Addizionale straordinaria e credito d’imposta, redditi salvi fino al 2021

Per attenuare l’impatto negativo delle nuove norme sanitarie e di quelle che, presumibilmente, verranno adottate nei prossimi mesi è necessario sostenere temporaneamente i redditi dei milioni di italiani per i quali sta diventando impossibile o molto difficile lavorare. A tal fine lo stato italiano può e dovrà indebitarsi sul mercato dei capitali ma, abbiamo argomentato nella prima parte, esso dovrebbe anche adottare la leva della redistribuzione fiscale.

Sulle forme dell’indebitamento si è già scritto molto; i pro ed i contro delle opzioni sul terreno sono chiare e la scelta, ora, rimane alla politica. Per quanto riguarda, invece, la possibilità di effettuare una temporanea redistribuzione del reddito a sostegno della domanda aggregata la discussione s’è incentrata sull’eterna torta in cielo: la tassa sui “grandi patrimoni”. Data la particolare composizione della ricchezza privata italiana (tanti immobili e tanto debito pubblico) la patrimoniale costituisce, da sempre, una pessima idea. Nelle attuali circostanze sarebbe puro suicidio: anche tralasciando l’esodo delle poche grandi ricchezze residue, tassare il patrimonio quando è sottovalutato conduce a realizzi tanto improvvidi quanto dannosi. Distruzione di ricchezza immobiliare privata a parte, l’effetto più probabile sarebbe una fuga dal debito pubblico proprio nel momento in cui le casse dello stato abbisognano dell’opposto!

Concentriamoci quindi sull’ipotesi di un trasferimento temporaneo di reddito da chi lo vede rimanere costante o aumentare verso chi deve forzosamente accettarne una riduzione. Tale trasferimento è implementabile, quasi totalmente, attraverso un’imposta addizionale straordinaria collegata ad un credito d’imposta, altrettanto temporaneo. Imposta e credito vanno collegati da un vincolo di destinazione: il gettito dell’imposta addizionale dovrebbe andare tutto e solo a copertura del credito d’imposta.

Ogni persona che dichiari un reddito pari o maggiore alla media dei due anni precedenti sarà soggetta ad una imposta addizionale straordinaria. Tale imposta varierà in modo progressivo al crescere dello scaglione di reddito, essendo uguale a zero sui redditi uguali o inferiori ad un valore minimo che stimerei attorno ai 15mila euro. Viceversa, ogni persona che dichiari un reddito inferiore alla media dei due anni precedenti avrà a disposizione un credito d’imposta da determinarsi in funzione della media ponderata di due variabili: lo scaglione di reddito (fino ad un massimo) e la diminuzione di reddito sofferta (sino ad un minimo). Quando quel massimo o quel minimo vengono superati il credito d’imposta si azzera.

Ho azzardato solo il limite inferiore di reddito sotto il quale non andrebbe applicata alcuna imposta addizionale perché, in questa sede, ritengo cruciale stabilire anzitutto i principi socio-economici su cui questa proposta si fonda. I dettagli numerici possono esser ragionevolmente formulati solo dopo aver preso in debito conto sia variabili di sostenibilità politica sia quale possa essere l’indebitamento addizionale massimo possibile che eviti tensioni sui tassi d’interesse.

Ho voluto indicare un limite sotto il quale l’addizionale non andrebbe applicata sia per evitare l’iniquità di tassare i milioni di pensionati e lavoratori precari che stan sotto quella soglia sia per sottolineare che anche una piccola addizionale (nell’ordine del 5%-8%) che parta da redditi medio-bassi manderebbe un forte segnale di solidarietà sociale verso le categorie più colpite. Vale la pena sottolineare, inoltre, che lo schema proposto non avvantaggia il lavoro nero e l’evasione ma, anzi, li punisce. Chi negli anni scorsi avesse lavorato in nero o dichiarato redditi ridicolmente bassi avrebbe gravi difficoltà a provare una ulteriore caduta del proprio reddito al fine d’ottenere il credito d’imposta.

È fuor di dubbio che il gruppo di maggior consistenza numerica fra coloro che dovrebbero sopportare l’imposta addizionale sia composto da pensionati e dipendenti pubblici con redditi superiori alla soglia minima, anche se non mancherebbero svariati milioni di lavoratori del settore privato. Il gruppo che dovrebbe pagare l’addizionale include, dunque, gli operatori sanitari e della protezione civile ed altri impegnati in prima linea a combattere l’epidemia: tassarli ulteriormente sembra una pessima idea. Questo danno collaterale è però facilmente evitabile attraverso degli adeguati bonus a carico delle amministrazioni pubbliche da cui questi lavoratori dipendono. Tali bonus dovrebbero, in sede di conguaglio fiscale, compensare per la tassazione addizionale o, se del caso, aggiungere un premio di produzione laddove appaia giustificato.

Riassumendo: addizionale e credito d’imposta dovrebbero essere squisitamente temporanee (anno fiscale 2020 e 2021) ed avere un impatto netto pari a zero sul bilancio pubblico in forza di un vincolo di destinazione. Il combinato disposto agirebbe sia di sostegno alla domanda aggregata, sia come fattore di contenimento del debito pubblico, sia come ammortizzatore sociale a fronte dei drammatici effetti redistributivi (aumentata disuguaglianza) che il virus e le misure prese per combatterlo stanno avendo ed ancor più avranno.

Questo e le altre misure di sostegno finanziario ad imprese e famiglie che in questi giorni si vanno discutendo sarebbe però del tutto inutile in assenza della mossa zero di politica economica: mettere pubblicamente ed esplicitamente in marcia il processo di graduale ritorno alla normalità. In assenza di questa fondamentale scelta strategica non vi è misura fiscale o finanziaria che tenga.


[fonte: ilsole24ore]

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