Non ci sarà un "giorno dopo": ecco perché dobbiamo imparare a convivere col Coronavirus

Parlare di riaprire tutto per pura polemica politica, come fa Renzi, è inutile. Ma non si deve nemmeno eludere il problema: con questo virus dovremo convivere a lungo. Ed è per questo che dobbiamo discutere, qui e ora, di come far ripartire la nostra economia. Altrimenti, non ci rialzeremo più.

Parlare di riaprire tutto per pura polemica politica, come fa Renzi, è inutile. Ma non si deve nemmeno eludere il problema: con questo virus dovremo convivere a lungo. Ed è per questo che dobbiamo discutere, qui e ora, di come far ripartire la nostra economia. Altrimenti, non ci rialzeremo più.

Vorrei chiarire la profonda differenza (che potrebbe essere alterità, ma non dipende da me) fra la proposta che, a nome di un gruppo di lavoro interdisciplinare, ho iniziato ad avanzare in varie sedi (qui e qui due esempi) e le recenti affermazioni secondo cui "Bisogna consentire che la vita riprenda. E bisogna consentirlo ora. […]". Faccio questo per una semplice ragione: confondere il grano con il loglio rovina il grano e fa crescere il loglio. Se il loglio vuole aiutare il grano (come sarebbe auspicabile) lo faccia usando il potere politico e governativo di cui dispone ed eviti le uscite promozionali prive di appropriato supporto tecnico. Queste uscite non sono solo innecessarie, sono anche dannose.

La mia affermazione intende essere precisa e vale per Renzi come per qualsiasi altro esponente politico, al governo o all’opposizione. Oggi il Paese ha bisogno di un piano di convivenza pluriannuale con questa infezione e questo piano – per essere elaborato, verificato, testato ed implementato – ha bisogno di enormi risorse intellettuali ed operative. Ha bisogno di specialisti veri e di risorse ad essi dedicate. Ha bisogno di una burocrazia efficiente, trasparente, disponibile e cooperante, non di quella cosa che abbiamo visto ancora una volta in azione dalle prime settimane di gennaio. Ha bisogno di personale governativo che eviti i proclami e lavori su complesse questioni tecniche o che, se non è in grado di farlo, si dimetta e lasci posto a chi conosce le materie necessarie per gestire un’emergenza di questo genere. Ha bisogno di dati, coordinamento nazionale, volontà politica ferrea e cooperazione fra ogni parte politica e sociale con una messa non in secondo ma in decimo piano degli incompetenti e delle bandierine di partito da piantare su questa o quell’altra iniziativa. Il paese avrebbe avuto bisogno che tutto questo accadesse in gennaio e che allora venisse richiesto e fatto. Non è successo, amen. Facciamolo ora evitando i proclami ma agendo nei luoghi del potere politico (se si è al governo, come nel caso di Italia Viva, ma anche se si è all’opposizione, come nel caso di Lega e Fratelli d’Italia) perché questa iniziativa venga avviata e venga affidata a persone competenti.

Approfitto per chiarire alcuni punti essenziali che caratterizzano la proposta di convivenza con il virus di cui mi sono fatto portavoce e che un recente articolo – senza intenderlo – può aver dato l’impressione d’associare all’uscita alquanto propagandistica ed imprecisa di Matteo Renzi.

La periodizzazione proposta da Renzi è ridicola e basta da sola a provare che non ha le competenze per anche solo comprendere il problema. Se vuole essere utile trovi le risorse e lasci fare ad altri. Io ho parlato di un processo che potrebbe iniziare, se i dati evolvono positivamente, in due o tre settimane, non il 4 aprile. Scuole, chiese e similia devono ragionevolmente rimanere chiuse sino al prossimo autunno. Il problema vero è di garantirsi che quelli ed altri servizi vengano comunque forniti con altri metodi.

La parte centrale dell’articolo elenca, correttamente, le aree di maggior crisi attuale. Omette però di menzionare che in altre zone dell’Italia, dell’Europa e del mondo le cose vanno diversamente. Occorre dire chiaramente – per doloroso che possa essere – quali errori (vedremo dopo se dovuti alla mala sorte o alla cattiva amministrazione) siano stati fatti in alcune aree e come le esperienze positive possano essere imitate. Questo è quanto si chiede ma né il mondo politico né, duole dirlo, quello mediatico, sembrano interessati a questo controverso ma necessario lavoro.

Viene poi l’errore più pericoloso. Come, sino al 22 febbraio, non si è pensato/discusso di come gestire la pandemia che si sarebbe certamente manifestata – oscillando fra narrative di tragedie (che si sognava avenissero solo altrove) e dibattiti televisivi sul nulla – oggi dobbiamo anche pensare e pianificare il futuro mentre gestiamo il presente. Razionalmente, freddamente e con una rigida divisone dei compiti fra le differenti competenze tecniche ed operative capaci di fare una cosa o l’altra.

Ed infine, dispiace dirlo, la retorica secondo cui non siamo “meri ingranaggi produttivi, sacrificabili se necessario …” va gettata alle ortiche per sempre. Questa dicotomia è sia falsa che dannosa: la nostra salute, la nostra sicurezza, il nostro vivere bene o anche solo decentemente dipende strettamente dalla nostra capacità di produrre in modo efficiente e sicuro. La nostra civiltà si regge sulla capacità, sviluppata negli ultimi cinque secoli, di rendere compatibili – meglio: supportanti l’una con l’altra – queste due finalità. Vivere bene e in salute sono la stessa cosa e di questo dobbiamo oggi discutere scientificamente e pubblicamente per elaborare nuove maniere di farlo in un contesto epidemiologico radicalmente mutato. Hic rodus hic salta.


[fonte: Fanpage.it]

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