La patrimoniale come tassa intergenerazionale

La tassa sugli immobili, o patrimoniale, risulta essere da tempo un tabù di difficile discussione. Allo stesso tempo costituisce un tassello essenziale nel quadro della revisione del sistema fiscale italiano in direzione di una maggiore equità sostanziale tra cittadini e soprattutto tra generazioni. L'aumento di tale imposta aprirebbe la strada ad una riduzione del carico fiscale che grava sui lavoratori e dell'evasione, nonché ad una redistribuzione più equa del potere d'acquisto ed imporrebbe maggiore trasparenza, costanza e vigilanza alle amministrazioni pubbliche locali e centrali.

Debito pubblico: una bestia da affamare.

“Ci possono essere molte buone ragioni per le quali il nostro Paese potrebbe considerare un’imposta patrimoniale (in realtà sul patrimonio immobiliare), e infatti molti Paesi europei ce l’hanno”. Questo è il pensiero della professoressa Elsa Fornero a proposito della tanto odiata tassa sul patrimonio. Le ragioni alla base riportano la mente a due grandi problemi del Bel Paese: difficoltà nella finanza pubblica e gravi iniquità sociali, per la precisione, intergenerazionali. Infatti un debito pubblico elevato deriva da anni in cui i governi in carica, hanno utilizzato la spesa pubblica in misura doppia rispetto alle entrate fiscali accumulando debito che ricade sulle spalle delle generazioni future. Perciò, l’attuale generazione e  quelle che seguiranno, avranno sulle spalle una pressione fiscale a causa della spesa pubblica corrente.
In un sistema malato in cui il carico fiscale è mal distribuito e grava per più del 50% sulla tassazione dei redditi che ricadono negli scaglioni compresi fra i 25 e i 55.ooo euro, sarebbe opportuno rimodellare l'intero impianto in modo da riequilibrare il rapporto tra tassazione del reddito e tassazione del patrimonio.
La riflessione fatta da Elsa Fornero ha scatenato una polarizzazione del dibattito, inneggiando  a una fantomatica violazione del “diritto” alla casa di proprietà. Sorvolando sul populismo vario, il punto cruciale è sostanzialmente che il debito pubblico, in un modo o nell’altro, deve essere aggredito e ridotto, almeno nel suo rapporto con il prodotto interno lordo. L’Italia deve intraprendere un sentiero che porti a una riduzione del debito pubblico  prendendo in considerazione  l’attuale politica fiscale italiana, che risulta essere sbilanciata. A questo proposito è utile analizzare i dati dell'Agenzia delle Entrate ed in particolare quantificare quanto lo Stato incassa dalle imposte dirette ed indirette per capire la magnitudo di questa asimmetria. 

Nel 2022 le entrate in miliardi da Irpef ammontano a 204, da Ires a 37, dall'imposta sostitutiva sui redditi a 24, dall'Iva a 175, dalle imposte di Bollo a 13, dal reddito da capitale 12 e dall'Imu a 18 . Se aggiungiamo nel calderone che l'imposizione sui redditi da capitale è una tassa fissa al 26% o al 12.5% ​​se si parla di BTP (altra manovra distorsiva), mentre le imposte sul lavoro raggiungono il 43% a €50.000., notiamo. che la ricetta per il declino è praticamente pronta: l'imposizione fiscale in Italia è fortemente asimmetrica, in quanto il reddito da lavoro è molto tassato mentre altre forme di reddito o ricchezza, la cui tassazione porterebbe a minori distorsioni, sono poco tassate. Si viene tassati in base ad aliquote elevate anche per livelli di reddito relativamente bassi disincentivando la crescita dei redditi stessi per non incorrere in aliquote marginali predatorie. "Aggredire" il capitale, per altro già tassato, è poco efficace in ragione della possibilità di spostarlo con relativa facilità.
Restano gli immobili su cui si applica, con esclusione dell'abitazione principale, la IUC, il tributo che ha accorpato a partire da gennaio 2024 IMU TASI e TARI.

Le critiche come i neonati, non stanno in piedi.

Prima di addentrarci nelle possibili soluzioni al problema sociale della tassa sul patrimonio immobiliare è bene ricordare che una buona parte dell'elettorato è visceralmente contraria a questa imposizione. La contrarietà si basa su un mal posto "diritto alla casa" e sulla retorica, cavallo di battaglia di diversi partiti politici, dell'abitazione sviluppata con redditi che hanno già subito tassazione.

Partiamo da ciò che solitamente si sente dire, ovvero: "ridurre il carico fiscale complessivo sia una buona cosa".
Ridurre il carico fiscale complessivo è sensato nei casi in cui si è disposto ad abbassare contemporaneamente la spesa pubblica; cosa che in Italia nessuno si sogna di dire. Quindi per un bilancio pubblico come quello italiano, appesantito da un rapporto debito PIL del 140%, che non riesce (non vuole) a contenere l'indebitamento netto annuo, e la cui economia cresce da decenni a tassi inferiori al costo del servizio sul debito (effetto palla di neve), attuare una vera riforma del fisco in ottica di riequilibrio ed equità, è fondamentale.

Altro cavallo di battaglia è il sentimento che la crescita economica provenga dalla detassazione della casa. Il presupposto fondamentale probabilmente dimenticato dai sostenitori di tale credenza è che a differenza della produzione e acquisto di un nuovo macchinario o della costruzione di nuovi edifici, la transazione su un immobile non è un investimento per l'economia nel suo complesso, ma è solo il passaggio di mano di un bene già esistente. Investire in un immobile grazie alla detassazione della casa non corrisponde ad una crescita del PIL, ma ad uno spostamento del PIL. Di fatto la crescita economica viene da aumento di produttività, guadagni di efficienza, innovazioni e miglioramenti nell'allocazione delle risorse. Se la detassazione della casa consistesse 1:1 in diminuzioni di prezzo, cosa che non succede, e se questa portasse ad una crescita del settore edilizio che genera occupazione produttiva e salari decorosi non sarebbe di certo merito della PA. Il settore delle costruzioni residenziali è uno dei settori con il più basso valore aggiunto. L'intero complesso delle costruzioni vale secondo l'Istat meno di 90 miliardi di PIL.

Proposte di cambiamento, il riformismo per l'equità sostanziale.

Innanzitutto è importante sottolineare che una tassa sul patrimonio immobiliare, come detto, esiste già, l'imposta municipale propria o IMU, la quale consiste in una tassa sulle seconde case ed in casi particolari anche sulle prime case, che come detto in precedenza produce gettito , basso ma pur sempre gettito. L'aliquota base nel 2022 parte dallo 0.86% e, a discrezione comunale, può raggiungere l'1,14% del valore dell'immobile in questione. Il costo medio in città capoluogo ad esempio oscilla tra i valori di 2.064 e 2.040 euro all'anno per Roma e Milano, 580 e 668 per Asti e Gorizia.
È inoltre importante sottolineare che nel caso della tassazione sugli immobili la media è lontana dalla mediana, di conseguenza la maggior parte dei cittadini pagherà un'imposta minore di quella sopra citata. Questo è il punto di partenza da cui costruire la discussione sull'aumento della tassa patrimoniale o sulla sua espansione anche alla prima casa.

Ora che siamo a conoscenza della sua esistenza e siamo liberi da congetture e stereotipi inesistenti possiamo costruire un quadro efficiente che tenga in considerazione le vere necessità di un sistema fiscale strutturato. Se si fa un ragionamento basato sulla ridefinizione complessiva del quadro dell'imposizione fiscale si può pensare ad un'imposta patrimoniale che non vada ad aggravare l'attuale peso fiscale ma vada a sostituire altre tasse o altre imposte, andando così ad alleggerire ad esempio il carico fiscale su chi produce reddito e ricchezza. Perciò quali sono gli elementi che potrebbero rendere la discussione sull'aumento dell'imposizione sulla prima casa, utile e costruttiva e che potrebbero far cambiare la percezione che si ha di questo bene intoccabile? 

Se l’aumento della tassa sul patrimonio immobiliare è costruito per abbattere il debito pubblico in rapporto debito/PIL, allora ogni euro in più di gettito deve essere volto necessariamente alla riduzione del debito. Se il debito è il problema, allora bisogna affrontare il problema del debito senza sé e senza ma. Si andrebbe a rimpinguare il già presente ma spesso dimenticato il fondo veicolo per abbattere il debito pubblico che già prevede l’abbattimento attraverso l’imposizione fiscale. Sfortunatamente i Governi sono di memoria abbastanza corta e preferiscono, successivamente ad aumenti di imposta, aumentare la spesa secondo l’antico adagio del “più incasso e più spendo”. 

Ex ante, prima dell’effettivo aumento dell’imposta, è imperativa l’individuazione, con grande attenzione, della base imponibile.  È ormai prassi, quando si parla di tassazione, soffermarsi sull’aliquota e tralasciare la base imponibile. Le imposte sugli extra-profitti ne sono un esempio lampante: aliquota identificata alla perfezione, ma disguidi tecnici nel definire cosa sia un extra-profitto e cosa invece sia solo un profitto. Risulta impensabile costruire un sistema fiscale sull’ambiguità, perché questo genera malumore generale, scappatoie normative ed in ultimo elusione o evasione. Senza una chiara identificazione della base imponibile la manovra sarebbe inefficace ed inapplicabile o laddove applicabile, spesso ingiusta. Altro impegno da completare prima dell’inizio dei lavori si basa sulla modellazione: gli effetti delle imposizioni fiscali che gravano sulle persone, lavoratori o proprietari di immobili devono essere previsti per poi, sulla base delle previsioni, verificarne i risultati in corso d’opera.

Ex post, dopo l’entrata in vigore dell’aumento in patrimoniale, i dati sull’imposizione e di conseguenza su base imponibile e gettito devono essere trasparenti, fruibili in maniera chiara e comprensibile per rendere l’analisi dei risultati accessibile. Inoltre è essenziale che gli effetti vengano controllati, calcolati e verificati per comprendere se la manovra abbia o meno raggiunto i risultati sperati. Questa azione di vigilanza è ciò che nella normalità amministrativa non avviene mai, la parte che viene tralasciata e non presa in considerazione anche se consiste nel momento cruciale per una manovra: capire se ha funzionato o meno. Il cambio di marcia sposterebbe il focus del sistema fiscale dall'inefficiente ragionamento sulle contingenze ad un comportamento più virtuoso e socialmente giusto.

L'imposta deve essere certa, esigibile e non deve cambiare ad ogni legislatura. In Italia quando c'è da affrontare la materia fiscale si procede con i rattoppi, ma questo rallenta il sistema e lo rende sia inefficiente nella gestione che inefficace nella riscossione, nonché macchinoso ed inutilmente complicato. La materia fiscale va mantenuta costante fino a che le evidenze non dicono che ha bisogno di un cambiamento.
Uno strumento utile ad assicurare certezza e diminuire le ore passate dal commercialista è sicuramente traducibile in un meccanismo automatico di adeguamento ai prezzi.
In qualunque sistema economico il valore dei beni deve essere prezzato al suo valore effettivo e non deve essere fossilizzato in tabelle immutabili che risalgono, nel migliore dei casi, al ventennio precedente come in Italia. Il governo Draghi, nel quadro della Legge delega di riforma dell'Irpef, aveva tentato di introdurre la rivalutazione delle rendite catastali, ma quella riforma è stata affossata per l'opposizione soprattutto della Lega che vi vedeva in prospettiva l'introduzione, o l'appesantimento, delle tasse sulla casa

Risulta infine impensabile prescindere da una riforma complessiva e organica di tutto il sistema in quanto cambiare un’imposta ha effetti su tutte le altre, di conseguenza la gestione deve essere il più possibile congiunta e trasversale. Per questo l'eventuale aumento di patrimoniale deve essere compensato da una riduzione di tutte le tasse che frenano la crescita e lo sviluppo, in particolar modo le imposte sul reddito che distorcono le scelte di allocazione del tempo per i lavoratori. Spostare il carico fiscale verso la parte di ricchezza più difficile da occultare, quindi dal reddito al patrimonio, inoltre semplifica in maniera massiccia la vigilanza sulle riscossioni. Di fatto, in un quadro economico dove l’evasione fiscale sui redditi da lavoro è alta, il 69,7 per cento dell’IRPEF da lavoro autonomo e d’impresa nel 2020 non arriva a destinazione, e la pressione fiscale reale in capo ai contribuenti fedeli al fisco si avvicina ormai al 50 per cento, questa manovra potrebbe portare ventata di aria fresca. In queste condizioni economiche e sociali e alle sopracitate condizioni di riforma non è scandaloso parlare di imposta patrimoniale.

In conclusione.

Una più ingente tassazione sugli immobili darebbe la possibilità di respirare ai lavoratori nella forma di una consegnata del carico contributivo e fiscale. Un'imposta sul patrimonio ridistribuisce in maniera più equa la ricchezza tra generazioni: aumenta il contributo della popolazione più anziana e lo sposta alla fetta giovane. Inoltre distorce meno rispetto alle imposte sul reddito, è meno facile da evadere, sovrintende direttamente tutti quei costi sociali relativi alla gestione degli immobili, ridistribuisce il potere d'acquisto e responsabilizza le autorità locali. In assenza di questa ridistribuzione un sistema predatorio nei confronti del lavoratore non solo reprime la crescita ma squilibra e mina il patto intergenerazionale.

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