Premessa: la carne sintetica non esiste, esiste invece la carne coltivata in vitro o in un bioreattore
Si parla infatti di colture cellulari (cellular agriculture), cioè di cellule animali estratti da tessuto animale che crescono e si moltiplicano in un bioreattore. Un bioreattore è un ambiente sterile e altamente controllato nel quale vengono mantenute le condizioni ideali per la crescita delle cellule animali. È importante non confondere la “carne coltivata” con i prodotti vegetariani e vegani prodottti a partire da proteine e altri composti di origine vegetale. In questo caso, i materiali di origine vegetale vengono trattati per conferire specifiche proprieta’ fisiche e organolettiche per poi essere assemblati in un prodotto finale che somiglia a quelli di origine animale.
Diversamente da come la politica, soprattutto nostrana, tende a raccontare, la coltivazione di cellule animali parte da lontano, almeno all’inizio del ‘900, con una accelerazione nei primi anni 2000, quando iniziano a comparire cibi alternativi che includono non soltanto cibi vegetali o vegani che sembrano carne, ma anche cibi che sanno di carne ma che non sono carne. Parte del sapore della carne è dovuto alla presenza di gruppi eme nel sangue, a base di ferro, che sono necessari per il trasporto dell’ossigeno ai tessuti. I gruppi eme si trovano anche nei noduli delle radici della soia. La compagnia USA Impossible Foods ha depositato un brevetto per produrre eme da batteri ricombinanti, con un costo molto basso. L’aggiunta di queste sostanze a proteine vegetali come quelle descritte più sopra permette di migliorarne il sapore, che diventa molto più simile a quello della carne.
La coltivazione di cellule animali in bioreattori è un processo molto più complesso. La produzione di carne coltivata parte prelevando da un animale cellule staminali, cellule grasse, o cellule dei muscoli, che vengono poi fatte crescere e modificate in bioreattori speciali. Le cellule indipendenti ottenute nel processo vengono poi assemblate in piccoli aggregati, simili per consistenza ai granuli di carne macinata, tramite l’uso di supporti (scaffold) che possono essere formati da grasso o particelle di tessuto connettivo.
I metodi utilizzati sono moltissimi e non possono essere descritti in un breve pezzo divulgativo. Il lettore interessato puo’ riferirsi ad una delle eccellenti disamine sull’argomento (in Inglese): "Cellular agriculture — industrial biotechnology for food and materials". È importante notare che i metodi per l’assemblaggio di cellule animali in carne coltivata sono analoghi a quelli sviluppati e utilizzati nelle colture cellulare per uso biomedico, che vanno sotto il nome di ingegneria tissutale.
Il cuore del processo di produzione delle cellule animali è il bioreattore, un ambiente ottimizzato per la crescita cellulare. I bioreattori sono utilizzati da secoli per la crescita dei microorganismi nella produzione di vino e birra, ma anche di moltissimi composti per uso biomedico e industriale. Lo scopo principale di una categoria di bioreattori, tra i quali quelli utilizzati per la carne coltivata, è moltiplicare le cellule iniziali (inoculo) il più rapidamente possibile, alla piu’alta concentrazione finale, e al più basso costo possibile. Si parla in questo caso di agricoltura cellulare perché le cellule vengono fatte crescere grazie all’introduzione nel bioreattore di componenti nutritivi e fattori di crescita, analogamente a quanto si fa con i fertilizzanti in agricoltura.
Gli svantaggi della carne coltivata sembrano essere al momento: bassa accettazione del consumatore, costo di produzione ancora, rischi per la salute non completamente documentati (al momento il report piu esaustivo è quello del technical group FAO-WHO su cell-based food ), caratteristiche sensoriali insufficienti (ovvero: poco sapore e scarsa consistenza).
Tra le altre criticità tecnologiche, la necessità di utilizzare estratti di feti bovini per alcune fasi della coltura cellulare. Tuttavia, un’azienda di Singapore afferma di aver risolto questo problema, e di essere pronta ad aumentare la produzione su scala industriale nei prossimi anni.
Secondo i proponenti della carne coltivata, i suoi vantaggi sono una minore necessità di suolo, acqua e consumo di materie prime, il fatto che potrebbe essere ambientalmente più sostenibile (ma ci sono ancora opinioni scientifiche contrastanti), più sicura e “progettabile” secondo le esigenze del produttore e del consumatore, e può soddisfare quelle minoranze religiose che hanno alcune restrizioni di tipo alimentare.
Si possono mettere in risalto gli effetti positivi sulla salute ma anche il fatto che attraverso stringenti controlli, la carne coltivata non dovrebbe veicolare agenti causa di malattie (Listeria spp, E.Coli, Salmonella spp, etc..).
Dal punto di vista ambientale, gli allevamenti e la filiera zootecnica hanno un certo impatto su emissioni e su riscaldamento globale per cui si pensa che le carne coltivata potrebbe risultare eco-friendly, ma ci teniamo a precisare che non esistono statistiche certe.
Superati gli ostacoli della scalabilità, la carne coltivata potrebbe essere disponbile in tempi ragionevoli ad un prezzo non troppo alto. Si tratterà, con ogni probabilità, di un mercato piccolo, 1-5% del mercato globale della carne, che non sostituirà la carne tradizionale, ma permetterà ai consumatori di fascia alta di poter avere un’ulteriore alternativa.
Sinossi a cura di: Harry Shergill, Lorenzo Viviani, Francesco Lucà, Martina Oddo.