Manovra di Bilancio 2025: storia e serie di discrezionalità perpetue

Quanto introdotto dalla Manovra di Bilancio 2025 riporta il tentativo di rispondere al “pacchetto” di sfide socioeconomiche che l’Italia si trova a fronteggiare. Tra queste spiccano la lotta all’evasione fiscale, il decremento del potere d’acquisto delle famiglie e l’assoluta necessità di dare una spinta ad una produttività stagnante da decenni.

Immagine di freepik

Il governo italiano sembra però aver scelto ancora una volta la via delle misure discrezionali attraverso trasferimenti diretti e agevolazioni fiscali aventi impatto nel breve e immediato periodo. Questi interventi sono privi della portata strutturale necessaria a rispondere alle sfide di lungo periodo che il paese si trova ad affrontare in un contesto di crescita quasi nulla, un rapporto debito/PIL insostenibile e un trend di invecchiamento della popolazione irrefrenabile e sotto gli occhi di tutti.

Applicare un programma dal così limitato orizzonte rappresenta l’ennesimo “calcio alla lattina” alle molteplici falle strutturali che colpiscono l’Italia.

Riduzione della Pressione Fiscale

La manovra destina oltre il 50% dei suoi 28,5 miliardi di euro alla riduzione del cuneo fiscale e alla rimodulazione dell’IRPEF. Questo è supportato dalla crescita delle entrate fiscali, aumentate del 6% nel secondo trimestre dell’anno in corso. Tuttavia, l’impatto di queste misure rimane parzialmente incerto. La riforma dell’IRPEF si è concretizzata con una riduzione da quattro a tre scaglioni, ma l’abbassamento dell’aliquota mediana, originariamente previsto, è stato accantonato per mancanza di risorse. L’idea iniziale di ridurre l’aliquota marginale dal 35% al 33% si è infatti rivelata insostenibile, mentre l'introduzione di un concordato preventivo, assimilabile a un condono, dovrebbe generare entrate straordinarie utili a ridurre il secondo scaglione.

La riforma dell’IRPEF contenuta nella nuova legge di bilancio propone infatti una riduzione delle aliquote fiscali a tre scaglioni ( 23%, 35% e 43%) rispettivamente per redditi fino ai 28.000, tra i 28.000 e i 50.000 e oltre i 50.000 euro. Questa manovra punta ad alleggerire il sistema fiscale, nonché a ridurne la pressione, in particolare per quanto riguarda i redditi medio-bassi. Il sistema attuale, prevede detrazioni soggette a soglie di reddito (come 28.000 o 36.000 euro), e presenta delle rigidità che, superate tali soglie, limitano la convenienza fiscale e penalizzano alcuni contribuenti. La proposta tenta di rispondere a questi squilibri introducendo nuove detrazioni. La modifica a tre scaglioni comporta una riduzione delle entrate fiscali IRPEF di circa 5,1 miliardi di euro per il 2025 e di 5,3 miliardi per il 2026, reindirizzando particolari benefici ai redditi fino a 28.000 euro. Tuttavia, restano incertezze sulla sua applicabilità e sui possibili effetti distorsivi che questa manovra potrebbe generare per le diverse categorie di contribuenti (singoli, famiglie con o senza figli).

Sono inoltre previste specifiche detrazioni per i lavoratori dipendenti. Per chi presenta redditi annui fino ai 15.000 euro la detrazione sarà di 1.955 euro, con una quota garantita di 690 euro e 1.380 euro aggiuntivi qualora il contratto sia a tempo determinato. 

Per quanto riguarda i contribuenti tra i 15.000 e i 28.000 euro la detrazione sarà progressiva mentre per chi va dai 28.000 ai 50.000 euro questa sarà decrescente. 

L’impatto complessivo della riforma IRPEF e del bonus per le fasce di reddito inferiori a 20.000 porterà ad una perdita complessiva di entrate fiscali di 12,9 miliardi di euro annui. La problematica relativa alle classi medie ritorna anche in questo caso essendo che, nonostante la significativa contribuzione alle entrate fiscali nazionali, queste godono di limitati vantaggi rispetto all’incremento dei costi della vita e delle imposte indirette.

La relazione tecnica sottolinea inoltre come questa riduzione del gettito IRPEF possa avere potenziali effetti oltre il 2027. La manovra solleva interrogativi sulla sua sostenibilità, essendo che in un contesto di strabordante debito pubblico, la perdita di entrate a lungo termine potrebbe portare ad ulteriori misure correttive e discrezionali in futuro.  Infine, secondo l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, le prospettive economiche a breve termine non mostrano segnali di ripresa industriale, generando ulteriori dubbi sull’efficacia della riduzione delle aliquote IRPEF. 

La rimodulazione delle detrazioni finisce inoltre per aumentare la base imponibile IRPEF, andando a causare effetti complessivi poco chiari. Nello specifico, la totale assenza di stime e simulazioni volte a illustrare l’effettivo impatto sui redditi compresi tra i 26.000 e i 36.000 euro, rende alquanto arduo il valutare con precisione le ricadute che questa manovra avrà su queste fasce di contribuenti.

ART. 199, comma 1SALDO NETTO DA FINANZIARE*FABBISOGNO / INDEBITAMENTO NETTO*
 202520262027202520262027
Riduzione spesa Ministeri - Parte corrente-697,2-689,7-639,4-697,2-698,7-639,4
Riduzione spesa Ministeri - Conto capitale-1.943,1-1.910,7-1.896,3-1.258,9-1.873,4-1.698,5
Fonte: Legge di Bilancio 2025, pag. 79 
(*dati in milioni di euro)

Infine, ricollegandomi al concetto di condono sopracitato, una misura particolarmente discussa riguarda la tassazione degli extraprofitti, la cui definizione rimane sfuggente. Il compromesso proposto dal Ministro Giorgetti prevede una rimodulazione delle imposte differite attive delle banche, risalenti al 2011 e allora introdotte per far fronte alle perdite derivanti da crediti deteriorati. Con questa misura, si anticipano 3,5 miliardi di euro di gettito che, tuttavia, verranno a mancare a partire dal 2026. Anche il bollo sulle assicurazioni dei rami 3 e 5, anticipato per questo biennio, dovrebbe generare circa 1,3 miliardi di euro.

Web Tax e Cripto-attività 

Un tema rilevante è quello della Web Tax, originariamente introdotta nel 2019 per tassare i colossi digitali quali Google, Amazon, o Meta, questa viene ora estesa a un numero maggiore di aziende che lavorano sul web, incluse piccole realtà e startup. Inizialmente prevista solo per le aziende con un fatturato di almeno 5,5 milioni di euro in Italia, la soglia minima viene eliminata, andando ad ampliare la platea delle imprese soggette ad una tassa del 3% sui ricavi. L’eliminazione della soglia comporta un rischio per le nuove imprese del settore, penalizzando le aziende web di piccole dimensioni, per le quali la tassa sui ricavi potrebbe rappresentare un carico fiscale sproporzionato rispetto ai margini di profitto effettivi. Nonostante questa estensione, il gettito previsto resta limitato, nonché di circa 51,6 milioni di euro. Questo porta a chiedersi il perché di una misura che non fa altro che scoraggiare l’innovazione in cambio di un ritorno economico modesto.

Inoltre, l’estensione della Web Tax in assenza di un chiaro coordinamento con le normative europee potrebbe generare una sovrapposizione normativa che aumenta il rischio di doppie imposizioni per le aziende digitali che operano in Italia. Questo rischio è particolarmente elevato se si considera che la tassazione dei servizi digitali è già regolata da direttive dell’UE, e una sovrapposizione tra imposte nazionali e comunitarie potrebbe disincentivare ulteriormente le aziende tecnologiche estere dall insediarsi in Italia, riducendo la già risibile attrattiva del mercato domestico per gli operatori internazionali. 

La manovra di bilancio riporta inoltre una tassazione del 42% su tutte le plusvalenze derivanti dalle cripto-attività e colloca l’Italia nell'olimpo dei paesi europei con il più elevato carico fiscale rivolto a questo specifico settore. Quanto di rivedibile è anche a questo giro l’esiguo incremento di gettito di 16,7 milioni di euro derivanti dall’aliquota in questione. Questo va inoltre a ridurre potenzialmente la base imponibile effettiva e, di conseguenza, a spingere potenziali investitori altrove. Ecosistemi come quello fintech, negli ultimi anni particolarmente incentivati e attrattivi, finiscono così nell’occhio del ciclone e saranno colpiti per primi come cavie di questa eccessiva aliquota. 

La mancanza di un sistema di tassazione progressivo o scalare per le plusvalenze da cripto-attività impatta negativamente anche su piccoli investitori e startup innovative che operano in ambito blockchain. Questo potrebbe rallentare lo sviluppo dell’ecosistema digitale italiano, riducendo le opportunità di crescita per imprese emergenti e giovani imprenditori, categorie potenzialmente beneficiate da una tassazione più agevolata e incentivante.

Evasione fiscale, pubblico impiego e social protection

La Manovra di Bilancio 2025 introduce una serie di misure volte a migliorare la trasparenza fiscale, con particolare attenzione alla tracciabilità dei pagamenti elettronici e alla digitalizzazione della registrazione delle transazioni. Tali misure mirano a ridurre l’evasione fiscale tramite un monitoraggio più preciso delle transazioni economiche. L’obbligo di integrazione dei sistemi di pagamento con registratori telematici è stimato comportare un costo di adeguamento di circa 500 milioni di euro a livello nazionale.

Un capitolo rilevante è dedicato alla deducibilità delle spese, in particolare quelle di vitto, alloggio, e trasporto. Per combattere l'evasione fiscale, il governo introduce l'obbligo di tracciabilità dei pagamenti come condizione per poter dedurre questi costi. Questa misura intende contrastare l'evasione connessa alla mancata fatturazione e altre pratiche scorrette. Il fatto che le stime economiche messe in campo in questa manovra siano basate su modelli piuttosto semplici e lontane dall’essere aggiornate (come l'aver utilizzato dati al 2019), limitano l’accuratezza delle previsioni. La mancanza di metodologie di calcolo statistico quali modelli econometrici o tecniche di regressione avanzata fa dubitare dell'efficacia delle stime.

MINISTERO 2025* 2026* dal 2027*
Economia e finanze 782.172 743.851 666.978
Imprese e made in Italy 366.090 375.977 388.583
Lavoro e politiche sociali 34.579 34.224 34.234
Giustizia 85.110 107.387 110.272
Esteri 69.386 70.479 60.681
Istruzione e merito 41.038 39.447 40.584
Interno 217.865 178.028 213.097
Ambiente 125.192 165.242 211.660
Infrastrutture e trasporti 293.693 294.476 236.593
Università e ricerca 246.922 238.590 216.275
Difesa 56.978 55.094 52.725
Agricoltura 63.106 32.327 29.720
Cultura 147.630 178.111 204.089
Salute 41.111 40.758 29.886
Turismo 69.394 46.435 40.383
TOTALE 2.640.265 2.600.427 2.535.759
Fonte: Riduzione delle dotazioni finanziarie delle spese dei Ministeri Triennio 2025-2027 (allegato III), pagina 78
(*dati in migliaia di euro)

Viene inoltre previsto un incremento significativo del fondo destinato alla contrattazione collettiva dei dipendenti pubblici, con risorse in crescita dagli 1,75 miliardi di euro circa per il 2025 fino ai 5,55 miliardi per il 2027​. Questo aumento rappresenta un intervento fondamentale per contrastare la perdita di potere d’acquisto causata dall’inflazione, assicurando ai lavoratori del settore pubblico un adeguamento salariale che ne sostiene la stabilità economica. Tuttavia, l’aumento delle risorse destinate ai contratti pubblici non è accompagnato da una riforma strutturale che miri a migliorare l’efficienza e la produttività della Pubblica Amministrazione (PA). 

Senza un collegamento tra l’incremento retributivo e l’effettiva performance dei dipendenti pubblici, il rischio è che l'aumento di spesa si traduca in un miglioramento limitato ai salari, senza alcun impatto significativo sulla qualità e sulla tempestività dei servizi offerti alla collettività. In un contesto in cui ritardi ed inefficienze sono all’ordine del giorno, l’assenza di un piano di riforma più ampio limita le potenzialità di miglioramento dei servizi pubblici. Attualmente, una percentuale significativa dei dipendenti pubblici è vicina all’età pensionabile, e la mancanza di programmi di aggiornamento continuo e di formazione per le nuove generazioni di impiegati, rischia di compromettere la capacità della pubblica amministrazione di adattarsi ai nuovi requisiti tecnologici e digitali.

La legge affronta anche la questione delle pensioni, introducendo un meccanismo per adeguare l'età pensionabile all'aspettativa di vita, partendo dai 67 anni nel 2025. La possibilità di continuare a lavorare dopo aver raggiunto i requisiti di pensionamento è presentata come una scelta individuale, agevolando quei lavoratori che desiderano restare attivi. Tuttavia, la proposta include anche un incremento della pensione minima, il che comporta indirettamente un innalzamento dei requisiti contributivi per accedere alla pensione stessa. Questo meccanismo va a penalizzare tutti quei lavoratori vicini alla pensione che potrebbero dover contribuire per periodi aggiuntivi per arrivare a soddisfare i nuovi requisiti.

Chicche e lasciti finali

Nel complesso, questa manovra si mostra limitata, soprattutto se contestualizzata ai fondi destinati a interventi minori quali i contributi al settore culturale e sportivo. Fra i vari spiccano il sostegno agli enti lirico-sinfonici (7,25 milioni), al potenziamento del movimento sportivo (15 milioni) e al credito sportivo (50 milioni), nonché a fondi per la valorizzazione di carnevali storici e bande musicali (1,5 milioni) e, super chicca, al Museo della Fotografia di Cinisello Balsamo (1 milione).

A capitanare la “sagra del simbolismo fiscale” viene infine introdotta una nuova estrazione settimanale per il Lotto e il Superenalotto. Si stima che questa aggiunta potrebbe generare circa 100 milioni di euro, con un impatto incrementale di circa 54 milioni per il Lotto e 51 milioni per il Superenalotto. Tuttavia, la relazione tecnica non fornisce dettagli sulle analisi alla base di queste stime, sollevando dubbi sull’efficacia reale della misura, che sembra far leva su abitudini di gioco già consolidate, rischiando di incentivare il gioco d'azzardo senza alcun supporto etico o sociale.

La nuova proposta di legge di Bilancio mette in luce come i fondi stanziati siano definitivamente limitati da un quadro di bilancio pubblico intricato e compromesso, da un'elevata pressione fiscale e da una capacità di spesa fortemente vincolata dalla gestione del debito pubblico. Nonostante ciò, la totale assenza di una visione organica quale collante alla base, rende queste misure scoordinate e insufficienti per fronteggiare la strutturalità del quadro problematico italiano. L’insistenza nel tendere all’intervento discrezionale ed emergenziale rischia di diventare e, in parte, ne è già sinonimo, un modello di politica economica che si rifiuta di affrontare alle radici le sfide generazionali. Le scelte del governo in cui si rispecchia questa manovra, sembrano voler “raschiare il fondo del barile” per poter coprire l’onere economico di tale intervento, già limitatamente finanziabile considerando i soli 9 miliardi effettivi. L’assenza di una pianificazione economica dettagliata e sostenibile, nonché l’utilizzo di stime approssimative rischiano di mettere a repentaglio la fiducia dei contribuenti e l’approdo di potenziali investitori, soprattutto in settori innovativi e che potrebbero contribuire in larga parte ad una transizione produttiva ed economica del Paese. 

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