È un dato che circola da oltre un anno, ma che in Italia è diventata una citazione quasi obbligatoria da quando è iniziato il Campionato mondiale di calcio in Qatar: sono 6.500 le vittime di questa manifestazione, tutti lavoratori stranieri che operavano nel paese del Golfo Persico in condizioni estreme.
Prima di procedere oltre, preciso a lettere cubitali che questo non vuole essere neanche lontanamente un tentativo di sminuire il problema delle condizioni in cui si trovano a operare centinaia di milioni di lavoratori nel mondo e in particolare i lavoratori stranieri in Qatar. Questo è anzi uno dei problemi-chiave dello sviluppo economico e sociale. Forse è addirittura “IL” problema. E proprio per questo motivo dobbiamo valutarne ogni aspetto con precisione, senza correre alle conclusioni.
Se ho un obiettivo polemico, questo è casomai il sistema dell’informazione italiana, a partire dai media giornalistici, giù fino ai programmi di infotainment, a quelli di intrattenimento, ai social network inclusi i tam-tam tra amici e i discorsi alla macchinetta del caffè. Una filiera che, per dolo o per incuria, finisce con il produrre notizie “che non lo sono” (per citare Luca Sofri).
Torniamo alle 6.500 vittime che, suppongo, dopo tanto battage mediatico, molti dei nostri concittadini si immagineranno tutti morti precipitando dalle impalcature degli stadi o travolti da container di cemento o acciaio. In effetti non è proprio così.
Da dove escono queste cifre? Il numero 6.500 emerge da un’inchiesta del Guardian (a otto firme) pubblicata il 23 febbraio 2021 (più di un anno e mezzo fa) e ancora disponibile qui.
Come si arriva a quella astronomica (e tristissima) cifra di 6.500? Basta leggere l’articolo per scoprirlo. Gli analisti del Guardian hanno sommato il numero dei decessi nel periodo 2011-2020 tra tutti gli immigrati in Qatar provenienti da questi quattro paesi: India, Bangladesh, Nepal e Sri Lanka: 5.927. A questi hanno sommato i dati rilasciati dall’ambasciata del Pakistan in Qatar: che riporta altri 824 lavoratori morti, appunto di nazionalità pakistana, tra il 2010 and 2020. Si tratta, ovviamente, di cifre considerevoli. Ma qual è la relazione con i Mondiali?
Si tratta soprattutto di un nesso temporale, a quanto pare, e non di un nesso causale: la sola vera relazione, a questo livello, è che i dati sono stati raccolti a partire dal 2011 (dal 2010 per il Pakistan) ovvero, grosso modo, a partire dalla data di assegnazione dei Mondiali (2 dicembre 2010) che, secondo il Guardian, avrebbe provocato un’ondata di immigrazione, dovuta alla costruzione di infrastrutture che non si sarebbe verificata se la manifestazione fosse stata organizzata altrove. Può darsi, ma occorrerebbe avere la serie storica e la comparazione con altri paesi dell’area, su tutti gli Emirati Arabi.
L’articolo segnala poi che la somma potrebbe essere anche più alta se si aggiungessero i dati relativi ai decessi di persone provenienti dalle Filippine e dal Kenya, altri paesi da cui arriva in Qatar un flusso considerevole di lavoratori. E inoltre, ci avvertono dal Guardian, i dati non coprono gli ultimi mesi del 2020 (senza parlare, aggiungiamo noi, di quelli del 2021 e del 2022 che seguono la pubblicazione dell’articolo).
Ma ecco che, leggendo oltre, scopriamo che di questi 6.500 lavoratori (che in una tabella dell’articolo diventano addirittura 6.750), “non sono catalogati per professione o luogo di lavoro”: insomma sono proprio tutti i morti in Qatar provenienti dai cinque paesi succitati nel corso del decennio 2010-2020. Compresi, per dire, i poco più di 250 morti di Covid.
Fino alla rivelazione che solo 37 di questi decessi riguardano lavoratori direttamente coinvolti nella costruzione degli stadi, ma ben 34 di questi 37 decessi sono classificati come non direttamente correlati al lavoro. È pur vero che questi ultimi calcoli sono stati fatti dal comitato organizzatore dell’evento, ma questo dovrebbe comunque indurre, casomai, a investigare ulteriormente, non ad assumere questo 6.500 come un dato incontrovertibile.
È pressoché certo che i lavoratori asiatici vivano e lavorino in condizioni disumane in Qatar, ma sarebbe innanzitutto da verificare se questo non accadesse anche il giorno prima, o l’anno prima, rispetto all’assegnazione dei Mondiali che, forse, hanno soltanto esacerbato un fenomeno già da tempo preoccupante.