Nuove dinamiche migratorie

L’emisfero occidentale sta assistendo ad un esponenziale arrivo di nuovi immigrati.

Separare la personale visione sull’argomento, a maggior ragione se a favore e se posta nei termini di macro-argomenti quali previdenza sociale e occupazione, da quelli che sono alcuni degli effetti documentati potrebbe risultare fondamentale sotto molti punti di vista.

L'immigrazione cosiddetta “low-skilled” rappresenta un fenomeno complesso che ha importanti implicazioni sia sui nativi che sull'economia dei paesi ospitanti. Diversi studi hanno esplorato queste dinamiche, rivelando risultati significativi che variano in base a fattori geografici, demografici ed economici.

Recap statistico e primi timori

Nel corso del 2023, circa 3,3 milioni di nuove persone si sono trasferite negli Stati Uniti rispetto alle partenti controparti. I numeri in entrata superano di quasi quattro volte i livelli osservati nel 2010.

Il Canada ha accolto 1,9 milioni di immigrati. La Gran Bretagna 1,2 milioni, tre volte e mezzo l’afflusso registrato nel 2019, mentre l'Australia 740.000.

Per l'Australia e il Canada la migrazione netta è più che raddoppiata rispetto ai livelli pre-covid. In ognuno di questi paesi il numero è stato il più alto mai registrato.

Secondo l’IMF, la fetta di forza lavoro degli Stati Uniti nata fuori dai confini nazionali è aumentata del 9% rispetto ad inizio 2019. In Gran Bretagna, Canada e Zona Euro è aumentata di circa un quinto.

Questo boom migratorio sembra indirizzare verso determinate conclusioni, tra le quali il fatto che l’economia statunitense si espanderà del 2%, rispetto alle previsioni, per tutto il prossimo decennio. L'afflusso di lavoratori in entrata aiuta anche, di fatto, a spiegare e comprendere la forte crescita economica del paese.

L’impatto complessivo dell'immigrazione va però oltre ad un semplice effetto aritmetico sul PIL: si estende all'inflazione, agli standard di vita e ai bilanci governativi.

La grande novità sta però proprio nelle caratteristiche dei nuovi arrivati. Tali differiscono dai protagonisti di trend precedenti in un elemento specifico. La maggior parte dei nuovi migranti sono ora a bassa qualifica.

Vari “personaggi”, tra i quali Jerome Powell, Gita Gopinath dell’IMF e Michelle Bullock della Reserve Bank of Australia sostengono che la migrazione aiuti a contenere l'aumento dei prezzi alleviando la carenza di manodopera. Tuttavia, l’evidenza a riguardo non sembra essere particolarmente solida e, addirittura, sembrerebbe puntare nella direzione opposta.

In tutto il G10 vi è poca correlazione tra immigrazione e rallentamento della crescita salariale. Senza considerare il fatto che ogni immigrato necessita di beni, facendo lievitare la domanda domestica.

Questo elemento è particolarmente evidente se si osserva il prezzo degli alloggi in affitto. Un’analisi di Goldman Sachs dimostra come in Australia ogni aumento annuo di 100.000 unità di migranti netti in ingresso porti ad un incremento degli affitti di circa l’1%.

Nonostante i nuovi arrivati stiano ovviamente incrementando il PIL nazionale, allo stesso tempo generano una spinta verso il basso del PIL pro capite, generalmente utilizzato come misura standard per valutare la crescita economica di uno Stato.

Il PIL pro capite è diminuito, o comunque non è aumentato, per quattro trimestri consecutivi in Australia e per sette in Gran Bretagna. In Canada, dove il calo della misura è stato più pronunciato, la produzione pro capite è diminuita del 2% nel 2023. La situazione è pressoché analoga in Germania, Islanda e Nuova Zelanda.

Questo quadro evidenzia ancor di più il netto cambiamento in termini di “classe” migratoria.

Prima della pandemia covid-19, gli immigrati negli Stati Uniti avevano la stessa possibilità di laurearsi dei cittadini nativi; adesso i nuovi arrivati sono più propensi a provenire da aree rurali e impoverite dell'America Latina e in gran parte non dispongono del permesso di lavoro.

Circa 2,4 milioni di individui hanno varcato illegalmente il confine meridionale degli Stati Uniti durante il 2023. In altre “developed countries” il numero registrato è stato inferiore, nonostante si sia ugualmente verificato un rapido aumento di immigrazione a bassa qualifica e salario.

Lo scorso anno, la quantità di migranti che si sono trasferiti in Australia con un visto lavorativo rientrante in mansioni qualificate è stata del 20% inferiore rispetto al 2019. Sempre nel 2023, in Canada, 800.000 lavoratori (part-time) e studenti stranieri hanno rappresentato la più rilevante componente dell'aumento della popolazione, pari al 3,2%.

La Gran Bretagna ha lasciato l’Unione Europea con l’intenzione di assicurarsi un sistema migratorio più limitato e, soprattutto, più specializzato.

Nonostante ciò, meno di uno su cinque nuovi arrivi nel 2023 era un lavoratore cosiddetto “skilled”. L'aumento di permessi legati a lavori non universitari è stato del 51% nel biennio 2021-2023 mentre le richieste di visti per studenti sono cresciute del 70% rispetto al 2019, la cui maggior parte è stata erogata per master offerti da università poco o meno costose e, soprattutto, non molto selettive.

Settori come quello agricolo o alberghiero, i quali lamentano maggiormente la carenza di personale e ricorrono soventemente all’assunzione di migranti, tendono a non necessitare di competenze specifiche o di precedenti esperienze lavorative, offrendo paghe e ambienti lavorativi tutt’altro che invidiabili.

Allo stesso tempo, segmenti economici richiedenti maggiori qualifiche e meglio remunerati non traggono particolari vantaggi da tale flusso migratorio in aumento.

Che poi non è altro che la principale ragione per cui migranti poco qualificati preoccupino tanto in termini di riduzione dei livelli di reddito.

Come riscontrato da alcuni studiosi, i dati su questo specifico punto sono tutt’altro che limpidi.

Giovanni Peri della University of California, osserva che, qualora un immigrato “low-skilled” appena immesso nell’economia domestica, lavori per un reddito inferiore alla media, il PIL pro capite diminuisce nonostante il contributo positivo sull’aumento del reddito di ogni individuo. Studi come quello di Peri, evidenziano un fil rouge presente nella ricerca sul perchè e sul come siano proprio i lavoratori “skilled” nativi del paese ospitante a trarre benefici dall'arrivo di lavoratori a bassa qualifica. Questa dinamica permette infatti ad essi di accettare e ricoprire ruoli più produttivi e ben retribuiti, lasciando lavori fisici e scarsamente retribuiti agli immigrati. L’ingresso di nuova immigrazione genera d’altronde una forza lavoro più variegata, consentendo una maggiore specializzazione.

Al contrario, coloro più propensi a vedere i loro salari diminuire a causa della migrazione sono i lavoratori domestici meno qualificati o le precedenti generazioni di lavoratori stranieri.

Tutto questo risuona ovviamente come un jingle qualora ci si addentri nella segmentazione degli elettori dei partiti propensi alla chiusura delle barriere e alla riduzione dell’immigrazione.

Un’altro aspetto legato al tema, e sicuramente meno cristallino in termini di evidenze raccolte, è anche che la manodopera a basso costo potenzialmente scoraggi le aziende dall'effettuare investimenti che aumentino la produttività. Uno studio di Ethan Lewis del Dartmouth College ha rilevato che l'elevata immigrazione registratasi negli Stati Uniti nel ventennio ‘80-‘90 ha portato gli impianti industriali ad adottare meno macchinari. In Australia e Canada il rapporto capitale-lavoro è ora in calo.

Vi è però infine un contesto dove sorge realmente il nodo della questione. Ovvero la fornitura di servizi pubblici. Se il PIL pro capite diminuisce, la qualità di questi ultimi rischia di deteriorarsi.

Esternalità osservabili più nei paesi sviluppati, quali strade sempre più congestionate e, qualora in presenza di assistenza sanitaria pubblica, liste d'attesa ospedaliere intasate, possono essere definite come dirette conseguenze derivanti dai nuovi soggetti di mercato che ne influenzano domanda e offerta.

Il fatto che tipicamente gli immigrati arrivino da adulti, toglie dal loro conto l’istruzione pubblica, elemento costoso dei conti pubblici. E bisogna inoltre considerare che sono spesso loro stessi a contribuire direttamente al “sostenimento” dei servizi pubblici. Il principale aumento dell'emissione di visti lavorativi nel Regno Unito nel 2023 è stato per operatori sanitari e di assistenza.

I potenziali problemi sorgono nel lungo termine, quando i nuovi migranti vanno in pensione. Considerando che i sistemi di previdenza sociale sono spesso progressivi, un immigrato a basso reddito e richiedente la pensione, per non parlare di un’eventuale assistenza sanitaria, potrebbe rappresentare un notevole peso fiscale aggiuntivo.

Stare ad ipotizzare dei fantascenari risulta alquanto fuorviante considerando che tutto ciò che ne scaturirà dipenderà e varierà da Paese a Paese.

Inoltre, ipotetici impatti fiscali non-negativi, non porterebbero a niente se la qualità dei servizi pubblici viene lasciata indietro. Allo stesso tempo, se le regolamentazioni impediranno l’annoveramento delle infrastrutture per accogliere i nuovi arrivi, la migrazione rischia di provocare soltanto contraccolpi. Questo è particolarmente evidente nel caso degli alloggi, dove l'offerta è strettamente limitata dalle regolamentazioni eccessive in molte delle stesse aree che stanno ora sperimentando un boom migratorio. I migranti, come i nativi, hanno bisogno di luoghi dove vivere, il che aumenta l'imperativo di costruire. Accogliere i nuovi arrivati significa molto più che semplicemente lasciarli entrare.

Istruzione

Does low skilled immigration increase the education of natives? Evidence from Italian provinces di Brunello, Lodigiani & Rocco (2020), si concentra sull’impatto che questa specifica “categoria”di migranti ha sull’istruzione dei nativi italiani.

In generale, quanto riscontrabile dai risultati, è che essa aumenta la probabilità che i nativi decidano di perseguire un'istruzione universitaria, mentre diminuisce la probabilità che investano in percorsi formativi intermedi, come corsi professionali a breve termine. Questo accade perché gli immigrati poco qualificati sono sostituti per i nativi con basse e medie competenze, ma complementari per i nativi con migliori qualifiche.

Questo effetto è particolarmente evidente per gli uomini, per i quali si osserva un aumento nelle quote di coloro che conseguono percorsi di istruzione superiore e una riduzione in quelli che completano soltanto l'istruzione obbligatoria. Al contrario, per le donne, gli effetti sono meno marcati: l'immigrazione aumenta la quota di coloro che non sono impegnate nell'istruzione o nella formazione, ma ha un effetto negativo e poco lineare sull'iscrizione universitaria. Questo potrebbe essere dovuto al fatto che molte donne italiane con una laurea sono impiegate in lavori che richiedono meno qualifiche, suggerendo che esse e gli immigrati poco qualificati sono potenziali sostituti.

Gli effetti dell'immigrazione variano significativamente tra il Nord e il Sud Italia. Nel Nord industrializzato, l'immigrazione ha un impatto positivo sull'istruzione superiore sia per gli uomini che per le donne. Questo può essere attribuito alla maggiore disponibilità di posti di lavoro qualificati e a un'economia più dinamica che offre maggiori incentivi per investire in un'istruzione avanzata. Tuttavia, nel Sud meno sviluppato, l'effetto è positivo per gli uomini e negativo per le donne. Questa differenza può essere spiegata dalla diversa struttura economica e dalle limitate opportunità di lavoro qualificato nel Sud.

Questi risultati sono stati sottoposti a diversi test di robustezza, che tendono a confermare la validità delle conclusioni. Ad esempio, l'effetto dell'immigrazione rimane qualitativamente invariato anche quando si utilizza una misura alternativa della quota di immigrati “low-skilled”. Inoltre, non ci sono prove che i risultati siano influenzati da un'auto-selezione negativa dei nativi più talentuosi.

Uovo o gallina?

Uri Dadush, non-resident fellow economist di Bruegel, ha dipinto un quadro ben articolato e concreto di studi concentrati sulla migrazione di lavoratori low-skilled, analizzando gli effetti della migrazione di manodopera scarsamente qualificata sulle economie dei paesi ospitanti e concentrandosi su salari, occupazione e impatti economici e fiscali più ampi nei paesi avanzati.

Source: Dadush (2014), The Effect of Low-Skilled Labor Migration on the Host Economy. Correlazione tra i salari relativi immigrati/nativi e le ore lavorate. Ogni osservazione corrisponde a un gruppo istruzione-esperienza negli anni considerati (1960, 1970, 1980, 1990, 2000, 2006). L'asse orizzontale misura il valore logaritmico delle ore relative lavorate nel gruppo dagli immigrati/nativi di sesso maschile e l'asse verticale misura il valore logaritmico del salario settimanale relativo pagato agli immigrati/nativi di sesso maschile.
Ottaviano and Peri, 2008, Figure 5, p. 48.

La maggior parte degli studi sembra indicare innanzitutto un impatto minimo sui salari dei lavoratori domestici. Gli effetti sono invece più evidenti tra le precedenti coorti di immigrati non qualificati.

Questi sintomi tendono a diminuire nel lungo termine, mano a mano che l'economia si adatta attraverso maggiori investimenti e l'accumulazione di capitale umano e sociale da parte degli immigrati.

L'impatto fiscale varia a seconda delle caratteristiche demografiche e occupazionali dei migranti. Gli immigrati più giovani e occupati tendono a contribuire positivamente al bilancio fiscale.

Tuttavia, in economie con mercati del lavoro rigidi, gli impatti a breve termine della migrazione possono includere un aumento della disoccupazione tra i lavoratori nativi. Questi effetti scemano in mercati del lavoro flessibili, ove salari e occupazione riescono ad adattarsi più facilmente.

I migranti tendono infine ad essere più reattivi ai cicli economici, spesso migrando durante periodi di espansione economica e ritornando a casa durante recessioni. Questa ciclicità aiuta a stabilizzare i mercati del lavoro.

I migranti poco qualificati spesso svolgono lavori essenziali raramente occupati dai lavoratori nativi. Ciò supporta la crescita economica permettendo una maggiore specializzazione e produttività tra la popolazione domestica.

Il quadro teorico sul quale infatti si sviluppano gli studi di Uri Dadush è il seguente: La teoria suggerisce che se i lavoratori nativi e i migranti sono sostituti perfetti, l'impatto iniziale della migrazione è ridurre salari e occupazione dei lavoratori nativi. Tuttavia, questo è un effetto temporaneo poiché gli investimenti aumentano e l'economia si adatta.

Quando i nativi e i migranti sono sostituti imperfetti (a causa di differenze di lingua, competenze, ecc.), l'impatto negativo iniziale è più limitato. I migranti possono completare i lavoratori nativi, specialmente nei ruoli qualificati, portando a effetti economici complessivamente positivi.

Concludendo, le evidenze Empiriche setacciate nello studio di Dadush supportano generalmente l'idea che la migrazione poco qualificata abbia un impatto iniziale negativo, seppur minimo, su salari ed occupazione dei cittadini nativi, che diminuisce nel tempo.

Alcuni degli studi citati sono, ad esempio, il caso del Mariel Boatlift, dove un improvviso afflusso di migranti cubani a Miami nel 1980 generò pressoché nulli effetti sui salari dei nativi nel lungo periodo; altri studi nel Regno Unito e in Germania riportano come i lavoratori nativi ed i migranti siano sostituti imperfetti, causando una minore concorrenza ed effetti più complementari.

Punto a capo (?)

La migrazione di lavoratori poco qualificati è essenziale per molte economie avanzate, fornendo manodopera per lavori critici ma spesso sottovalutati. I benefici economici a lungo termine, inclusi maggiori investimenti, specializzazione e crescita economica complessiva, superano gli impatti negativi iniziali, e spesso esagerati, sui salari e sull'occupazione dei nativi.

Senza cascare nella retorica, all’oscuro di tutti quegli elementi lontani dai dati e più vicini agli stomaci, sarebbe un buon primo passo riconoscere la necessità di migranti poco qualificati e incubare l’avvio di politiche che facilitino i canali di migrazione legale, garantendo al contempo l'applicazione delle normative sul lavoro.

In conclusione, l'immigrazione “low-skilled”, sebbene possa presentare sfide nel breve periodo, offre opportunità significative soprattutto legate all'adattamento strutturale delle economie ospitanti, nonché alla crescita economica overall. Un approccio bilanciato e informato alle politiche migratorie può massimizzare i benefici di questo fenomeno, promuovendo al contempo l'inclusione e la coesione sociale.

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