Nell’ultimo periodo abbiamo sentito parlare spesso di tale organo, rimasto nell’ombra per molti anni e uscito alla ribalta soprattutto per lo stretto legame con due conflitti che ormai da diversi anni dominano lo scenario internazionale, l’invasione russa dell’Ucraina e l’escalation in Palestina, oltre che per la vicenda del generale libico Almasri, di grande imbarazzo per il governo Meloni. Cerchiamo allora di conoscere meglio questo soggetto.
Anzitutto è opportuno sottolineare come tradizionalmente il diritto internazionale si sia occupato della responsabilità degli Stati visti come entità collettive e chiamati in causa nell’ipotesi in cui i loro funzionari pubblici o soggetti comunque loro legati pongano in essere condotte illegittime. Esemplificativo a tal proposito è stato il caso del sequestro, da parte di alcuni studenti islamici, dei diplomatici statunitensi e dell’occupazione dell’ambasciata USA a Teheran nel 1979, anno in cui il Paese fu sconvolto dalla cd. rivoluzione islamica, che vide l’affermarsi al governo dell’Iran degli āyatollāh e la caduta del regime, laico ma altrettanto dispotico, degli shāh: secondo la Corte di Giustizia Internazionale gravava una responsabilità sullo Stato in sé, posto che, non solo il governo non aveva cercato di prevenire l’attacco, ma certi suoi esponenti lo avevano addirittura approvato ex post.
L’idea in tale settore del diritto di una responsabilità individuale è del tutto inedita, e si è affermata a fronte della commissione di reati talmente gravi e odiosi, da richiedere un quid pluris che coinvolgesse direttamente le singole persone fisiche, autori di tali atti.
La storia della giustizia penale internazionale consta di tre fasi effettive (1) e una “potenziale”:
La Corte è competente a giudicare in relazione ai crimini più gravi “motivo di allarme per l’intera comunità internazionale”, codificati nello Statuto stesso, nello specifico:
È opportuno sottolineare come la competenza della Corte non sia esclusiva, bensì governata dal principio di cd. complementarietà (4), poiché in linea di principio la repressione dei gravi crimini internazionali dovrebbe essere responsabilità degli Stati in virtù del cd. principio di universalità e la CPI può intervenire solo ove un processo nazionale non sia possibile o efficace, a causa della mancanza di volontà (pensiamo all’ipotesi di un’autocrazia, ove il potere giudiziario è assoggettato al tiranno) ovvero di capacità (pensiamo all’ipotesi di un failed state ove il sistema dei tribunali sia collassato).
La competenza della Corte trova poi ulteriori limiti nel senso che sussiste la sua giurisdizione in relazione a persone fisiche, purché vi sia, alternativamente, una delle seguenti condizioni: che il singolo sia cittadino di uno Stato parte ovvero che la condotta criminale sia avvenuta sul territorio di uno Stato parte. Vi sono poi due ulteriori possibilità: che il caso venga deferito alla CPI dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU ovvero che uno Stato ne accetti la giurisdizione tramite una dichiarazione unilaterale.
In ogni caso va rigettata l’idea di talune “Potenze”, tra cui USA, Russia e Cina, secondo cui la CPI non avrebbe in alcun caso giurisdizione sui cittadini di Stati non parte: una riserva di giurisdizione in favore dello Stato di nazionalità del presunto autore di reato non esiste nemmeno nel diritto penale “comune” (5), a maggior ragione ciò deve essere escluso nel diritto penale internazionale.
Inoltre la CPI non gode di una propria forza di polizia ed è dunque costretta ad affidarsi alla cooperazione degli Stati che hanno deciso di aderire al Trattato (6), i quali, seppur cresciuti nel tempo, non includono attori fondamentali nello scenario internazionale, tra cui Stati Uniti, Cina, Russia e India. Dunque lo Statuto di Roma pone diverse obbligazioni in capo agli Stati parte, tra cui forme di assistenza in materia di svolgimento delle indagini e raccolta del materiale probatorio e, soprattutto, l’obbligo di fermare e consegnare la persona oggetto di un mandato di cattura. Va comunque sottolineato che - come spesso avviene nel diritto internazionale, ritenuto infatti da certa dottrina un diritto “monco”, privo di reale coercibilità - le sanzioni per l’inadempimento degli Stati parte non manifestano una particolare efficacia deterrente, essendo spesso limitate a rimproveri verbali.
Non è poi ovvio che Stati a “giurisdizione evoluta” siano più ben disposti nei confronti della CPI rispetto a Stati con una normativa più rudimentale, infatti spesso la scelta di cooperare o meno ha più a che fare con l’esistenza di interessi politici sottostanti, meno con la “maturità” delle istituzioni (7).
Un dato certamente sconfortante è quello per cui, alla data del 2020, vi erano pendenti, talvolta da molti anni, diversi mandati di cattura rimasti inadempiuti, tra cui quelli relativi all’ex presidente del Sudan Omar Al-Bashir e vari leader delle milizie Janjaweed, per i massacri compiuti in Darfur, regione dello stato africano (8).
Volgendo lo sguardo all’attualità la CPI è intervenuta in diversi scenari.
Nel marzo del 2023 ha emesso mandati di arresto per Vladimir Putin e Maria Lvova-Belova, accusati di deportazione di civili, il primo sospettato in ragione di una responsabilità sia commissiva, per aver direttamente posto in essere le condotte, che omissiva, di mancata vigilanza sui subordinati civili e i militari russi. Nonostante questo il presidente della Federazione Russa si è potuto tranquillamente recare in Mongolia un anno e mezzo dopo, nell’ambito di una visita ufficiale, la prima tra l’altro dopo il mandato di cattura, nonostante Ulan Bator abbia ratificato (9) il Trattato nel 2002: emerge chiaramente come le valutazioni dei singoli governi, sui quali ricadrebbe la responsabilità politica per un arresto, siano influenzate, a maggior ragione nel caso in cui sia coinvolto un Capo di Stato estero, da una vasta serie di fattori ed elementi che poco hanno a che fare con gli obiettivi della CPI.
Altro caso celebre ha riguardato il premier israeliano Netanyahu e il ministro della difesa Gallant. I due sono stati raggiunti da un mandato di arresto nel novembre del 2024 e accusati di aver consapevolmente privato la popolazione civile di Gaza di beni di prima necessità, tra cui acqua, cibo, medicine, carburante ed elettricità, avendo ostacolato gli aiuti umanitari con una serie di restrizioni ingiustificate dal punto di vista della necessità militare; l’agevolazione dell’assistenza umanitaria che talvolta vi è stata da parte di Tel Aviv è sembrata poi essera stata una mera reazione alle pressioni provenienti dalla comunità internazionale e specialmente da Washington.
È opportuno sottolineare come, se nel secondo caso la CPI è potuta intervenire grazie all’adesione allo Statuto da parte della Palestina - a cui viene riconosciuta una parziale soggettività giuridica - nel 2015, in relazione alla prima vicenda, né la Russia né l'Ucraina erano (Kyiv lo è diventata in seguito) Stati parte: su cosa si è basata dunque la giurisdizione della CPI? Sulla base di una dichiarazione unilaterale da parte dell’Ucraina, titolata ad accettarne l’intervento proprio perché i crimini attenzionati si erano svolti sul proprio territorio, nonostante la diversa e fuorviante ricostruzione storica del Cremlino.
Dobbiamo quindi chiederci più nel dettaglio come si svolga l’iter di fronte alla Corte:
Segue l’indagine, in ogni caso affidata al Procuratore, che può determinare l’emissione di una citazione a comparire ovvero di un mandato di arresto, la cui attuazione da parte degli Stati riveste una certa importanza, visto che non è possibile procedere in assenza dell’imputato, essendo vietato il giudizio in contumacia, previsto in molti ordinamenti nazionali, tra cui in Italia.
Il processo si svolge secondo elementi riconducibili al modello di Civil Law (affermatosi in Europa continentale), posto che la sentenza verrà pronunciata non da una giuria popolare, bensì da giudici e dovrà presentare un’approfondita motivazione scritta, inoltre il giudice di appello potrà riformare anche l’accertamento dei fatti svolto dal giudice di primo grado; vi sono comunque delle caratteristiche tipiche dei sistemi di Common Law (affermatisi nei Paesi anglosassoni), come il diritto dell’imputato di controesaminare i testimoni e l’impianto accusatorio nella formazione della prova (10).
Ponendo il focus sui soggetti che governano la CPI, i diversi giudici che costituiscono la Camera e le Sezioni e il Procuratore sono esperti di diritto internazionale o penale, eletti per un mandato non rinnovabile di 9 anni dall’assemblea degli Stati parte dello Statuto che deve esprimere una maggioranza di due terzi, dunque deve trattarsi di soggetti in grado di ricevere un ampio consensus; in ogni caso vale il principio per cui uno Stato equivale ad un voto, indipendentemente dalla sua popolazione e dal rispetto dei valori liberal-democratici. Inoltre è previsto un sistema di quote di genere e geografiche, per garantire equilibrio nella rappresentanza dei due sessi e delle diverse aree del mondo.
Nonostante le indubbie criticità il valore della CPI sembra indubbio, anche da una prospettiva più politica che giuridica in senso stretto dato che la sua attività può contribuire ai vari processi di “rinascita” di parti del mondo afflitte da gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani, rendendo noti fatti occulti, eliminando dalla scena istituzionale i responsabili di crimini atroci e in definitiva contribuendo alla riconciliazione nazionale. A tal proposito deve essere segnalata la prassi, che verrà probabilmente incoraggiata dalla CPI, di creare tribunali “ibridi”, con una duplice componente, nazionale e internazionale, al fine di aiutare Paesi in via di sviluppo ad affrontare e superare fasi buie della loro storia recente, come avvenuto in Sierra Leone e Cambogia nella seconda metà del XX secolo.
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