La proposta "dote ai diciottenni" si ispira a quella analoga elaborata dal forum sulle diseguaglianze di Fabrizio Barca. Quella di Barca prevedeva una eredità universale da garantire a tutti i diciottenni, indipendentemente dall'ISEE, pari a 15.000 euro in modo che "tutti e tutte siano sullo stesso piano". Al netto dell'analisi economica a monte della proposta, corretta, quell'assunto secondo il quale con una dote pubblica universale tutti siano sullo stesso piano è con ogni evidenza un errore: il figlio di Berlusconi o di Del Vecchio, cui andrebbe comunque la dote, non sarà mai nelle stesse condizioni di partenza del figlio della signora Maria. Ma nella proposta Barca c'erano anche elementi positivi, ad esempio erogare "servizi abilitanti" attraverso la scuola per dare ai giovani consapevolezza dell'utilizzo di quella dote. Paternalistico forse ma comunque inquadrato in un percorso formativo che in Italia è carente di elementi di economia e di educazione al lavoro.
La proposta Letta è molto più semplice e, dunque, grossolana. Prevede un aumento dell'imposta di successione su base progressiva per i patrimoni sopra i 5 milioni di euro allo scopo di trasferire alla metà dei diciottenni 10.000 euro per un costo complessivo di 2.8 miliardi annui.
Parte della retorica di questi giorni, quella più aggressiva, si basa sul fatto che le tasse di successione siano in Italia particolarmente basse, specie se rapportate a quelle dei Paesi a noi vicini, Germania, Francia, UK. Questo è un dato incontrovertibile sotto il profilo del gettito: l'erario italiano incassa mediamente il 6% di quanto incassano da quella voce gli stati citati.
Si tratta in ogni caso di valori molto bassi. La Germania, che dalle tasse di successione con aliquota pari al 30% incassa 7 miliardi, ha un total tax revuene di 1.338 miliardi (dati OECD 2019). Le tasse di successione rappresentano lo 0,05% del totale. Sempre la Germania ha una pressione fiscale di quasi 4 punti inferiore a quella italiana (38,8% contro 42,4%).
In Francia, in cui si applica un'aliquota pari al 45% e che incassa 14 miliardi, le revenues da imposta di successione rappresentano l'1,27% del totale delle imposte incassate. Sempre, in ogni caso, parva materia.
Con riferimento al caso Italia i 2.8 miliardi corrisponderebbero a poco meno del 100% di quanto erogato solo in quest'ultimo anno ad Alitalia, al 50% della spesa per il reddito di cittadinanza, al 50% della spesa per quota 100, quest'ultima si una misura esplicitamente e senza dubbio contro i giovani.
Alcuni (Emanuele Felice) arrivano a dire che l'Italia è un paradiso fiscale per le successioni.
Ora, accostare la locuzione "paradiso fiscale" all'Italia suona già cacofonico di suo data la macchina infernale che il legislatore è riuscito a mettere in piedi in oltre cinquant'anni di storia, ma è fuoriviante anche per un altro motivo: per essere paradiso fiscale serve che l'imponibile soggetto a tassazione sia facilmente trasferibile nel paradiso specifico e non risulta che rampolli del top 1% dei redditi nel mondo abbiano mai pensato di trasferire la residenza fiscale nel Belpaese. In realtà se ne guardano bene, non solo loro ma anche le aziende mediograndi, proprio per la complessità della burocrazia, della giurisprudenza e del fisco.
Detto ciò un aumento del prelievo sulle successioni potrebbe essere anche auspicabile a patto che non sia una misura di politica fiscale a sé.
Il patrimonio degli italiani, sia quello del top 1% che vuole essere colpito da Letta, sia il resto, è per i 2/3 rappresentato da immobili. Sono all'incirca 4.900 miliardi all'interno dei quali ci sono appartamenti e aziende. Introdurre una nuova tassa sui trasferimenti vorrebbe dire essenzialmente aumentare le tasse sugli immobili. E' bene tenerlo a mente quando si parla di fisco. I patrimoni liquidi invece sono per definizione mobili e quindi, specie per la ristretta fascia di super ricchi, sarebbe facilissimo impostare operazioni estero su estero sfuggendo all'imposizione.
La soglia dei 5 milioni, nelle intenzioni del PD spartiacque fra la ricchezza e il ceto medio, è fuorviante e non è indicazione di reddito. Dato che l'imposta di successione non grava sul de cuius ma sul patrimonio ereditato, a pagarla sarebbero gli eredi i quali potrebbero non avere redditi sufficienti a pagare l'imposta
Nella conferenza stampa di qualche giorno fa Draghi ha liquidato la proposta Letta con due semplici ma quanto mai efficaci risposte:
1) non è il momento di chiedere, bensì quello di dare
2) Dal 1969, anno di introduzione dell'IRPEF, si è sempre proceduto con misure di politica fiscale additive. Quello che serve al paese è una riforma complessiva e organica della materia fiscale e non una nuova tassa.
La riforma dell'IRPEF prevista per luglio ha, forse per la prima volta grazie al meritorio lavoro dell'onorevole Luigi Marattin, seguito un percorso di studi e di pareri coerenti al fine di arrivare ad un fisco più equilibrato, giusto, semplice e non predatorio. Il prelievo fiscale è talmente complicato che per la banale compilazione del modello unico servono 354 pagine di istruzioni. Se non si inquadra qualunque imposta o tassa all'interno di un quadro organico di riforma che passi attraverso un restyling non solo di aliquote ma anche di tax expenditures, esenzioni e franchigie, il fisco resterà materia inutilmente complicata. La proposta Letta segue il vecchio cliché del "prima tassiamo e poi vediamo se c'è spazio e tempo per una riforma".
L'altro cliché è ancor più perverso: "prima tassiamo e poi vediamo come spendere i soldi".
Dice il PD che la dote servirà a comprare casa, avviare un'attitità professionale, ma non dice come verrà erogata, se si cumulerà con altre misure agevolative già in vigore o previste dal governo, se è previsto un vincolo temporale e di merito di spesa, se la sua spesa sarà in qualche modo monitorata dall'agenzia delle entrate o altro organo di controllo. Letta resta sul vago rendendo la proposta ottima per far campagna elettorale ma poco coerente con le pratiche della buona politica.
Solletica inoltre quella mai nascosta pulsione, propria della sinistra italiana, contro il successo, il merito e la ricchezza.
Infine trascura l'effetto aspettativa. Esattamente come è avvenuto per la flat tax di Salvini che ha incentivato chi poteva a fermarsi sotto la soglia dei 65.000 euro di fatturato, incentiva comportamenti elusivi all'approssimarsi dei 5 milioni. Uno degli insegnamenti compevolmente più trascurati dai nostri legislatori è la finanza comportamentale; ovvero come gli agenti economici rispondono alle mutate condizioni di mercato e fiscali nei quali si muovono. Ancora una volta chi può, nella fattispecie i grandi e i grandissimi patrimoni che dovrebbero essere colpiti da questa misura di "giustizia sociale redistributiva", avrebbero gioco facile a sottrarre al fisco quanto accumulato trasferendo le attività laddove il fisco funziona meglio e dove non è sottoposto ogni anno ai nuovi appetiti della classe politica; a prescindere dalle aliquote.
In definitiva la proposta Letta va bocciata nel merito perché intrinsecamente demagogica e priva anche di un accenno di visione organica di un capitolo, quello delle imposte, che in Italia rappresenta una giungla infernale in cui con fatica le famiglie tentato di districarsi.
Invece di proporre nuove tasse a favore dei giovani non sarebbe meglio orientare meglio e a loro favore la spesa pubblica, cancellare o ridurre i bonus, investire in scuola formazione e lavoro, garantire l'accesso allo studio ed evitare la dispersione scolastica, ripristinare un sistema pensionistico equo?