciale per il futuro di Milei. I dettagli riguardanti l’eliminazione della Banca Centrale e l’introduzione di una “competizione valutaria” rimangono piuttosto vaghi. Inoltre sembrerebbe che la famosa dollarizzazione sia rimasta un progetto aleatorio, per quanto comunque andasse vista già in partenza più come una forma di provocazione, nonché di riscatto dalle dannose abitudini di stampare moneta tramite la propria Banca Centrale. 

Per consolidare i suoi successi, Milei dovrà continuare a offrire certezza e stabilità, soprattutto nell’ambito della politica monetaria. Il presidente argentino dovrà inoltre considerare un approccio simile, ad esempio, a quello adottato in Perù (il dollaro è usato insieme al sol, ma con il supporto e la regolazione della banca centrale) per evitare di sprecare i suoi guadagni duramente conquistati e per garantire un futuro economico stabile per l'Argentina. In tutto ciò sarà inoltre fondamentale che il neo-eletto presidente rimanga a galla nelle tese dinamiche che attualmente caratterizzano il piano decisionale del paese. 

…o cometa?

Il dunque di questi caratteri è che ci sono ideologie che si spandono come virus, capaci di avvinghiarsi a qualsiasi rivolo di tendenza e populismo. Movimenti capaci di snaturarsi totalmente, arrivando ad annullare il senso del termine “ideologia” stesso, pur di raccogliere voti. Partiti che, specchio delle categorie che tendono a rappresentare, farebbero di tutto pur di rimanere saldi ai vertici.

L’evidenza Peronista, complice anche di un passato autoritario, è che lo schieramento politico conta fino ad un certo punto. Quello che si tramanda è un approccio. Un “istinto”, come direbbe il nostro Presidente del Consiglio Giorgia. 

Chiaramente i parallelismi più recenti sono molteplici. Dallo Chavismo in Venezuela, movimento che promosse una rivoluzione bolivariana basata su un forte intervento statale anti-establishment, al Movimento 5 Stelle; da Podemos in Spagna, nato dal movimento degli Indignados, a Syriza in Grecia o ancora il Partito dei Lavoratori di Lula in Brasile. 

Ciò che però inquieta è che movimenti o partiti di qualsiasi coalizione sembrano avere ormai tutti adottato strategie analoghe e che tentativi di riassestamento economico e sociale attraverso programmi concreti, tecnici e ragionati, figli di analisi e studi anziché di richieste di una classe piuttosto che un’altra, vengano attaccati e derisi in quanto anti-popolari. 

Quello che mi piace definire “esperimento” Milei sembra aver rotto l’incantesimo. Seppur io non condivida alcune sue posizioni, una fra tutte quella sull’aborto, e i suoi usi da showman, riconosco la necessità dell’intervento di manovre radicali per estirpare quello che è a tutti gli effetti un virus. Quello che Loris Zanatta definisce in modo eccelso “Peronismo Gesuita”. 

Programmi radicali che però vengono definiti tali, come specificato antecedentemente, solo perchè contrari ai peggiori populismi e più vicini ai fatti o a quanto necessario per risollevare una situazione disastrosa quale quella Argentina.

Non sono qua per esaltare, giurare fede o gridare vittoria nei confronti della gestione Milei e i suoi potenziali risultati. Certo è che in un mondo dove gli stessi partiti che di costituzione dovrebbero battersi per un concetto analogo di politica, ancora meglio di gestione governativa, si spendono in odi al #salariominimo come soluzione di lunga data all’irrefrenabile espatrio dei giovani laureati italiani, vedere un tentativo del genere mi fa sperare in un tipo di attitudine più vicina ai bisogni e meno agli slogan. 

Sperare senza cadere nell’ingenuità, convinto che il cambiamento passi in gran parte dall’elettorato e dalla sua consapevolezza. Sperare senza scivolare nella retorica, perché l’elettorato sembra averne poca di memoria. Sperare senza volontà di persuasione, in cerca soltanto della cognizione di quello a cui stiamo assistendo. 

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