Draghi e l'isola che non c’è (ancora)

C’è un pensiero che, in questi giorni, solletica la fantasia di chiunque possegga una cognizione, anche minima, dei mali atavici che affliggono questo paese; un tarlo insistente, che si fa strada, come la proverbiale goccia che scava la roccia, nella calotta cranica di tutti quelli che, negli ultimi anni hanno sottratto tempo al lavoro, alla famiglia e allo svago personale, per urlare contro i mulini a vento che il re è nudo, la terra non è piatte e che “eppur si muove”, senza girarci troppo intorno:

Che questa sia la volta buona?

 

Provo a ricollegarmi alle riflessioni fatte su questo sito da Michele e Costantino, cercando di adottare un approccio in stile “Ulisse e le sirene”, ossia di provare a vincolarmi alle catene della logica elementare a alla zavorra di argomenti solidi per non cedere alla fortissima tentazione del  wishful thinking.

Prima ovvia constatazione: non esiste un governo politico, perché se esistesse non ci sarebbe la necessità di chiamare un terzo incomodo, che sarebbe forse riduttivo chiamare tecnico. Se non esiste governo politico, non esiste neanche la necessità di scendere a patti con i partiti tradizionali. Un governo politico, che non sia espressione di un unico partito, in genere deve mediare tra le diverse anime di una coalizione. Un governo di salvezza nazionale, come quello affidato a Mario Draghi, si dovrebbe reggere sulla semplice constatazione che la quasi totalità delle persone, che oggi siedono nel parlamento italiano, non trovano conveniente a titolo personale la prospettiva di andare al voto.

In primo luogo, non conviene perché è possibile che nuove elezioni non risolvano il problema di realizzare un parlamento in grado di esprimere una maggioranza di governo. In secondo luogo, chi è favorito nei sondaggi, dovrebbe gestire la patata bollente di un paese massacrato dalla crisi economica, oltre che dalla pandemia e il dilemma di piano di ripresa europeo che, pensate un po', per autorizzare dei fondi, richiede la presentazione di programmi credibili. In terzo luogo, ovviamente, chi dai sondaggi non è favorito, ha tutta la convenienza a temporeggiare.

Dunque il partito unico che appoggia il governo Draghi si chiama TINA, there is no alternative.

Stiamo dicendo che, una  persona che possiede la ricetta per salvare questo paese da se stesso, si trova nella posizione di governarlo, senza dover ricercare il consenso di una popolazione che, in larga misura, quella ricetta non sa, non vuole e non può capire. Aggiungiamo che, questo signore ha davanti un parlamento che non può dirgli di no, senza danneggiare se stesso, possiede competenze e credibilità, che hanno pochi eguali al mondo e non deve preoccuparsi trovare un lavoro o una collocazione quando avrà terminato la sua missione impossibile.

Il canto delle sirene è quasi irresistibile, ma la logica e il buon senso ci vengono in soccorso.

L’ex presidente della BCE, non è un pirata né un dittatore e non potrà salvarci contro la nostra volontà. Una prospettiva plausibile, ben delineata nell’articolo di Michele, è che, la maggioranza della classe dirigente e politica italiana stia cercando di lasciare il “lavoro sporco” al tecnico di turno, con la speranza di manipolarlo, per poi subentrare appena possibile e godere dei frutti del suo lavoro, nella fattispecie dei fondi europei per la ripresa.

Il governo tecnico in arrivo non può compiere da solo la missione impossibile, può creare i presupposti e impostarla, ma solo un vero e proprio “partito di Mario Draghi” può realizzarlo. Parliamo di una forza politica che raccolga l’eredità morale e intellettuale di questo nuovo “padre della patria”, che nel frattempo sarà asceso al quirinale.

Ecco che il sogno si interrompe bruscamente.

Questo partito al momento non solo non c’è, ma la materia prima attualmente disponibile nella classe politica oggi esistente è in larga misura inadeguata.

Se il partito di Draghi non esiste, perché un personaggio della sua caratura si dovrebbe prestare a togliere le castagne dal fuoco a una classe politica che, ricambiata, non lo ama e vorrebbe usarlo come strumento per mantenere il proprio status  privilegiato? Forse per spirito civico, per interrompere ancora una volta “la cronaca di una morte annunciata” del paese che in fondo ama ancora. Non si può dire, lo scopriremo solo vivendo.

Ma forse quel partito può esistere e, ora che ci sono le condizioni, qualcuno dovrebbe pensare di realizzarlo. Ma dove li troviamo campioni capaci di scendere in campo? Dove si nascondono questi super eroi, super tecnici, super manager e super politici?  La risposta più semplice e razionale è che forse dovremmo smetterla di chiederci, chi mai riuscirà a salvarci e iniziare a rimboccarci le maniche, per farlo da soli.

Non servono eroi, ma è sufficiente gente normale.

Gente che sappia leggere e scrivere e far di conto. Gente che abbia dovuto lavorare per guadagnarsi da vivere e che abbia una cognizione di massima di come si sta al mondo. Decenni di selezione avversa hanno seppellito le persone oneste e capaci sotto un cumulo di spazzatura, la prima rivoluzione del partito di Draghi dovrebbe essere semplicemente riportarli alla luce.

Non è questa l’ora di convincere un popolo martoriato a darsi la zappa sui piedi con programmi di lacrime e sangue. E’ un momento storico nel quale l’Europa ci offre un’apertura di credito per mitigare il costo sociale delle riforme strutturali, i tassi d’interesse sono sotto zero e  il fronte unitario di una classe dirigente inadeguata appare diviso, fragile e pronto a spaccarsi.

Tra i componenti della mia bolla sociale c’è un entusiasmo che mi riporta indietro di 35 anni e mi fa risentire l’entusiasmo Napoletano, che canta squarciagola “Draghi è meglio e Pelè”.

Suggerisco di stare calmi e di ascoltare musica più tranquilla, un motivetto dolce,  composto da un architetto, anche lui napoletano,  che amava le favole e fa più o meno così:

Seconda stella a destra, questo è il cammino

E poi dritto fino al mattino

Poi la strada la trovi da te

Porta all'isola che non c'è

Edoardo Bennato

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