SPARATE PURE SUL PIANISTA

Ok io la penso così (sparatemi)

 

1) attualmente ci sono alcuni settori che producono beni e servizii vitali che non sono stati chiusi, ma che continuano ad operare (ovviamente con tutta una serie di adattamenti fondamentali);

2) i lavoratori di quei settori non sono kamikaze e finora (anche se ci sfuggono moltissime dinamiche del contagio) non mi sembra che sia stato segnalato alcun focolaio legato a qualche specifico luogo di lavoro manifatturiero (niente di paragonabile alle Rsa della provincia di Bergamo per dire);

3) punto-chiave: non c'è nessuna correlazione tra quanto fondamentale sia il bene o il servizio prodotto e il coefficiente di rischio di contagio (che ovviamente si calcola su altri parametri). cioè non è che se tu produci pane o inscatoli pelati o produci farmaci, per il solo fatto che questi sono bene vitali allora corri un minor rischio di contagio sul luogo di lavoro rispetto a chi produce videogame o divani. Quindi se sta bene il panettiere, perché non può star bene anche il mobiliere (se usa le stesse cure?)

4) la politica di lockdown (tra l'altro applicata in questo modo prima lento, poi schizofrenico e alla fine fondamentalista) NON è l'unica possibile. E invece da noi vige il pensiero unico. Oltretutto c'è il rischio di un ritorno. La migliore politica pare essere stata la test and tracing applicata a Taiwan, Singapore, Corea del Sud, Giappone e per certi versi anche in Germania e, a quanto pare, anche in piccole realtà italiane come Vò e Medicina. Per il resto del Nord ormai è tardi, anche se nel Centrosud potrebbe ancora dire la sua. L'immunità di gregge pura sembra una follia, ma forse elementi di questa possono essere inclusi in un approccio complessivo. 

Insomma, la butto lì, siamo così sicuri di stare facendo bene? Siamo così sicuri di stare davvero minimizzando i danni?

 

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