Una banda di idioti
Ho appena finito di leggere “Una banda di idioti”.
Il meraviglioso romanzo di John Kennedy Toole regala un affresco di una società americana frammentata e disfunzionale, popolata da personaggi allucinati e spesso ridicoli. Una visione non troppo distante all'attuale clima politico. Battagliero. Dove il populismo, il tribalismo e la polarizzazione sembrano dominare il discorso pubblico.
Personaggi come J.D. Vance e Trump capitalizzano su queste divisioni, offrendo una narrazione che risuona nella testa di molti elettori scontenti e disillusi e suonando la carica per una sorta guerriglia anti-elite.
Ignatius J. Reilly è un uomo eccentrico, antisociale, accasato ancora dalla madre in una grottesca ed assurda New Orleans. Complesso, spesso incompreso, che si oppone con veemenza al cambiamento ed alla modernità. In un certo senso, Vance rappresenta una versione odierna di questa resistenza, sebbene in un contesto diverso. La sua critica alla decadenza della cultura della classe operaia bianca ed il suo appello ad un ritorno ai valori tradizionali invocano lievi analogie con il desiderio di Ignatius di un ritorno ad un'epoca passata ed idealizzata.
Peter Thiel rappresenta una nuova versione delle corti del Partito Repubblicano, nonché una visione che abbraccia la tecnologia e l'innovazione, ma anche un certo elitismo fomentato da, e propagatore di, critiche alla democrazia tradizionale.
Personaggi come J.D. Vance, sostenuti e forgiati dallo stesso Thiel, possono plasmare il futuro del partito, combinando un populismo più cinico ad una visione tecnocratica e autoritaria.
Questo scenario può essere visto come una specie di estensione della critica di Toole alla società americana: l’illusione in chiave assolutistica e, quasi isolazionista, di riformare, o meglio rifondare, una società percepita come decadente e disfunzionale.
Una questione di competenze
La scelta di appuntare Vance come vice, qualora Trump vinca le elezioni a Novembre, sembra paradossalmente suggerire una visione opposta alla generale percezione che la stampa propone nei confronti dei piani che il tycoon newyorkese perseguirà una volta al potere.
Questa nomina pare infatti indicare la possibilità che il potenziale secondo mandato di Trump servirà per concentrarsi sulla costruzione di fondamenta repubblicane (nella versione che verrà descritta nei prossimi paragrafi) solide in ottica futura, piuttosto che focalizzate attorno ad una mera questione di culto della personalità.
Un altra diretta interpretazione di questa nomina è il tentativo di attrarre figure di spicco della “scena” Silicon Valley, ma soprattutto della finanza anti-woke in modo da affrontare la crisi di competenze che affligge il GOP.
Se vogliamo, è la risposta all’apparente asimmetria tra quella che sembra la vasta riserva di persone altamente qualificate nel roster democratico (vedi potenziali candidati a vice presidente qualora Kamala Harris esca trionfante a Novembre) e la voluta e ricambiata diatriba tra Donald Trump e le cosiddette élite del capitale umano.
Sull’onda di quanto appena scritto, le nomine politiche dei Repubblicani paiono ora provenire dall’eccezione di lusso dell’ala vicina a Peter Thiel, sempre più influente e vigorosa.
In seguito all’ingresso in campo di Kamala, sembra che Elon Musk sia meno convinto del full endorsement fatto di recente al team MAGA, mentre figure come Bill Ackman pare non abbiano mollato l’osso.
Quello che i Repubblicani hanno da offrire è un patto simil faustiano ai più tenaci ed ambiziosi anti-woke nel tentativo di recuperare spazio culturale e politico tra le élite innovative. Ciò consiste nel fare pace con gli evangelici, accettare il conservatorismo sociale ed ottenere influenza in una coalizione che richiede competenza politica. Alcuni accetteranno questo patto, attratti dal vuoto di potere e disposti a puntare su una figura complessa.
Ed è qua che entra in gioco Vance, appartenente a questa classe: intelligente, ambizioso ed allineato con Thiel. In sintonia con l’infuocata “destra da tastiera”.
Con una storia da vero underdog che si laurea a Yale e diventa autore di un bestseller sui travagli dell'America profonda, rappresenta questo profilo. Lucido e preparato, con il pacchetto perfetto da leader self-made.
Il suo cinismo non lo trattiene dal cambiare posizioni come su un tavolo di ping-pong e l’elettorato populista pro-Trump, disperatamante alla ricerca di figure competenti che possano incarnare in giacca e cravatta l’assalto a Capitol Hill, accetterà senza timori il suo camaleontismo. Vance comprende bene il problema del capitale umano della coalizione e vi si è concentrato sin dal primo giorno.
Vance & il lungo periodo
I Repubblicani ora hanno candidati divisivi ma competitivi per le prossime elezioni presidenziali. I Democratici, al contrario, hanno un candidato jolly nel breve termine ma non è ben chiaro quale sia il piano di lungo periodo. Figure interessanti come il governatore della California, Gavin Newsom, non sembrano intenzionati a bruciarsi le loro carte tanto facilmente e l’unica traccia coerente pare il lancio del futuro vice presidente come prima scelta per il 2028.
Vance sembra estremamente difficile da etichettare. La sua storia personale e, volendo, intellettuale è stata caratterizzata da molteplici mutamenti, sia personali, che dal punto di vista professionale.
Come menzionato precedentemente, sembrerebbe disposto a reinventarsi in ogni modo pur di ottenere riconoscimenti. Allo stesso tempo, vi è una fetta di elettorato che lo considera totalmente integro e che ogni suo cambio di posizione sia frutto di cieca convinzione.
Nato a Middletown, Ohio, racconta di un’infanzia tormentata e, finiti gli studi primari, si arruola nei Marines, finendo a servire in Iraq. Una volta tornato, si laurea a Yale ed approda nel mondo del Venture Capital.
Qui, a stretto contatto con la Silicon Valley, conosce ed inizia a lavorare con Peter Thiel.
Finisce sulla bocca di tutti nel 2016, pubblicando “Hillbilly Elegy”. Questo memoir ripercorre ed esplora le complessità delle classi lavoratrici bianche nell’America rurale. Il futuro bestseller gli permetterà anche di diventare popolare tra i progressisti che avremmo potuto definire anti-Trump.
Il successo del libro gli dona una certa notorietà quale commentatore della questione sociale e della mobilità economica negli Stati Uniti.
Le sue proposte a riguardo si concentrano su come rivitalizzare le aree rurali attraverso politiche economiche che favoriscano la produzione domestica e riducano la dipendenza dalle importazioni straniere. All’interno di questa dialettica Vance ha sempre manifestato forti critiche verso le politiche economiche neoliberiste che, a suo dire, hanno avvantaggiato le élite urbane a scapito delle comunità contadine ed industriali. La sua esperienza nel settore degli investimenti ha forgiato una sua prospettiva su come il capitale di rischio dovrebbe essere utilizzato per stimolare la crescita economica nelle aree sottosviluppate.
Originariamente, Vance si presentava come un conservatore moderato. Tuttavia, nel tempo, le sue posizioni si sono spostate verso una destra più populista e nazionalista, più vicina alle politiche di Donald Trump.
Durante la sua candidatura al Senato degli Stati Uniti per l'Ohio nel 2022, Vance ha adottato posizioni più forti su temi come l'immigrazione, il commercio e la politica estera, sposando molte delle roccaforti ideologiche promosse da Trump.
Suoi grandi cavalli di battaglia sono inoltre un forte scetticismo verso le grandi corporation e la globalizzazione, nonché un immacolato sostegno alle politiche pro-life.
Per quanto riguarda la politica estera, Vance ripercorre le frange più conservatrici e nazionaliste del GOP.
Vance ha infatti assunto una posizione fortemente critica nei confronti della Cina, riflettendo una crescente preoccupazione riguardo all'influenza economica e geopolitica cinese. Egli considera la Cina come una delle principali minacce alla sicurezza nazionale ed alla prosperità economica degli Stati Uniti. A suo dire, le politiche di globalizzazione hanno favorito la delocalizzazione delle industrie americane verso la Cina, danneggiando la classe lavoratrice americana. Le sue proposte a riguardo virano verso politiche di decoupling economico dalla Cina, sostenendo il ritorno della produzione manifatturiera negli Stati Uniti e l'adozione di misure protezionistiche per difendere l'industria americana dalla concorrenza cinese.
La sua posizione sull'Europa è meno definita, ma riflette un certo scetticismo generale verso le istituzioni multilaterali ed una preferenza per i rapporti bilaterali. Vance tende a vedere l'Europa attraverso la lente delle relazioni transatlantiche e della sicurezza.
Posizione comune ai sostenitori “trumpiani”, quella verso la Nato. Il venture capitalist sostiene che quest’ultima non abbia fatto abbastanza per contribuire alle spese della difesa collettiva. A ciò segue la richiesta dell’assunzione, da parte degli alleati europei, di una quota maggiore del costo della difesa comune ed un generico scetticismo verso le recenti politiche dell’Unione Europea.
Per concludere, la questione Ucraina, è all’ultimo posto dell’agenda Vance e rispecchia le più classiche posizioni isolazioniste e non interventiste. I volumi di supporto militare e finanziario alla causa sono, a suo avviso, mal sfruttati e potrebbero essere meglio utilizzati per affrontare dispute interne.
Vance ha inoltre sollevato preoccupazioni riguardo al rischio di escalation con la Russia e ha suggerito che gli Stati Uniti dovrebbero ridurre il loro coinvolgimento nei conflitti esteri e dedicarsi ad un approccio “America First”.
MAGA: 2028
MAGA, lanciato come atipico vettore personale di un diagnosticato narcisista, sembra ora molto più probabile che diventi un programma con orizzonti ben oltre il 2028.
Il repubblicanesimo, per come lo intendeva Reagan, è ormai un lontano ricordo. Il GOP è diventato con Trump un giocattolo personalistico, capace di attirare elettori di ogni calibro e provenienza. Dai sostenitori del libero scambio, alle tariffe universali, dai grandi falchi del business americano, a chi disdegna il grandeur aziendale ritenendolo anti-patriottico, dagli internazionalisti, agli isolazionisti. Quello che secondo Reagan fosse la visione dei repubblicani, ovvero il dovere di rispettare l’ordine, le norme e le alleanze, è stata sostituita dalle posizioni sui casi Taiwan ed Ucraina, che, qualora il duo MAGA finisca al potere a Novembre, saranno i veri banchi di prova in termini di politica estera.
Concludo con una versione, leggermente estesa, di un mio tweet, scritto il 16 Luglio in seguito alla notizia dell’entrata in gioco di J.D. Vance ed appena prima dell’attesa uscita di scena dell’attuale Presidente degli Stati Uniti Joe Biden.
Se nel breve termine ritengo possa essere l’ultima opportunità per i democratici di recuperare voti ove Vance preoccupa per cinismo piuttosto che per populismo (vedi aborto o questione Ucraina), nel lungo periodo il vero scacco matto del GOP è la rotazione di 180 gradi verso un elettorato repubblicano Thiel-centrico che cerca disperatamente competenze (in termini materiali di Curriculum e che possano soddisfare le grandi voci finanziarie e dell’high-tech) e la discussa NATO del libero scambio.