La mancanza di campioni europei è davvero colpa dell’antitrust?
Abbiamo bisogno di un nuovo approccio alle politiche sulla concorrenza, più favorevole alle aziende che si espandono nei mercati globali, garantendo sempre condizioni di parità. Ciò dovrebbe riflettersi nel modo in cui valutiamo le fusioni in modo che l’innovazione e la resilienza siano pienamente prese in considerazione [1].
Sono le parole usate dalla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen nel piano “Europe’s Choice” presentato prima delle votazioni del 18 luglio. Migliorare la competitività delle imprese europee è tra le priorità del programma e ripensare l’approccio dell’antitrust è fra le iniziative suggerite con questo scopo. Ma ne abbiamo veramente bisogno?
Che in Europa ci sia un problema è indubbio. Nel 2022 gli investimenti delle grandi aziende in UE erano quasi il 40% in meno rispetto alle loro rivali d’oltreoceano e la produttività del vecchio continente è da anni rimasta dietro a quella americana (anche considerando che in UE si lavora mediamente di meno) [2]. Un dato più di tutti ben rappresenta il problema in Europa: quest’anno, nella lista Forbes delle 2000 società più grandi al mondo, solo 6 tra le prime 50 classificate provengono dall’UE [3].
Insomma, l’economia europea è meno competitiva di quella americana e mancano dei “campioni” nazionali. Il tema è chiaro a Bruxelles ed il programma proposto dalla Presidente della Commissione europea, così come il report affidato a Mario Draghi, dimostrano la volontà di invertire la rotta.
Tuttavia, benché il problema sembrerebbe essere chiaro, meno evidente è come risolverlo, e la proposta di ripensare le norme in materia di fusioni lascia quantomeno perplessi. L’idea non è nuova, anzi, torna ciclicamente nel dibattito europeo. L’ultimo caso più noto fu nel 2019 quando la Commissione europea bocciò la proposta di fusione tra i giganti Alstom e Siemens [4]. Alla decisione della Commissione seguì la pubblicazione del manifesto franco-tedesco per ripensare la politica industriale europea [5] ed in particolar modo le norme in materia di fusione tra imprese.
La tesi di fondo era ai tempi la stessa di oggi. La competizione interna nei mercati europei è così feroce che le imprese non hanno risorse sufficienti da investire in innovazione. Se si unissero le forze si potrebbe investire di più in ricerca e sviluppo e competere a livello globale. Per questo motivo, l’antitrust dovrebbe essere più tollerante e lasciare che le imprese si fondano.
L’argomentazione sembrerebbe essere piuttosto convincente ma ridurre la concorrenza nei mercati europei potrebbe avere un effetto opposto a quello desiderato.
La relazione tra concorrenza in un mercato e livello di innovazione non è del tutto chiara. Sul piano teorico, esistono argomenti sia a favore che contro l'idea che un maggior livello di concorrenza sia desiderabile. Ma ammettiamo che sia vero e che troppa competizione impedisca l’innovazione dal momento che le imprese, competendo ferocemente, diminuiscono i prezzi fino ad annullare i profitti e non hanno perciò sufficienti risorse da investire in innovazione. In questo caso, parrebbe plausibile pensare che esista un rapporto a forma di “U” rovesciata tra innovazione e concorrenza [6].
Un po’ di concorrenza quindi incentiverebbe l’innovazione dal momento che impedirebbe alle imprese di “adagiarsi sugli allori”; d’altro canto, troppa concorrenza ridurrebbe l’innovazione per il motivo spiegato in precedenza.