Alcuni modesti dubbi sull’idea di estendere il voto ai sedicenni.

Se il voto contasse qualcosa, state pur certi che non sarebbe neanche in discussione l’ipotesi di estenderlo ai sedicenni.

Dare il voto ai sedicenni suona bene. E’ un idea “liberal” e trasmette la sensazione di avere a cuore le sorti dei giovani. Ma può essere anche uno specchietto per le allodole. In fondo se volessimo dar loro qualcosa di utile e concreto potremmo smettere di ipotecargli il futuro, invece di offrirgli qualcosa in cui la maggioranza dei cittadini ha smesso di credere da tempo.

Ma qualunque professione di buon senso o di analisi lucida su queste tematiche rischia di apparire becera e disfattista.

Cosa potrà mai la logica elementare ed argomenti concreti contro la visione del nuovo Partito Democratico che condivide le iniziali con un inesistente e ormai improbabile Partito Draghi?

Nulla. Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.

Lasciamo allora cadere qualche modesta perplessità.

In primo luogo l’età per votare è una scelta meramente convenzionale. Non c’è un motivo scientifico per il quale 18 sia meglio di 19 o di 17. Ci sono una serie di cose tipo guidare un’automobile, bere alcolici, essere penalmente responsabili o, appunto, esercitare il diritto di voto, che a un certo punto devono cominciare. L’inizio si colloca più o meno tra i 16 e i 21 anni ed è un accidente culturale moderno, poiché in passato si entrava nell’età adulta ben prima.

Per quale motivo modificare una convenzione dovrebbe avere qualche effetto pratico sulla società? Certo, è del tutto evidente che gli interessi dei più giovani abbiano priorità inferiore in una società dove essi sono numericamente inferiori. Ma nulla ci dice che abbassando l’età per votare questi interessi dovrebbero ricevere una tutela maggiore. Affinché queto avvenga, sarebbe necessaria l’esistenza di una “coscienza di classe” dei nuovi votanti e una reale contendibilità delle cariche elettive. Nessuno di questi due presupposti è legato a quella convenzione che chiamiamo maggiore età.

Anzi osservando l’esistente vediamo che mentre i più anziani, specie i pensionati, votano in modo coordinato per difendere i propri interessi, questo non avviene tra i venti i trenta anni. Perché il biennio 16 e 17 dovrebbe fare la differenza?

Ma il nodo principale è l’altro presupposto: se l’accesso alle cariche elettive è controllato dai partiti politici esistenti a che serve scegliere su un menu dove non ci sono portate per noi?

E se il voto ai sedicenni fosse  una visionaria e accattivante iniziativa simbolica dalle scarse o nulle conseguenze concrete?  

Per intenderci il tema del futuro rubato e degli interessi delle coorti più giovani esiste ed è grave, ma non può essere non dico risolto, ma neanche affrontato senza mettere in discussione i privilegi e le rendite di posizioni delle generazioni precedenti.

Cominciamo a rendere più contendibili tutte le posizioni, a creare un sistema dove di può lavorare  e fare impresa più facilmente e senza i gravami di oneri ingiusti legati a promesse tanto generose quanto insostenibili fatte dai politici passati. 

Magari potremmo accorgerci che il voto ai sedicenni non è così rilevante. 

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